Bibliografia
Questo articolo presenta sinteticamente il risultato di una ricerca, svolta durante gli anni 1990 e 1991, sull’immigrazione italiana in Perù in prospettiva storica. Lo studio sarà pubblicato dalla Fondazione Giovanni Agnelli, col titolo Gli italiani nella società peruviana.1
Secoli XVI-XVIII
In tutti i paesi dell'America del Sud che furono colonie spagnole, si è avuta una presenza italiana già dal secolo XVI. Questa precocità era espressione dell’alleanza fra la Spagna e alcuni degli stati italiani che all'epoca facevano parte dell’orbita spagnola in Italia (Ducato di Milano, Regno di Napoli), ma sopratutto dell'alleanza con la Repubblica di Genova. Allora i genovesi erano gli italiani più rappresentati in Spagna, sopratutto nei porti di Cadice e Siviglia, dove si trovavano folti gruppi di commercianti e marinai che godevano di permessi speciali. Da quei porti i genovesi si imbarcavano verso le colonie d'America. Non fu quindi una emigrazione diretta, ma indiretta. Erano persone che emigravano in Spagna per poi passare alle colonie spagnole d’America.
Questa fu una presenza ridotta (alcune centinaia di persone), benché fin da allora fosse la piú numerosa fra quelle europee non spagnole. Bisogna tener conto del fatto che gli spagnoli non permettevano la libera emigrazione nelle loro colonie, ma gli italiani erano tollerati in quanto sudditi di stati alleati alla Spagna. Durante il secolo XVI troviamo numerosi marinai e commercianti, alcuni dei quali facevano parte dell’Armata spagnola. Già fra i primi conquistatori troviamo diversi italiani; il caso piú notevole è quello di Gian Battista Pastene, il nobile genovese che fu ammiraglio dell’Armata spagnola nei mari del Sud, combatté in Perù durante la guera civile con i conquistatori, negli anni 1545 a 1548, poi passò in Cile, dove fu fra i fondatori di Valparaiso e Santiago. Insieme a lui si trovavano numerosi marinai e capitani di navi, che erano reclutati data la scarsità, nella Spagna di quei tempi, di capitani esperti.
Nei secoli XVII e XVIII la proibizione all’ingresso di emigranti non spagnoli fu piú rigida; ma continuarono ad arrivare italiani, molti dei quali erano clandestini (perciò cambiavano i loro nomi e li «spagnolizzavano»). In questo periodo, in cui si ebbe l’affermazione del potere politico della corona spagnola attraverso la figura del Vicerè, arrivarono in Perù non solo marinai e commercianti, ma anche numerosi clerici e anche rappresentanti della corte spagnola (che avevano parenti e favoriti in Italia). Il caso piú notevole fu quello del Vicerè Nicola Caracciolo, nobile napoletano che fece parte della corte di Spagna; arrivò in Perù con un seguito di servi e artigiani italiani e governò negli anni 1716-19. Fu notevole anche la presenza di numerosi artisti e pittori italiani, che portarono in Perù l’arte del Rinascimento, fondando qui diverse scuole di pittura, che esercitarono un’influenza decisiva nella famosa scuola di pittura coloniale peruviana. Fra i piú importanti citiamo il sacerdote Bernardo Bitti, arrivato nel 1548; e Matteo Perez d’Alessio, arrivato nel 1580. Entrambi appartenevano alla scuola romana di pittura e lasciarono in Perù i migliori quadri dell’epoca.
Dalla seconda metà del secolo XVIII, sopratutto con l’arrivo dei Borboni alla corona spagnola, la presenza italiana in Perù si fece piú folta. Non solo per la maggior tolleranza rispetto agli stranieri, ma anche per il declino del rigido monopolio commerciale spagnolo con le colonie d’America. Fu cosí che i commercianti genovesi cominciarono ad avere una presenza piú importante nei porti del Pacifico meridionale. Questa presenza non fu solo commerciale, ma anche intellettuale: il primo medico a introdurre le teorie sulla circolazione del sangue fu il messinese Federico Bottoni. Verso il 1790 arrivò a Lima il milanese Joseph Rossi, il quale collaborò attivamente con un gruppo di giovani intelletttuali che creò la «Società amanti del paese», questa Società, che all’inizio contava sull’appoggio del vicerè, pubblicò per diversi anni la rivista Il Mecurio Peruano in cui per prima volta si parlò del Perù come patria. Fu lo stesso Rossi a scrivere (con lo pseudonimo di «Hesperiophilo») gli articoli piú impegnati e ideologicamente avanzati di questa rivista, che poi dovette cessare le pubblicazioni a causa della ostilità della corona spagnola nei confronti delle manifestazioni ideologiche e culturali dell’Illuminismo. Erano gli anni della conquista napoleonica della Spagna e si faceva sempre piú evidente il disagio degli intellettuali americani nei confronti del rigido dominio spagnolo nelle sue colonie. Jospeh Rossi ebbe anche rapporti con Alessandro Malaspina, lo scienziato e marinaio italiano che stava al servizio del re di Spagna e che, durante gli anni 1790-92 condusse una spedizione di esplorazione scientifica nelle Americhe. Malaspina non aveva soltanto una missione scientifica, ma anche politica, infatti aveva ricevuto l’incarico di osservare le condizioni sociali e politiche delle colonie. Al suo rientrio in Spagna presentò un rapporto politico (segreto), nel quale consigliava di dare indipendenza politica ai governi delle colonie. Questo rapporto fu criticato dal Primo ministro e Malaspina fu incarcerato in una fortezza, da dove uscí solo durante l’invasione napoleonica. In una ricerca recente, abbiamo trovato testimonianze del rapporto fra Malaspina e Joseph Rossi quando entrambi si trovavano a Lima. Anche se allora non si discuteva la sovranità del re di Spagna, c’era nelle loro idee il germe dell’indipendenza delle colonie dalla Spagna.
In sintesi si puo concludere che la presenza italiana durante i secoli XVI al XVII fu indiretta, ma gettò le basi degli arrivi successivi. Si puo parlare di un’origine coloniale della presenza italiana in America del Sud. Ciò consente di affermare che c’é stata una «matrice coloniale» della presenza italiana nel Perù contraddistinta dall’origine regionale, che era prevalentemente ligure, e dalle caratteristiche occupazionali, questi emigranti erano naviganti e commercianti.
Periodo 1800-80
Già dalla fine del secolo XVIII il monopolio commerciale spagnolo nelle colonie americane si era indebolito. Questo favorí la presenza di commercianti e marinai di quella che all’epoca era ancora la Repubblica di Genova. L’invasione napoleonica favorí l’arrivo non solo di profughi politici, ma anche di commercianti che uscivano per la crisi economica prodotta dall’invasione francese in Italia.
Con l’indipendenza del Perù nel 1821 aumentò lentamente la presenza d’immigrati italiani, giacchè i primi governi repubblicani furono estremamente favorevoli all’immigrazione. Da allora la presenza italiana in Perù non fu piú indiretta, ossia si sganciò dal rapporto con la Spagna e arrivò direttamente dal porto di Genova. Coloro che arrivarono in questo periodo iniziale dell’emigrazione moderna furono reclutati da coloro che erano arrivati in precedenza. Il meccanismo di inserimento fu lo stesso durante il secolo XIX e il principio di questo secolo, ossia il commercio marittimo. In gran parte gli emigranti arrivati nel Novecento erano marinai che disertavano dalle imbarcazioni provenienti dal porto di Genova.
Il maggior numero di emigranti giunse nel periodo compreso fra il 1840 e il 1880, durante il quale coincisero una serie di fattori di espulsione dall’Italia e di attrazione in Perù. In Italia iniziavano le emigrazioni all’estero, composte da un debole flusso migratorio, quello dei «pionieri», che partirono dalle regioni nordoccidentali (allora regno di Sardegna), ma sopratutto dalla Liguria. Non era un flusso emigratorio massiccio, perché non era spinto da fattori economici o demografici, ma prodotto dall’espansione dei commercianti liguri, che iniziarono a frequentare i porti dell’America del Sud con maggiore libertà rispetto al periodo precedente. La «cultura della mobilità» era un elemento importante fra questi immigrati che già in epoche antiche percorrevano i mari del mondo.
La maggior parte di coloro che arrivavano, piú che da emigranti era costituita da marinai disertori che aprivano un piccolo negozio o si dedicavano al cabotaggio. A metà del secolo scorso gli equipaggi delle navi che salpavano dal porto di Genova avevano ragioni sufficienti per disertare, perche trovavano condizioni di lavoro favorevoli nell’economia peruviana in piena espansione mercantile. In Perù si stavano sviluppando rapidamente le attività portuali e commerciali in coseguenza dello sfruttamento dei grandi giacimenti di guano, lungo le isole del litorale peruviano.
Insieme alla componente marinara, proveniente dalla riviera ligure, in particolare dal circondario di Chiavari, dal 1850 in poi cominciò ad arrivar una componente rurale o semi rurale, proveniente dai paesi interni di quella provincia. Le motivazioni alla base di questa ultima componente migratoria sono da mettersi in rapporto con le crisi periodiche della precaria economia agricola dell’interno della Liguria durante tutto l’Ottocento. Questi ultimi costituivano la classe sociale più bassa degli immigrati italiani, avendo iniziato dalle attività piú umili (garzoni, ortolani e bottegai).
Nel 1857 c’erano 3.142 italiani a Lima e nel 1876 la presenza italiana in Perù arrivò al suo massimo storico con 10.000 emigranti. Negli anni seguenti, l’emigrazione italiana di massa non toccò le sponde peruviane, ma si diresse verso i paesi del versante Atlantico. Ciò fu dovuto in primo luogo al ruolo economico di questa emigrazione, costituita da imprenditori (piccoli e medi commercianti) e in secondo luogo al fatto che non esisteva un mercato di lavoro moderno che potesse reclutare lavoratori dipendenti. D’altro lato si deve tener conto di un aspetto demografico e geografico: in Perù non si è mai verificato un «vuoto demografico» che potesse «assorbire» il flusso emigratorio massiccio che incominciò in quegli anni. Questa costituisce la differenza sostanziale fra i paesi del versante dell’Atlantico (Argentina, Uruguay e Brasile) e i paesi del versante del Pacifico come il Perù. Lo stesso si può dire per i paesi centro americani e il Messico. In questi paesi non c’erano grandi estensioni di terra a disposizione di coloni emigranti. La poca terra disponibile (dovuto alla presenza di grandi catene montuose come le Ande) era occupata dalla popolazione indigena, la quale si offriva anche come manodopera per i latifondi.
È necessario inoltre considerare la lontananza delle rotte del Pacifico, soprattutto prima della construzione del canale di Panama (1906). Non è quindi sorprendente se durante il secolo XIX e buona parte del secolo XX la presenza italiana in Perù ebbe le stesse caratteristiche di quella del periodo precedente, durante la dominazione spagnola. Da questo la continuità della cosidetta «matrice coloniale».
L’origine regionale degli immigrati italiani (genuensis ergo mercator), condizionò il processo di integrazione nell’economia peruviana dell’epoca, in cui esercitò un ruolo prevalentemente mercantile, praticando inizialmente il commercio di cabotaggio e il piccolo commercio nelle principali città e porti peruviani.
Gia dall’inizio, all’interno della collettività italiana, a fronte di una maggioranza di piccoli commercianti, agricoltori e garzoni, si costituí una élite economica e dirigenziale. Molti di loro si trasformavano da capitani di mare a capitani d’impresa. Fra i casi piú noti citiamo quello di Giuseppe Canevaro (1803-1875) il commerciante e capitano di nave che accumulò una fortuna dedicandosi al commercio marittimo, fu console del regno di Sardegna e poi primo console del regno d’Italia. Suo figlio Napoleone (1838-1926) fu inviato a studiare in Italia, dove fece carriera nella Marina arrivando al grado di ammiraglio e ministro. Altri ricchi imprenditori in questo periodo furono Denegri, Larco, Figari e Basso, tutti di origine ligure.
In genere, gli emigranti italiani arrivati in questo periodo incominciarono un ciclo di ascesa economica e sociale. Ci fu una grande mobilità occupazionale: iniziarono come bottegai, poi divennero commercianti all’ingrosso e finalmente investirono in immobili e in terre.
Il processo emigratorio scatenava energie che erano profuse in un lavoro assiduo e perseverante, con una forte motivazione al risparmio (dettato dal desiderio di rientrare in Italia). Elementi che a quei tempi erano scarsi nella società peruviana, in cui predominava il consumo superfluo, mentre la classe dirigente peruviana aveva uno stile aristocratico, eredidato dalla aristocrazia di origine spagnola. Gli imprenditori italiani che si affermarono in quegli anni furono fra i primi a costituire la borghesia moderna peruviana, non solo per lo stile di vita, ma anche per le idee da essi professate.
L’ideologia predominante fra questi emigranti fu il nazionalismo risorgimentale, alimentato dal fatto che molti emigranti luguri erano anche esuli dalla guerra di indipendenza, e non pochi erano profughi. In Perù arrivarono infatti molti profughi politici a partire dal 1820, come nel caso di Giuseppe Caffare di Barge, che partecipò insieme a Bolivar al processo di indipendenza del Venezuela e del Perù. A seguito delle disfatte rivoluzionarie del 1848 arrivarono altri esuli, fra i quali spicca la figura del milanese Antonio Raimondi (1824-1890). Questi arrivò in Perù nel 1850, dopo aver partecipato alle cinque giornate di Milano; cominciò a lavorare alla facoltà di Medicina della Università di Lima e si dedicò per parecchi anni a studiare la geografia, la mineralogia e altre discipline. Percorse tutto il territorio peruviano, tracciò la prima mappa del paese e poi scrisse la sua grande opera sul Perù, in più volumi. Raimondi è considerato il piú grande scienzato italiano all’estero in questo periodo e il più eminente geografo del Perù.
Un altro caso di rilievo è quello del medico chiavarese Emanuele Solari (1808-1854) – cugino di Giuseppe Mazzini – che arrivò a Lima per insegnare alla Facoltà di Medicina e che partecipò poi anche al rinnovamento della facoltà. A differenza di Raimondi si dedicò anche alla politica: aprì a Lima una sezione della «Giovane Italia» e fu il principale sostenitore di Giuseppe Garibaldi, quando questi arrivò in Perù nel 1851 durante il suo secondo esilio in America. La presenza di Garibaldi a Lima è stata motivo di diversi studi, che mettono in rilievo la sua partecipazione a una spedizione commerciale in Cina, per incarico di un commerciante italiano che risiedeva in Perù, Denegri. Nella ricerca si sono esaminati i principali aspetti politici di questa presenza che coinvolse un gruppo numeroso di immigranti di tradizione garibaldina e repubblicana. L’influenza del repubblicanismo fra gli immigranti italiani in Perù fu molto forte, al punto che comportò seri scontri con i primi rappresentanti diplomatici arrivati da Torino quando, nel 1864, si aprí l’Ambasciata del nuovo Regno d’Italia.
La presa di Roma, il 20 Settembre del 1870, fu un avvenimento molto festeggiato dagli immigrati in Perù, cosa che comportò uno scontro serio con la chiesa cattolica peruviana e con alcuni politici del paese. Oltre agli aneddoti e alle vicende di questo scontro, si trova in realtà la motivazione ideologica degli emigranti italiani verso il laicismo, valore anche quello poco presente nella mentalità della classe dirigente peruviana dell’epoca. Vari intellettuali italiani promossero in Perù le idee moderne di laicismo e di progresso economico, fra loro spiccarono le figure di Luigi Petriconi, Luigi Copello ed Emilio Sequi.
Periodo 1880-1920
Dal 1880 ai primi anni del secolo XX si registra un calo della presenza italiana in Perù, che diminuì da 10.000 a 6.000 individui. Lo stesso successe con altri altri gruppi di immigrati europei, ma gli italiani continuavano ad essere il gruppo europeo piú numeroso. Questa inversione della tendenza immigratoria fu dovuta a fattori diversi: in primo luogo alla crisi economica del 1875 e successivamente agli effetti depressivi della Guerra del Pacifico, che si svolse tra il Perù e la Bolivia contro il Cile, negli anni 1879-81. Infatti il Perù perse la guerra e fu invaso dall’esercito cileno che occupò Lima e le principali città del paese fino al 1883. Questa disfatta militare, e la successiva invasione, comportò una crisi delle attività economiche e commerciali del paese, incluso l’abbandono dei porti e la distruzione di gran parte della struttura produttiva.
Oltre a questi fattori congiunturali, vi erano fattori strutturali che impedivano l’ingresso di un considerevole contingente di immigrati. Oltre alla mancanza del «vuoto demografico», bisogna tener conto di argomenti economici: in Perù era quasi inesistente un moderno mercato del lavoro, i salari che si pagavano nelle piantagioni erano molto bassi se confrontati con le aspettative dei lavoratori europei (per questo negli anni precedenti furono portati dalla Cina circa centomila coolies per lavorare nelle piantagioni di zucchero e cotone, in cambio di una misera paga e di lavoro in condizioni di semi schiavitù. Non esistevano neppure le condizioni di impiego nel settore industriale. Gli immigrati che avevano raggiunto un’occupazione indipendente esercitavano un forte «effetto dimostrativo» sui nuovi arrivati, i quali rimanevano soltanto se potevano avere, in pochi anni, un negozio in proprio. Bisogna considerare che i nuovi arrivati erano sempre «chiamati», attraverso il meccanismo delle catene migratorie familiari e paesane. Cosicché giungevano in Perù solo quelli che potevano intraprendere un’attività in proprio o che erano in condizioni di ottenerla in breve tempo, dopo un periodo in cui generalmente lavoravano nel negozio di un familiare. Non esistevano quindi in Perù le condizioni per attrarre il massiccio flusso migratorio italiano che iniziò nel 1880 e che continuò fino alla vigilia della Prima guerra mondiale.
Queste manifestazioni strutturali si manifestarono nel fallimento dei numerosi progetti di colonizzazione tentati in questo periodo. Tali progetti miravano generalmente a collocare gli agricoltori nelle zone di montagna piú depresse, poiché sul litorale peruviano (la parte piú moderna e vicina ai porti, anche se arida) le terre agricole erano scarse (si coltiva soltanto dove arriva l’acqua dei fiumi durante la stagione delle piogge nelle montagne andine) e i latifondisti non erano disposti a consegnarle per progetti di colonizzazione. Questi progetti si svilupparono fino ai primi anni del Novecento, nel contesto di una politica d’immigrazione promossa dallo stato peruviano, favorevole all’ingresso di lavoratori europei, italiani in particolare, politica che non era esente da motivazioni ideologiche e razziste. Nei documenti diplomatici ufficiali italiani, troviamo numerose informazioni sui progetti di colonizzazione intrapresi in Perù – tutti falliti – e le condizioni che spiegano che in questo paese poteva venire soltanto un’emigrazione espontanea, e di modeste dimensioni.
Paradossalmente, durante il periodo nel quale uscivano piú emigranti dall’Italia (1880-1913), meno ne entravano in Perù, a dispetto di chi, governo o privato, tentava di incalanare verso questo paese il gran flusso emigratorio di quegli anni.
Quanto detto spiega perché l’emigrazione italiana in Perù diminuì dal 1880 in poi e si mantenne a livelli bassi nei decenni seguenti, meno di 6.000, dopo aver raggiunto la vetta dei 10.000 negli anni settanta dell’Ottocento. In realtà gli immigrati che arrivavano in Perù erano soltanti quelli che venivano attraverso le «catene migratorie» giunte nel secolo precedente.
Il caso peruviano è uno dei pochi al mondo in cui l’emigrazione italiana sia stata composta in maggioranza da emigranti provenienti da una sola regione d’Italia per un periodo così lungo che giunge fino ai nostri giorni. Caso raro nella storia, si è trattato di un’emigrazione di imprenditori, il che ha avuto conseguenze nel ruolo sociale esercitato dagli immigranti favorendo rapporti all’interno della comunità italiana non basati su interessi economici di classe, come era verificato in Argentina e in Brasile paesi con una larga partecipazione di italiani al movimento operaio.
In linea di massima si può affermare che poterono entrare in Perù solo gli immigrati che erano in grado di diventare imprenditori in poco tempo. Il ruolo esercitato nell’economia peruviana fu infatti quello di imprenditori indipendenti. Per questo, la collettività italiana in Perù fu una delle piú ricche in senso relativo, rispetto a quelle presenti nei paesi interessati dagli arrivi di massa.
Le catene migratorie erano il principale meccanismo di inserimento e un canale dinamico di comunicazione fra i due paesi, che funzionava nei due sensi, quasi come vasi comunicanti. Il senso in cui operava la catena (a volte in alternanza, nei casi dei emigrazione pendolare) obbediva all’inclinazione che assumeva il vaso comunicante, secondo la modificazione dei fattori di attrazione o di espulsione in ogni estremo della catena. Nell’insieme, queste catene migratorie erano un vero meccanismo di regolazione del flusso migratorio, che permetteva l’arrivo soltanto di coloro per i quali era disponibile un impiego effettivo (il posto di lavoro nella bottega di un parente). Per questo in Perù non si ebbe mai disoccupazione tra gli immigrati italiani, come avvenne negli Stati Uniti e in Argentina, salvo per alcuni progetti di colonizzazione, come quello del 1873-75, quando giunsero degli immigrati non compresi dal meccanismo delle catene. In seguito a tale meccanismo, il grafico della presenza di immigrati italiani in Perù rifletteva i cicli economici di espansione o di depressione dell’economia peruviana.
Durante tutto il secolo XIX gli emigranti italiani dovettero affrontare condizioni di instabilità giuridica e di insicurezza sociale, dovute alla convulsa situazione politica e sociale del paese. Erano frequenti i colpi di stato e le conseguenti «chiusure delle porte» nei negozi delle città.
Molte delle istituzioni create dagli immigrati italiani cercavano di risolvere queste difficoltà, la prima fu laSocietà Italiana di Beneficenza di Lima (fondata nel 1862), seguita dalle Compagnie di Pompieri, la prima delle quali fu fondata nel 1866 in seguito agli incendi nel porto del Callao, quando ci fu uno scontro fra i marinai peruviani e alcune navi spagnole che erano arrivate al porto in missione punitiva per conflitti diplomatici fra il Perù e la Spagna. Queste istituzioni esprimevono l’ideologia prevalente all’interno della collettività italiana dell’epoca, imperniata su valori unitari e anticlericali, a seguito delle lotte sostenute per l’unificazione italiana, specie contro il papato, processo al quale molti emigranti avevavo partecipato o che ne avevano tratto un motivo aggiuntivo per emigrare. Questi elementi ideologici avevano un aspetto modernizzante, non solo nell’economia (atteggiamento imprenditoriale e di risparmio produttivo), ma anche nella politica (liberalismo e laicismo).
Dalla fine del secolo XIX si ebbe un periodo di forte ripresa economica nell’economia peruviana, soprattutto dal 1895 in poi, con la ripresa dopo la guerra col Cile e le attività economiche degli italiani mostrarono un rinnovato dinamismo, crebbero e si diversificarono. Gli italiani non si dedicarono soltanto al commercio come nel periodo precedente, ma si inserirono anche nei settori della nascente industria.
Oltre all’ascesa economica e sociale degli immigrati italiani, si ebbe un processo di differenziazione all’interno della collettività, che poco a poco perse la caratteristica di omogeneità propria del secolo precedente. Questa ascensione collettiva elevò sempre piú la soglia minima che i nuovi arrivati erano disposti a tollerare per il loro inserimento nel paese. L’«effetto dimostrativo» degli immigrati che avevano fatto fortuna esercitava una notevole pressione sull’insieme dell’immigrazione. La differenziazione interna, insieme al calo di questa immigrazione, fu un elemento che incise nello sviluppo delle istituzioni create nel secolo scorso: la Società di Beneficenza costruì il propio Ospedale; le Compagnie di Pompieri si svilupparono; nel 1917 fu creato il Circolo Sportivo e sorsero anche numerose instituzioni culturali. La Scuola italiana, fondata nel 1870 al Callao, fu portata a Lima, dove si sviluppò sotto la direzione di Tommaso Catanzaro. Ma l’istituzione piú importante nel campo economico fu senza dubbio la Banca Italiana, fondata a Lima nel 1889. Questa Banca riuniva i risparmi dei medi e grandi imprenditori italiani, fu la prima esperienza di Banca fondata sulla base del moderno principio di azionariato diffuso, mentre le altre banche peruviane erano di pochi propietari. La Banca Italiana in pochi decenni divenne la piú importante del paese.
In questo periodo proseguì la tendenza del periodo precedente, della conversione dei capitani di nave in capitani d’impresa. I casi piú noti sono quelli di Faustino Piaggio, Gio Batta Isola, Gerbolini, Sanguineti, Carbone e altri, tutti di origine ligure e non a caso provenienti da famiglie di armatori e commercianti. In realtà ci fu un processo di «sedenterizzazione» di marinai e armatori liguri, dovuta alla crisi della navigazione italiana sotto l’effetto dell’introduzione massiva delle navi a vapore, processo che vedeva il dominio della marina mercante inglese, a scapito di quella italiana che operava ancora con battelli a vela.
Periodo 1920-40
In questo periodo si verificò un cambiamento nella collettività italiana, dovuto al «taglio» del processo immigratorio durante gli anni della Prima guerra mondiale e ai successivi nuovi arrivi. Fra questi ultimi, anche se predominava l’elemento ligure, si trovano per la prima volta nuclei provenienti dall’Italia meridionale che facevano quasi tutti parte del flusso massiccio diretto verso l’Argentina, ed erano arrivati in Perù per caso. Ciò riconferma che gli emigranti che arrivavano direttamente in Perù erano quasi tutti liguri, a parte alcuni piemontesi. Un’eccezione a questa tendenza è rappresentata dall’arrivo di alcuni tecnici portati dalla Azienda Elettrica di Lima (Empresas Electricas Asociadas) che dal 1921 fino agli anni cinquanta fu diretta da italiani, con a capo Giovanni Carosio, un imprenditore che svolgeva importanti progetti elettrici in Argentina, Paraguay e altri paesi dell’America del Sud. Anche alla Banca Italiana arrivarono tecnici e finanzieri italiani, il piu importante dei quali fu il fiorentino Gino Salocchi. In genere si puo dire che in questo periodo nella élite della collettività italiana ci fu un processo di ricambio: agli imprenditori che avevano guidato il processo di ascesa economica del periodo precedente succedettero nuovi immigranti, più qualificati, quasi tutti reduci della guerra mondiale e portatori delle nuove idee politiche prevalenti in Italia. In questo periodo il vecchio repubblicanismo fu rimpiazzato dal fascismo. All’inizio di questo processo di cambiamento ideologico si ebbe una resistenza del repubblicanismo, per esempio la festa il 20 Settembre fu festeggiata in Perù per diversi anni anche dopo il 1920, come espressione della tipica «inerzia culturale» nei processi emigratori, soprattutto quando si verificarono tagli all’immigrazione. Ma infine il fascismo ebbe la prevalenza fra gli emigranti, sotto la spinta del nazionalismo e il senso di rivincita dell’orgoglio etnico italiano. In effetti, in quegli anni ci fu una ripresa dell’immagine collettiva della italianità in Perù, in un certo qual modo gli immigrati si prendevano una rivincita rispetto al periodo precedente, nel quale, malgrado la ricchezza della collettività, avevano un’immagine molto legata al «bottegaio dell’angolo» ed erano considerati dall’opinione pubblica peruviana come una specie di europei di seconda categoria, dopo inglesi, francesi e tedeschi. Il fascismo fece forza su questi sentimenti e li strumentalizzò. In realtà l’adesione ideologica degli emigranti al fascismo ebbe piú una componente di bisogno di affermazione etnica che propriamente ideologica. D’altro lato si deve anche tener conto che non è mai esistita in Perù una base operaia fra gli emigranti.
Nel processo di ascesa sociale svolsero un ruolo importante i figli degli immigrati arrivati nel periodo anteriore. Oltre a seguire le attività economiche dei loro padri (generalmente nella gestione di aziende) furono anche professionisti, infatti i figli di italiani usarono anche la professionalizzazione come canale di ascesa sociale. Non c’era bisogno di essere imprenditore per godere di prestigio sociale. Fra i primi medici e ingegneri peruviani ci furono molti figli di italiani. In questo modo le famiglie di origine italiana ingrossarono la ancora sottile classe media peruviana e anche la classe medioalta. Pochi furono quelli che riuscirono a inserirsi nei ceti alti peruviani, la cosiddetta «oligarchia», un gruppo di poche famiglie quasi aristocratiche che dominava la vita politica del paese ma sempre meno dominava la vita economica, in gran parte dominata da emigranti di prima o seconda generazione, fra i quali, come abbiamo visto, spiccavano gli italiani.
In questo periodo gli italiani furono anche fra i primi a inaugurare il processo di migrazione interna verso la capitale. Infatti, se nel secolo passato e fino al 1920 numerosi emigranti si erano stabiliti nelle regioni lungo il litorale: Trujillo, Chincha, Ica, Tacna, dal 1920 in poi ci fu un accelerato processo di concentrazione degli emigranti a Lima, reso possibile dal cambiamento dei sistemi di trasporto. In quegli anni si indebolì il meccanismo che portava gli emigranti nelle regioni lontane, il commercio marittimo di cabotaggio. D’altra parte, ci fu la costruzione della via stradale «Panamericana» che per la prima volta collegò per terra il paese lungo la costa; i mezzi di trasporto motorizzati facilitarono il ritorno a Lima. Si ebbe quindi la concetrazione della modernizzazione a Lima, mentre le città dell’interno languivano. Un’altro elemento che spiega questa concentrazione è il sistema universitario peruviano, anch’esso concentrato a Lima. Si puo dire che gli immigrati italiani e i loro discendenti furono fra i primi a verificare le scarse possibilità di realizzazione economica e sociale nelle province interne del paese.
Per quello che riguarda gli aspetti associativi si ebbe la trasformazione delle istituzioni create nell’Ottocento e se ne creano nuove. Per esempio il Circolo Sportivo, fondato nel 1917, che esiste tuttora avendo inglobato altre istituzioni create all’epoca, come La Società Canottieri. Nel 1930 fu creata la Scuola Antonio Raimondi; successivamente fu fondato l’Istituto Italo Peruviano di Cultura che per diversi anni ebbe un ruolo di spicco nella cultura locale. Allo stesso tempo altre associazioni, come le diverse Compagnie di pompieri, si integrano completamente nelle istituzioni locali, diventando organismi peruviani. Anche la Società di Beneficenza ha perso il carattere che aveva prima, il vecchio Ospedale è diventato una moderna clinica.
Le tendenze recenti
Per quello che riguarda la consistenza del flusso immigratorio italiano, si ebbe una leggera ripresa nei due periodi postbellici (gli anni venti e cinquanta). Nel 1940 vi erano solo 3.774 italiani in Perù, approssimativamente la stessa cifra che nel 1850. Nel secondo dopoguerra ci fu una leggera crescita, che giunse a 5.716 nel 1961, per poi scendere di nuovo a 4.959 nel 1972 e a 4.062 nel 1981. Parallelamente al calo dell’emigrazione si ebbe un invecchiamento della collettività immigrata, poiché nel 1981 il 55,3 per cento di essi superava i cinquant’anni. Questa tendenza alla riduzione e all’invecchiamento fu accompagnata dal processo di concentrazione a Lima, dove attualmente risiede quasi il 90 per cento degli italiani in Perù.
Malgrado la mancanza di cifre ufficiali, si puo dire che oggi sono circa quattromila gli italiani emigrati in Perù. L’aspetto più importante è il fatto che sono più numerosi i discendenti, parte dei quali negli ultimi anni ha preso la cittadinanza italiana. In effetti i cittadini italiani attualmente resedenti in Perù sono all’incirca ventimila, di cui sedicimila maggiorenni. Nelle ultime elezioni al COMITES, svolte a giugno 1997, hanno votato in seimila. Una percentuale relativamente alta confronto a quella di altri paesi. Si puo dire che negli ultimi anni è in atto un processo di risveglio della etnicità italiana. Questo risveglio è dovuto alla lunga crisi economica del 1975-92 e alla successiva crisi dettata dalla violenza terrorista che ha colpito tutto il paese e le sue istituzioni. Durante questa crisi molti hanno preso il passaporto italiano, per tentare l’emigrazione di ritorno. Attualmente il bilancio emigratorio fra i due paesi è a favore del Perù. Infatti, si calcola che siano circa quarantamila i peruviani emigrati in Italia, ma solo una minoranza è composta da discendenti di italiani.
In quanto alle tendenze sociali si avverte un processo di dissoluzione della coesione etnica italiana. Questo fatto è dovuto al declino dell’immigrazione, alla forte crescita demografica nel paese e al conseguente forte processo di urbanizzazione (Lima è passata da due a sei milioni di abitanti nel giro di soli trenta anni); in secondo luogo, il ruolo prevalentemente imprenditoriale degli emigranti, ha fatto sì che non solo fossero dispersi logisticamente nella città, ma anche socialmente. Attualmente le diverse istituzioni italiane, alcune delle quali hanno piú di cento anni, come la Società di Beneficenza, sono riunite nella AIP (Associazione di Italiani del Perù), la quale ha un bollettino bilingue, Incontri, bimestrale.
È un luogo comune sentire dire in Perù che storicamente gli italiani hanno dato un gran contributo allo sviluppo del paese. C’è stato un processo effettivo di integrazione sociale degli italiani, arrivati in diverse piccole ondate emigratorie, che si sono accavallate uno dietro l’altra, lasciando ognuna la propria impronta. Ma soprattutto si avverte la presenza dei loro discendenti, in tutti i settori della società, dell’economia, la cultura e anche della politica. Attualmente sono quattro i ministri del governo che hanno cognomi italiani; anche nel parlamento la percentuale di cognomi italiani è alta. Nel campo dell’imprenditoria e della cultura sono ancora più presenti i discendenti di italiani. Per concludere vorrei riportare un aneddoto: quando all’inizio del 1997 si riunì la commissione per discutere della liberazione degli ostaggi nella casa dell’ambasciatore giapponese, occupata da un gruppo terrorista, le tre persone che si incontrarono avevano i seguenti cognomi: Palermo, il ministro, Cipriani, il Vescovo e Cerpa Cartolini, il capo terrorista; il primo ministro era Pandolfi e l’unico ostaggio ucciso fu il giudice Giusti. Cito questo tragico aneddoto per mostrare che la presenza italiana in Perù, anche se non massiccia, ha lasciato un’impronta impossibile da cancellare ed ha contribuito ampiamente alla formazione del paese, così come appare oggi.
Note
1 | L’edizione in spagnolo dello studio è apparsa a Lima nel 1993: Los italianos en la sociedad peruana. Una visiòn històrica |
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