Poco noto al di fuori della ristretta cerchia dei cultori di storia locale dell’Amerino, Mattia Giurelli fu uno dei personaggi più poliedrici dell’anarchismo italoamericano. Originario di Porchiano del Monte, frazione del comune di Amelia in provincia di Terni, dove nacque nel 1897, a sedici anni emigrò ad Arnold, in Pennsylvania per lavorare in una vetreria e, da qui, nel primo dopoguerra si spostò a Paterson, nel New Jersey. Oltre che operaio e sindacalista, attivo prima nelle fila degli Industrial Workers of the World e poi nei ranghi della Textile WorkersUnion of America affiliata al Congress of Industrial Organizations, Giurelli fu anche antifascista negli anni venti e trenta, quando militò nella Anti-Fascist Alliance of North America, nonché membro della Mazzini Society durante la Seconda guerra mondiale. Negli Stati Uniti riuscì pure a diventare un piccolo imprenditore, ma non abbandonò mai né il suo orientamento radicale e le radici proletarie né rescisse il proprio rapporto con la terra d’origine. In particolare, dagli Stati Uniti finanziò l’acquisto dell’immobile per la creazione della Casa del popolo di Porchiano e rientrò varie volte in Italia per brevi soggiorni prima di tornare stabilirsi in modo definitivo nel paese natale cinquantasei anni dopo averlo lasciato. Morì nel 1979 dopo aver investito i risparmi statunitensi per l’acquisto di un parco che donò alla comunità porchianese.
Il ricordo di Giurelli è in parte conservato da una intervista rilasciata a Sandro Romildo l’anno precedente la morte e pubblicata nel quaderno Il sogno di Mattia. Tra Paterson e Porchianio, a cura di Antonio Canovi, Sandro Romildo e Maria Grazia Ruggerini (Amelia, Leoni, 2009). Per approfondire ulteriormente la figura di Giurelli nelle sue molteplici sfaccettature il comune di Amelia ha organizzato una giornata di studi dedicata espressamente alle sue vicende biografiche e al loro contesto sociale, politico ed economico.
Il convegno, curato da Antonio Canovi e Maria Grazia Ruggerini, è stato aperto da una relazione di Alberto Sorbini sui tempi e le peculiarità dell’emigrazione di massa dall’Umbria, un fenomeno che si manifestò con un certo ritardo rispetto ad altre regioni – grazie soprattutto alle opportunità di impiego rappresentate dagli impianti siderurgici di Terni – e raggiunse il culmine proprio nell’anno in cui Giurelli partì per gli Stati Uniti all’interno di un quindicennio prebellico contrassegnato da una marcata intensificazione dei flussi in uscita. Sandro Portelli ha evidenziato il contrasto tra la dimensione pubblica e quella privata dell’esperienza di Giurelli, sottolineando come il personaggio, che costituiva quasi un’icona rivoluzionaria ammirata e rispettata dalla propria comunità, si fosse invece ritrovato solo e isolato nei rapporti familiari. Antonio Canovi ha tracciato un quadro geo-storico del contesto da cui partì Giurelli, delineando specialmente le caratteristiche dell’emigrazione contadina e il quadro delle lotte agrarie all’inizio del Novecento, a cui dette il proprio contributo anche il padre di Mattia Giurelli, Giuseppe, nella sua veste di capo della lega di Porchiano.
Elisabetta Vezzosi ha analizzato i contenuti dell’intervista a Giurelli, soffermandosi non soltanto su quanto vi viene esplicitamente affermato, ma anche su una serie di silenzi. Secondo la lettura di Vezzosi, da un lato, la testimonianza di Giurelli evidenzia l’identità ibrida o multipla del personaggio, per la sua volontà di superare la frammentazione tra anarchici e socialisti e il suo intento – nonostante il trasferimento negli Stati Uniti – di mantenere un rapporto stretto con il paese d’origine, dove investì risorse dalle indubbie ricadute politiche. Dall’altro, l’esaltazione del radicalismo da parte di Giurelli ne mette in luce solo gli aspetti positivi della socialità e dell’impegno politico e sindacale, dimenticando che gran parte di queste lotte si conclusero con sconfitte indotte dalla repressione delle autorità. Inoltre, nei ricordi di Giurelli non trova spazio alcuno la militanza femminile.
Carlo De Maria ha tracciato un parallelo tra la vicenda di Giurelli e quella di un altro anarchico italiano che visse a lungo a Paterson, il biellese Alberto Guabello, soffermandosi specialmente sugli elementi di analogia e di diversità. Entrambi furono assertori della necessità di travalicare le contrapposizioni interne alla Sinistra radicale in nome della solidarietà tra gli sfruttati. Tuttavia, mentre Guabello abbandonò l’Italia per ragioni politiche e appartenne alla seconda generazione degli anarchici italiani, quella che si richiamava ancora alla vicinanza ai socialisti e ai repubblicani che aveva caratterizzato la i Internazionale, Giurelli emigrò per motivi economici e fece parte di quella terza generazione dell’anarchia che finì schiacciata dal fascismo e dallo stalinismo.
A fronte della scarsa documentazione sugli anni trascorsi da Giurelli negli Stati Uniti, Andrea De Santis si è incentrato sul periodo successivo al suo ritorno a Porchiano. In particolare, raccordando le vicende locali alla storia italiana della seconda metà del Novecento, De Santis ha esaminato come Giurelli – rientrato alla fine degli anni sessanta in un paese vuoto sia civilmente sia come comunità – si fosse impegnato a riorganizzare quel tessuto promotore di socialità e di sperimentazione di auto-organizzazione che nell’Amerino si era disgregato con la fine della mezzadria.
La rievocazione di Giurelli ha, infine, assunto una dimensione corale e collettiva nelle testimonianze portate da coloro che lo conobbero di persona e che collaborarono con lui nelle iniziative che promosse a Porchiano dopo il suo rientro in Italia. In tal modo, il piano più accademico del convegno è venuto a saldarsi con una prospettiva più personale, che ha ulteriormente contribuito ad arricchire la conoscenza della figura di Giurelli attraverso alcuni esempi della costruzione della sua memoria pubblica. In quest’ultimo ambito, la giornata di studio ha anche fornito l’occasione per la presentazione di un documentario su Giurelli, curato dal regista Paolo Boccio e commentato da Vanessa Roghi. Costituito non da un vero e proprio montaggio bensì da una sequenza di immagini girate in parte dallo stesso Giurelli, il filmato ha offerto un campione sia del suo sguardo sul mondo sia della sua rappresentazione, fornendo così un ulteriore esempio di quella intersezione tra pubblico e privato che ha contraddistinto gran parte del convegno.
Stefano Luconi