L’American Italian Historical Association, da pochi mesi ribattezzata Italian American Studies Association, ha tenuto il suo quarantaquattresimo convegno annuale a Tampa. Nel 1910 questa città fu teatro di un sanguinoso sciopero dei lavoratori di origine cubana, spagnola e italiana delle manifatture di sigari, nel corso del quale furono linciati due immigrati siciliani, Angelo Albano e Castenge (alias Castenzio o Costanzo) Ficarotta. In considerazione dell’ampiezza della tematica dell’assise e della specifica focalizzazione sulla «politica del corpo», ci si sarebbe potuti aspettare che una sessione o almeno una relazione venisse dedicata a tale vicenda. L’esposizione dei cadaveri delle vittime è, infatti, uno degli aspetti più rilevanti del linciaggio in quella dimensione di spettacolo pubblico sulla quale si è soffermata negli ultimi tempi non soltanto la storiografia, ma anche la critica letteraria (si veda per esempio, Jacqueline Denise Goldsby, A Spectacular Secret. Lynching in American Life and Literature, Chicago, University of Chicago Press, 2006; Amy Louise Wood, Lynching and Spectacle. Witnessing Racial Violence in America, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 2009). Però, nessun intervento si è incentrato sul tumultuoso e luttuoso conflitto sindacale del 1910.
Nondimeno le indagini di storia locale, che ormai da molto tempo costituiscono un orientamento largamente diffuso degli studi italoamericani, non hanno certo trascurato la Florida, a partire dalla prolusione di Gary Ross Mormino, dedicata soprattutto ad alcune riflessioni personali sulla sua esperienza di studioso a partire dalla ricerca svolta alcuni anni fa con George E. Pozzetta per ricostruire la storia della comunità italoamericana del distretto di Ybor City a Tampa (The Immigrant World of Ybor City: Italians and Their Latin Neighbors in Tampa, 1885-1985, Urbana, University of Illinois Press, 1987). In questo ambito, Antonietta Di Pietro ha indicato i tratti salienti delle origini della presenza italiana nella contea di Dade nel secondo e nel terzo decennio del Novecento, grazie al boom delle costruzioni ferroviarie e dell’edilizia nella zona di Miami; Jonathan Daniel O’Neill Ramazzini ha presentato un caso studio su come l’apertura di una trattoria a West Palm Beach da parte di immigrati da Bagheria possa rappresentare una forma di ex voto laico nei termini di riscatto personale e di tributo agli antenati familiari; Erin Elio Patel ha illustrato gli elementi di sicilianità e di italianità nell’opera del pittore Tom Di Salvo, vissuto a Boca Raton e scomparso pochi mesi prima.
La dimensione della storia locale è stata affrontata anche in altri contesti. Per esempio, Judith Pistacchio Bessette ha tracciato l’ingresso in politica all’inizio del Novecento da parte degli immigrati italiani a North Providence; Tommaso Caiazza ha delineato il ricambio di leadership nella Little Italy di San Francisco a cavallo della Seconda guerra mondiale; Patricia M. Coate ha delineato la biografia di Sebastiano Salerno, un siracusano che svolse l’attività di banchista a Omaha nel Nebraska prima della grande depressione degli anni trenta e finì ucciso da un cliente che aveva perduto i propri depositi per il suo fallimento; Frank A. Salamone si è occupato della comunità italoamericana di Rochester nel secondo dopoguerra, soffermandosi sui mutamenti demografici e sulle differenze tra l’ondata immigratoria prebellica e il più contenuto flusso postbellico, con particolare riferimento al senso di identità etnica e alla capacità di assimilazione e di adattamento dei rispettivi componenti.
La conferenza di Tampa ha attestato come l’esperienza italoamericana dopo la Seconda guerra mondiale si stia rivelando un argomento in grado di suscitare un crescente interesse tra gli studiosi di questa minoranza etnica. Oltre alla relazione di Salamone, infatti, a questo tema è stata dedicata un’intera sessione per illustrare un progetto di ricerca specifico, coordinato da Joseph Sciorra e Laura Ruberto, sui molteplici aspetti storici, antropologici e culturali di questa fase della presenza degli italiani e dei loro discendenti negli Stati Uniti. Un ulteriore intervento di Danielle Battisti ha proposto una lettura dell’americanizzazione degli italoamericani nel secondo dopoguerra attraverso l’anticomunismo e l’adesione del loro stile di vita al modello statunitense della società dei consumi, indicando come l’American Committee on Italian Migration abbia sfruttato proprio l’adozione di una mentalità consumistica da parte degli immigrati italiani per attestare la loro assimilabilità e chiedere un’attenuazione delle norme restrittive che ne limitavano l’ingresso negli Stati Uniti. Di contro, ma sempre nella sfera delle indagini sulla seconda metà del Novecento, Michael Eula ha sottolineato la maturazione, negli anni sessanta, di un contrasto tra la diffusione della controcultura nella società statunitense e il rafforzamento dei valori italoamericani ancora imperniati sul senso della famiglia e sulla centralità del ruolo autoritario della figura paterna al suo interno.
Se il convegno di Tampa ha indicato il dipanarsi di nuovi filoni d’indagine, non ha necessariamente rivelato approcci alternativi allo studio dell’esperienza italoamericana. La storia locale – se non addirittura la microstoria – appare ancora l’ambito privilegiato dalle ricerche. Inoltre, l’analisi comparativa – quando presente – è declinata di preferenza nella prospettiva transnazionale del confronto tra la realtà del paese d’adozione e quella della terra d’origine. Resta, invece, poco praticato l’esame dei rapporti tra gli italoamericani e le altre minoranze etniche, con rischio che il perdurare di questo orientamento possa finire per chiudere gli Italian-American Studies nel ghetto dell’autoreferenzialità.
Stefano Luconi