Per gentile concessione di Maria C. Prodi
Maria Chiara Prodi, consigliera del CGIE e presidente della commissione «Nuove migrazioni e generazioni nuove» è tra le organizzatrici della conferenza dei giovani italiani nel mondo che si è tenuta a Palermo dal 16 al 19 aprile.
All’incontro hanno partecipato 115 giovani (under 35) di cittadinanza italiana, di cui una trentina «emigrati» negli ultimi anni, e il resto discendenti, oltre a numerosi politici, operatori ed esperti tra cui Domenico De Maio (Agenzia Nazionale per i Giovani), Stefano Queriolo Palmas (Direzione Generale Sistema Paese del mae), Giovanna Fadda (coordinatrice marketing dell'ice) Gaetano Calà (Associazione Nazionale Famiglie Emigrate-anfe).
Prima di parlare della conferenza, ci vuol raccontare brevemente la sua storia «migratoria» o di mobilità? Metto le virgolette perché mi piacerebbe anche sapere come lei si definisce.
Ogni definizione nasconde un inganno. Quindi di solito le uso tutte (migrante, europea, mobile...), in chiave dialettica rispetto al mio interlocutore.
In origine sono partita, come tanti, per un Erasmus. Poi, al termine di un master in Italia, mi sono trovata a dover scegliere tra fare lo stage di convalida degli studi restando nel Belpaese (non remunerata) o all’estero (con una borsa Leonardo). Tra lavorare gratis o essere pagata ho fatto la mia piccola scelta di autonomia e di buonsenso, che poi ha generato tutte le altre.
Vorrei chiederle di iniziare con un profilo dei giovani partecipanti: come sono stati selezionati, la percentuale di maschi e femmine e degli oriundi rispetto ai nuovi migranti; i paesi di provenienza...
Come cgie volevamo prenderci la responsabilità di coordinare e offrire alle comunità un progetto ambizioso di coinvolgimento e formazione giovanile, rispondendo a un bisogno reale. Ma volevamo che tutti i 107 Comites e le Consulte regionali avessero la libertà di selezionare i propri delegati in maniera corrispondente ai propri bisogni. Abbiamo quindi dato solo tre criteri: età compresa tra i 18 e i 35 anni, cittadinanza italiana (e padronanza della lingua), motivazione. La selezione così ottenuta ha visto una totale parità di genere, 40 per cento dei delegati erano di nuova emigrazione, mentre il 60 per cento di seconde e terze generazioni. Senza sorpresa i territori più rappresentanti erano quelli con comunità italiane radicate, mentre non abbiamo avuto delegati dalla Cina e dal Nord Africa.
Nella prima giornata i giovani sono stati divisi in gruppi a seconda della area di provenienza, mi sembra classificata secondo le circoscrizioni elettorali, mi corregga se sbaglio, e poi invitati a discutere e a rispondere a una serie di domande, ce le può elencare e dire come sono state elaborate?
Il senso di avvalersi delle tecniche partecipative (e di due facilitatori professionisti) era quello di dare le chiavi del successo dell’evento direttamente e immediatamente ai ragazzi. Per poter arrivare, il secondo giorno, direttamente a elaborare progetti ed essere molto operativi, era necessario «rompere il ghiaccio» e soprattutto offrire ai ragazzi (che prima non si conoscevano) elementi insieme ludici e sostanziali per capire con chi si aveva a che fare. Sullo spazio circolare della «Sala onu» del Teatro Massimo, abbiamo quindi chiesto ai ragazzi di disporsi secondo paesi di provenienza, secondo anni di nascita, a seconda se fossero studenti o lavoratori, se avessero entrambi i genitori italiani o no. Poi i gruppi, divisi per paese di provenienza, hanno elaborato dei cartelloni per presentare l’italianità «filtrata» dalla cultura del loro paese di residenza: in cosa restiamo riconoscibili, che qualità o difetti trasmettiamo? I risultati di questa sessione non sono rimasti oggetto degli atti, perché ci premeva ci fosse un tempo di parola per dirsi anche l’ovvio, gli stereotipi, il contesto. E poterci sbarazzare di tutto questo nei giorni a venire.
Un momento dei lavori al Teatro Massimo
Foto di Maddalena Tirabassi
Attraverso la sua esperienza, quali sono le novità emerse da questo incontro?
La capacità di fare immediatamente squadra di questi ragazzi è di una forza contagiosa. Rispetto alla Conferenza Mondiale dei Giovani del 2008, avevamo poi dalla nostra una quantità di nuovi strumenti di comunicazione e di lavoro che si stanno rilevando essenziali. I social network, le applicazioni di chat, le piattaforme di videoconferenza. La novità è una generazione che ha strumenti propri, canali nei quali le nostre rappresentanze erano totalmente sconosciute. Per fare una battuta, si può dire che ci abbiano aiutato a rendere i Comites e il cgie molto «cool» e trasmettere voglia di impegnarsi e, perché no, di candidarsi.
Ritiene che si siano superati i tempi in cui gli italiani all’estero erano considerati un bacino di voti e che siano diventai sempre più ambasciatori del soft power italiano?
Devo confessare che di base i giovani italiani (che siano in Italia o all’estero) non si aspettano molto dalle istituzioni, e il mito del bacino elettorale è in fase assai calante. Però frequentare noi consiglieri cgie, sentirsi investiti di un incarico dai loro Comites, sentire che le istituzioni vivono, tra la gente, del nostro impegno di volontari, ha fatto capire a loro (e ricordato a noi) che tanto dipende dalla nostra capacità di agire e occupare spazi. Diciamo con una logica più progettuale che legata alle cariche.
La presentazione di Famiglie transnazionali dell’Italia che emigra. Costi e opportunità di V. Bonatti, A. Del Pra’, B. Rallo e M. Tirabassi
Per gentile concessione di Maria C. Prodi
Si è avuta la sensazione, durante la conferenza, che stesse nascendo qualcosa di nuovo, che si iniziasse davvero a fare rete, è d’accordo?
Sì, assolutamente, e ben oltre le mie aspettative. Penso che ci siano stati dei fattori essenziali: l’attesa che abbiamo creato prima del Seminario, con due mesi di videoconferenze preparatorie; l’aver circondato i delegati di arte e bellezza da togliere il fiato; la presenza di politici, anche giovani, capaci di motivare i delegati e restituire con schiettezza le sfide da cogliere in un’ottica collaborativa e non oppositiva. Cinque giorni dopo la conferenza eravamo già di nuovo riuniti in videoconferenza, e i delegati si sono autonomamente organizzati per gruppi territoriali, confrontandosi per organizzare eventi di restituzione e procedere nel lavoro dei progetti.
Può sintetizzare le istanze che sono emerse dai lavori e presentate dai gruppi di giovani l’ultimo giorno?
La Carta del Seminario di Palermo è stata redatta a seguito dei primi due giorni di tecniche partecipative. Fa eco alla Carta di Palermo del 2015, che riconosce il diritto di esprimere cittadinanza nel luogo di residenza, ma soprattutto è un grido accorato per rendere le istituzioni più capaci di rapportarsi ad una generazione mobile, molto diversa nell’immaginare l’impegno e l’identità, rispetto alle generazioni precedenti. Laddove alcuni vedono una zona grigia del disimpegno e della non appartenenza, le nuove generazioni vedono nuove modalità capaci di impatto significativo e trasformativo. Nell’ultima giornata di lavoro sono stati presentati una dozzina di progetti: da piattaforme per il networking artistico, culturale e di orientamento, a progetti di natura sportiva, di servizio, fino al conto Instagram @giovaniitalianinelmondo che raccoglie e diffonde profili per rendere conto della diversità e bellezza della Giovane Italia fuori dall’Italia. Alla plenaria cgie di inizio luglio questi progetti saranno stati approfonditi da due mesi di lavoro, e saranno presentati ai colleghi e alla stampa.
Foto di gruppo al Teatro Massimo
Foto di Rosellina Garbo per gentile concessione di Maria C. Prodi