Si intende qui indagare il rapporto tra la cittadinanza come risorsa tattica di movimento e i fenomeni storici e contemporanei della mobilità, mettendo in relazione le dinamiche migratorie dall’Italia, in Italia e verso l’Italia e l’Europa, con la richiesta, l’ottenimento, o eventualmente il diniego, della cittadinanza italiana per via genealogica, matrimoniale o di unione civile.
Gli autori del dossier si sono interrogati, in riferimento a diversi contesti geografici e storici, sul modo in cui le genealogie e le alleanze matrimoniali, più recentemente anche le unioni civili, permettono di attraversare i confini. La curiosità analitica ha investito le modalità in cui si muovono, nello spazio geografico e sociale, i «nuovi» italiani e coloro che aspettano di diventare tali, al fine di comprendere in che maniera si articolano migrazioni e «tattiche» genealogiche e di alleanza della cittadinanza italiana in un mondo globalizzato ma segregazionista.
Per quanto riguarda la cittadinanza italiana, la legge del 5 febbraio 1992 n. 91 ha messo l’accento proprio sulla volontà individuale nell’acquisirla e nel perderla, riconoscendo inoltre il diritto alla titolarità contemporanea di più cittadinanze. Tale normativa permette agli stranieri di ottenere la cittadinanza italiana attraverso qualsiasi ascendente italiano maschio in linea paterna, seguendo il cognome, che assume le veci di un cromosoma, indipendentemente dalla distanza genealogica, quindi, purché si sia in grado di produrre documenti che attestino la discendenza. Diversamente, in linea materna, la cittadinanza può essere concessa solo attraverso la madre, se nata dopo il 1948, da quando cioè la Costituzione consente alle donne di trasmettere la propria cittadinanza ai figli.
La legge di cittadinanza italiana, dunque, si basa sullo ius sanguinis, come in altri stati europei, e non sullo ius solii, come in diversi stati del continente americano. Il testo relativo alla legge sullo ius solii temperato, invece, pur essendo stato approvato dalla Camera dei Deputati nell’ottobre 2015, non ha ancora ottenuto l’approvazione del Senato, rendendo il dibattito relativo al riconoscimento della cittadinanza ancora più attuale, anche in base ai nuovi equilibri demografici ipotizzati per il futuro.
A fronte di questa situazione, vari studi ripercorrono le motivazioni e le prassi che soggiacciono alle scelte dei richiedenti cittadinanza sulla base dei requisiti genealogici. Tali lavori prendono in esame le risorse economiche e sociali dei soggetti coinvolti, ne indagano i possibili progetti migratori o ne portano alla luce le storie di successi e di fallimenti nell’acquisto della cittadinanza e nella messa in atto del percorso migratorio all’interno di diverse cornici legali1.
La cittadinanza, però, si ottiene anche per matrimonio, come ribadito dalla legge sopracitata 1992 n. 91, e i cittadini stranieri, generalmente di origine migratoria, che sposano cittadini italiani (o cittadini stranieri naturalizzati italiani) ne hanno conseguentemente diritto. Tuttavia, questa possibilità di ottenimento della cittadinanza è stata oggetto negli ultimi anni di continue rettifiche legislative. L’art. 1 comma 15 della legge n. 94/2009 ha modificato l’art. 116 cc della norma precedente. L’obiettivo della riforma è stato quello di ostacolare la celebrazione di matrimoni «di comodo», ovvero matrimoni fittizi, conseguiti con il solo scopo di ottenere la cittadinanza e a cui non corrisponde una reale unione. Questa regola si applica sia ai matrimoni misti, sia a quelli con entrambi gli sposi stranieri. La nuova legge prevedeva l’aumento del periodo di residenza dei coniugi in Italia da sei mesi a due anni e il divieto (poi dichiarato incostituzionale) di celebrare il matrimonio dello straniero non regolarmente soggiornante in Italia. La riforma si inserisce in un contesto globale di progressiva ostilità e diffidenza nei confronti dei matrimoni misti e della loro veridicità. Tra i tanti casi, è opportuno ricordare le modifiche apportate in Belgio nel 1999 al codice civile (articolo 146bis), secondo le quali l’ufficiale civile può rifiutarsi di celebrare un’unione ritenuta sospetta. Nello stesso solco appaiono essere le modifiche legislative dei governi francesi che a partire al 2003 hanno inasprito le pene contro i matrimoni grigi, rendendo sempre più complesso il percorso di coloro che decidono di sposarsi (sono previsti severi interrogatori ai partner, visite nella nuova residenza e così via).
Numerosi studi sulle coppie miste in Italia e non solo (Barbara, 1993; Tognetti Bordogna, 1996; Philippe, Varro, Neyrand, 1998; Sinke, 1999; Alotta, 2000; Constable, 2005; Peruzzi, 2008; Benhabib, Resnik, 2009; Kim, 2010; Salcedo Robledo, 2011; Varro, 2012; Settepanella, 2014, Rodriguez-Garcia, 2015) aiutano a mettere a fuoco le tante possibili connessioni tra unioni matrimoniali, progetti e processi migratori e la questione della cittadinanza. Gli studi sul campo, inoltre, complicano il concetto di «matrimonio di comodo» inserendo anche la cittadinanza tra le risorse condivise all’interno di una coppia.
La centralità della questione nel dibattito anche politico si evince altresì dalle ultime ipotesi di modifica in campo legislativo. Entrambe le modalità di richiesta di cittadinanza – per discendenza e per matrimonio – sono oggetto della proposta di decretolegge in corso di lavorazione, da parte del Ministro dell’Interno Matteo Salvini, che verrà presentata entro la fine di settembre 2018. Il decretolegge prevedrà la restrizione della richiesta di cittadinanza che, nei casi di richiesta per ius sanguinis, verrà limitata ai discendenti in linea diretta di secondo grado, mentre per matrimonio verranno ampliati i requisiti di residenza minima per i richiedenti.
Il nostro contributo, in linea con gli studi già avviati, si concentra quindi, grazie ai diversi approcci che confluiscono nelle scienze sociali, sulla dialettica esistente fra strategie e tattiche nella richiesta di cittadinanza in relazione a progetti migratori attivi, o da attivare. Il riferimento teorico è alla riflessione proposta da Michel De Certeau (1980) che contrappone le strategie, ovvero le imposizioni sulla persona che arrivano dall’alto, alle tattiche, cioè i vari metodi utilizzati dagli individui e dai gruppi per resistere alle strategie. De Certeau, infatti, riconduce all’interazione fra queste due modalità il rapporto tra società e individuo. Accanto alle strategie di potere, viene così esaminata anche la libertà tattica di movimento sociale, ossia i margini di manovra ricavati dagli individui per mezzo delle proprie risorse, anche genealogiche o matrimoniali ad esempio, che permettono di sfruttare «occasioni favorevoli» nell’ambito delle strutture imposte oppure di aggirare tali strutture.
In quest’ottica, anche coniugi e antenati rappresentano potenziali risorse per incrementare il capitale sociale personale, rendendo così la genealogia, in quanto discendenza/ascendenza, e l’alleanza matrimoniale o basata sulla convivenza, dispositivi tattici per ottenere diritti e muoversi attraverso i confini dello spazio gerarchico globale. Di conseguenza, le pratiche genealogiche (che fanno riferimento all’ascendenza) e quelle matrimoniali dell’alleanza e della convivenza consentono alle persone di produrre i documenti richiesti, relativi all’antenato o al coniuge o convivente, per poter avviare l’istruzione della pratica di cittadinanza italiana e avere così accesso a un passaporto dell’Unione Europea. Tuttavia, nel caso dei discendenti degli italiani, a causa del notevole aumento delle richieste, gli uffici diplomatici italiani hanno iniziato a restringere la concessione di cittadinanza, attraverso una sistematica burocrazia tesa a ritardare la procedura. Gli individui, quindi, una volta consapevoli della propria posizione rispetto alle strategie istituzionali, mettono in atto una serie di comportamenti tattici che trasformano le risorse personali, familiari e comunitarie disponibili in azioni reali finalizzate all’ottenimento della cittadinanza italiana.
Le tattiche genealogiche e d’alleanza sono molteplici e fluide, oltre a differenziarsi in base alle caratteristiche di età e genere dei richiedenti cittadinanza, come alcuni contributi all’interno del dossier metteranno in luce.
Per quanto riguarda la mobilità, si farà riferimento a fenomeni complementari, partendo dalle migrazioni storiche degli italiani in Argentina e dei coloni italiani in Africa Orientale (Camilleri) dei secoli xix e xx, per poi arrivare alle dinamiche migratorie contemporanee delle seconde generazioni di italiani di origine etiope ed eritrea (Grimaldi), fino a ribaltare la prospettiva migratoria e guardare alle migrazioni verso Italia. Si tratta delle migrazioni, ipotetiche o effettive, dei discendenti dei migranti italiani provenienti dall’Argentina (Salvucci) e dall’Eritrea (Fusari), ma anche dei coniugi stranieri di cittadini italiani che scelgono l’Italia come patria elettiva (Marena) e delle donne migranti che sposano cittadini italiani (Settepanella). In relazione alla cittadinanza italiana, si andrà, infatti, dal diritto genealogico dei discendenti dei migranti italiani (Salvucci, Fusari, Camilleri), al diritto dei coniugi (Grimaldi, Settepanella) e dei conviventi migranti, anche omosessuali (Marena), di cittadini e cittadine italiani.
Tutti gli articoli inclusi nel dossier metteranno in risalto le «tattiche» genealogiche e d’alleanza che permettono di attraversare i confini, indagando gli usi soggettivi della cittadinanza italiana in quanto strumento oggettivo di mobilità, l’accesso al quale, spesso ostacolato, non mette comunque al riparo dai problemi legati alle migrazioni e ai fenomeni, troppo frequentemente connessi, di discriminazione e vulnerabilità sociale.
L’attenzione dei contributi è volta, quindi, a fare luce su come la cittadinanza, intesa più come opportunità che come appartenenza, permea e regola la possibilità di movimento delle persone, includendo di fatto nelle storie di vita anche la storia culturale del Paese di provenienza e di quello di cui si richiede la cittadinanza. Pertanto, l’analisi dei modi in cui le singole soggettività eludono le imposizioni sociali oppure utilizzano le possibilità offerte dalle norme e dalle istituzioni, riproducendo, o sovvertendo, l’ordine politico e sociale, è messa in relazione all’esperienza migratoria, all’attivazione di un progetto migratorio oppure alla ricerca di maggiori opportunità per le generazioni dei discendenti dei migranti. Le tattiche genealogiche e d’alleanza volte a ottenere la cittadinanza italiana in relazione al fenomeno migratorio sono analizzate sia in riferimento alla contemporaneità sia in prospettiva storica.
Gli autori dei saggi raccolti provengono, infatti, da ambiti di formazione diversi all’interno delle scienze umane e sociali, come la storia, l’etnodemografia e l’antropologia culturale, e in alcuni casi utilizzano, combinandoli, approcci differenti, ad esempio integrando, da un lato, lavoro di campo etnografico, inchieste di tipo qualitativo, basate su interviste in profondità e trascrizioni di storie di vita, e, dall’altro, ricerche o compilazioni di dati di tipo quantitativo, fino a includere ricostruzioni storiche basate su fonti bibliografiche e d’archivio. Questi approcci metodologici multipli, in alcuni casi dichiaratamente interdisciplinari, consentono di meglio comprendere la complessità dei fenomeni presi in considerazione.
Nel primo saggio proposto, Daniela Salvucci si concentra sulle tattiche genealogiche degli italoargentini, mettendo in relazione l’aumento delle richieste di cittadinanza italiana da parte di argentini discendenti di migranti italiani con le nuove emigrazioni argentine verso gli Stati Uniti e soprattutto l’Europa, da un lato, e con la contemporanea diffusione della genealogia amatoriale in Argentina dall’inizio del nuovo millennio, dall’altro. Utilizzando dati statistici e interviste, l’autrice mette in luce come la ricerca degli antenati, funzionale all’ottenimento della cittadinanza, non implichi necessariamente un progetto migratorio e, soprattutto, produca una generale riscoperta e valorizzazione dell’immigrazione italiana nella memoria familiare e collettiva argentina.
Il saggio di Valentina Fusari, invece, prende in esame la situazione degli italoeritrei, discendenti di coloni italiani in Eritrea e di donne locali, indagando come le tattiche genealogiche per ottenere la cittadinanza italiana si scontrino, in questo caso, con la mancanza di documenti che attestino la discendenza e con le zone d’ombra della memoria familiare, dovute alle pratiche coloniali di repressione e invisibilizzazione legale del meticciato. Ricorrendo alla ricostruzione storica e al lavoro etnografico con gli attuali richiedenti cittadinanza, infatti, l’autrice dimostra come la sistematica discriminazione dei meticci, che la legge coloniale fascista impediva ai padri italiani di riconoscere e che in molti casi finivano negli istituti gestiti da religiosi, si ripercuota al giorno d’oggi su di loro e sui loro discendenti esclusi dalla cittadinanza italiana, una risorsa tattica indispensabile per emigrare, non tanto verso l’Italia, quanto verso quegli stati europei già recettori della diaspora eritrea.
Proprio di «cittadinanza negata» parla, infatti, Nicola Camilleri, nel suo saggio dedicato all’approfondimento storico della legislazione coloniale che escludeva dalla cittadinanza italiana le popolazioni locali della Colonia Eritrea prima e dell’Impero dell’Africa Orientale Italiana poi, relegando i nativi e i loro discendenti allo stato giuridico di «sudditi». Uno status che facilitava, inoltre, il controllo della mobilità geografica e sociale dei «dominati» da parte delle autorità coloniali. L’autore mette in luce come un tale sistema, basato sulla rigida differenziazione razzista degli stati giuridici, pregiudicasse la situazione dei coniugi nativi, all’interno dei pochi matrimoni misti celebrati, e soprattutto quella dei discendenti meticci dei coloni italiani, definitivamente esclusi dalla cittadinanza paterna dalle leggi coloniali fasciste, atte a reprimere le tattiche genealogiche e d’alleanza.
Appartenente al contesto del Corno d’Africa, ma situato in una dimensione migratoria contemporanea si colloca il saggio di Giuseppe Grimaldi. L’autore analizza trasversalmente, grazie a un delicato lavoro etnografico, i percorsi dei figli di immigrati di origine etiope residenti in Italia che utilizzano la loro cittadinanza come risorsa in grado di attivare altri percorsi migratori dall’Eritrea, attraverso l’organizzazione di matrimoni combinati. L’autore fa emergere come il valore che assume la cittadinanza per gli appartenenti alle seconde generazioni (concetto che viene esso stesso ampiamente discusso) possa essere divergente dalle rappresentazioni di immobilità che soggiacciono all’idea di cittadinanza. L’inclusione differenziale dei figli di migranti nella società italiana complica infatti la coincidenza tra identità nazionale e cittadinanza mentre apre a complessi posizionamenti dei soggetti interessati che si collocano in un orizzonte multiplo di appartenenze.
Sul discrimine tra rappresentazioni dell’apparato legislativo e pratiche discordanti si colloca anche il saggio di Sara Settepanella che indaga le conseguenze della richiesta di cittadinanza in seguito al matrimonio di donne migranti sposate con uomini italiani. Il saggio, frutto di interviste a coppie bi-nazionali, cerca di entrare nel confine tra autenticità della relazione e accusa di unione di convenienza per mostrare come queste coppie siano incolpate (dai discorsi pubblici e politici) di rivelare un nodo (quello tra amore e interesse materiale) che connota invece ogni relazione amorosa. La richiesta di cittadinanza diventa così occasione per guardare ai percorsi individuali e di coppia come tattiche per organizzare, in un contesto migratorio caratterizzato da una condizione di precarietà e spesso fragilità, le proprie risorse.
La richiesta di cittadinanza può avvenire, secondo le ultime modifiche della legge 76 del 20 maggio 2016, anche per i cittadini stranieri che hanno contratto un’unione civile con cittadini italiani dello stesso sesso. Questa modifica è l’oggetto della disamina di Davide Marena nel suo saggio. L’autore prende in esame alcune sentenze che hanno portato alla modifica legislativa e ricostruisce il dibattito politico per l’accesso alla cittadinanza delle coppie miste omosessuali. La condizione migratoria, così come quella coloniale, ridisegna quindi le frontiere interne di uno Stato-Nazione e sfida la coincidenza tra confini e territorio. L’intimità dei soggetti coinvolti non ne è esclusa, ma anzi diventa terreno di sconto e di dibattito pubblico laddove pratiche e tattiche vengono messe all’opera dagli attori sociali per ovviare alle difficoltà di un apparato legislativo ad accesso differenziale.
Gli articoli proposti si distinguono per ricchezza dei contenuti e diversità di approcci al tema. Convergono però nel mostrare da molteplici angolature il rapporto tra gli individui e gli stati e i loro ordinamenti. Quello che ne emerge è una relazione non biunivoca. Da una parte vi sono gli apparati statali che organizzano strategie per determinare o ostacolare l’appartenenza, classificando i possibili candidati alla cittadinanza come assimilabili o meno e secondo quali condizioni. Dall’altra i soggetti individuali che con le proprie risorse, genealogiche e d’alleanza nei casi analizzati, predispongono tattiche per accedere alla cittadinanza, offrendo interpretazioni e pratiche, e aprono il discorso dell’appartenenza, rendendolo conflittuale o per lo meno non lineare. I punti di vista, anche cronologicamente e geograficamente distanti che gli autori dei testi propongono, hanno il vantaggio di mettere a confronto contesti e pratiche diverse mostrando come la cittadinanza risulti un campo di forze non omogenee. In questo senso sarebbe opportuno aprire il confronto agli altri contesti europei, dove, come si è accennato, si sono innescati processi simili di riorganizzazione delle pratiche di accesso alla cittadinanza sotto la spinta delle migrazioni internazionali, delineando nuove e complesse articolazioni tra strategie e tattiche.
Note
1 A titolo esemplificativo, per il caso degli italoargentini si veda: Cacopardo, 1992; Rhi Sausi, García, 1992; Bramuglia, Santillo, 2002; Tirabassi, 2002; Novik, 2006; Devoto, 2007; del Pra’ e Tirabassi, 2007; Fusaro, 2008; Calvelo, 2011; per il caso degli italoeritrei si veda: Barrera, 2002; Labanca, 2002; Favali, Pateman, 2003; Ballinger, 2007; Poidimani, 2009; Giuliani, 2013; Fusari, 2018; per il caso degli italosomali Morone, 2018; per il caso degli italoetiopici Trento, 2007.
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