Leila El Houssi, L’urlo contro il regime. Gli antifascisti italiani in Tunisia fra le due guerre

Roma, Carocci, 2014, pp. 230, € 22.

Il contributo di Leila El Houssi, frutto della sua tesi di dottorato e dato alle stampe grazie al contributo dell’anppia (Associazioni Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti), si inserisce nella ormai crescente storiografia delle migrazioni italiane in area mediterranea, confermando l’autrice come una delle fautrici dello sviluppo di questa componente degli studi. Il tema è stato troppo spesso taciuto o affrontato in maniera superficiale e monolitica, soprattutto in Italia; come nota la stessa El Houssi, invece, gli studi francesi sono stati più abbondanti e precoci. La storiografia italiana ha presentato per lungo tempo una comunità allineata col regime mussoliniano, senza indagare sul movimento antifascista, sulle sfaccettature della presenza italiana e sull’eterogeneità della collettività migrante. Ed è proprio la volontà di raccontare gli italiani di Tunisia come non solo silenziosi sostenitori del fascismo uno degli obiettivi principali del lavoro qui recensito, come dichiara la stessa autrice nell’introduzione.

El Houssi delinea a questo proposito le peculiarità del movimento di opposizione al fascismo, partendo dalle caratteristiche della stessa comunità e tracciando i vari contesti di politica italiana e di relazioni internazionali che facevano da cornice. La ricerca è resa possibile dall’utilizzo di fonti di varia natura, intrecciate magistralmente. L’autrice si muove infatti tra gli archivi italiani, francesi e tunisini, affiancando a essi la memorialistica e le testimonianze dirette di alcuni dei protagonisti. A questo si accompagna una profonda conoscenza della bibliografia precedente, sia italiana che francese.

La monografia rappresenta un importante contributo alla conoscenza delle migrazioni nel Mediterraneo e della presenza italiana in paesi a noi molto vicini, sia allora che oggi. Il merito dell’autrice è anche quello di avere fatto un testo di agile lettura, arricchito da illustrazioni in appendice.

Il volume si articola in cinque capitoli in una carrellata cronologica dall’inizio del Protettorato francese alla vigilia del Secondo conflitto mondiale. Il primo è un utile strumento anche per i non addetti ai lavori, soprattutto per quanto riguarda la panoramica sulla comunità e le ragioni dell’approdo degli italiani nel paese nordafricano. Da queste prime pagine emerge uno degli aspetti imprescindibili quando si parla di comunità migranti nei paesi coloniali, ossia quello dei rapporti di forza tra la potenza coloniale e il paese d’origine dei migranti. Nel caso della Tunisia il tutto è molto complesso. L’Italia infatti aveva delle mire su quello che veniva considerato un territorio vicino e quasi un’appendice geografica naturale della penisola, in particolar modo e soprattutto nelle dichiarazioni del governo fascista (secondo l’interpretazione di El Houssi, molto più nelle parole che nei fatti). Allo stesso tempo, gli italiani di Tunisia si erano sentiti trascurati dalla madrepatria e temevano che le politiche assimilatorie della Francia fossero di ostacolo al mantenimento dell’italianità, quest’ultima una parola e un concetto utilizzati dalle diverse componenti politiche e sociali della collettività. In questa parte del volume, come nelle altre, è interessante la descrizione dell’evolversi non solo del movimento antifascista ma anche delle posizioni del governo fascista, alla ricerca di una strategia equilibrata contro l’opposizione degli italiani, l’antifascismo internazionale, il partito nazionalista tunisino e, come già visto, la Francia. I comportamenti del regime furono diversi: dalla fascistizzazione alla ricerca del dialogo, fino e passando per l’apparente abbandono della questione.

Nella seconda sezione vengono analizzate le diverse sacche di opposizione al regime e le loro origini. L’antifascismo in Tunisia poggiava sulla tradizione massonica e liberal borghese che aveva come protagonisti soprattutto gli ebrei di origine livornese, ma anche sulla parte operaia della comunità che si avvicinava ai movimenti di sinistra e poi al partito comunista. Fu soprattutto la crisi economica, come mostrato nel terzo capitolo, a dare coesione e motivi di aggregazione alle frange antifasciste e a porre le basi per il protagonismo del partito comunista nella lotta clandestina contro il regime, anche in terra tunisina. Siamo quindi negli anni trenta, decennio in cui, con il patto Mussolini-Laval (1935) sembra confermata l’altalenanza che in particolar modo il governo italiano applicò alla questione tunisina. Questo aspetto, come pure l’impresa etiopica e la spinta del Front Populaire e della guerra di Spagna, diedero nuova forza all’antifascismo. Nel quinto e ultimo capitolo sono presentati gli ulteriori scontri tra Italia e Francia e viene ricostruita la vicenda dell’assassinio del giovane falegname comunista Michele Miceli, ucciso da un commando fascista di cadetti della marina militare italiana. L’evento segnò un punto di svolta, nonché la prova dell’esistenza di un fronte unito e compatto dell’antifascismo, ormai conscio dell’importanza della Tunisia, inviandovi esponenti del calibro di Velio Spano e Giorgio Amendola.

 

Sara Rossetti