Nel 1915 il diciassettenne Salvatore Ferragamo partì da Bonito, un paesino dell’Irpinia, per andare in America a studiare l’arte della calzatura, imbarcandosi in terza classe sul transatlantico Stampalia. Nel 1927 ritornò in Italia sul Roma, in prima classe, dopo esser divenuto «Il calzolaio delle stelle» a Hollywood. Il viaggio sulla nave che riportò in Italia Salvatore Ferragamo ha costituito il filo conduttore della mostra «1927 – Il ritorno in Italia» (19 maggio 2017-2 maggio 2018), per celebrare i 90 anni dell’anniversario del rientro. Ideata dalla direttrice Stefania Ricci e curata da Carlo Sisi, con la scenografia di Maurizio Balò) è stata allestita nel Museo Salvatore Ferragamo (Palazzo Spini Feroni). Nella stessa sede, il 24 maggio è stata inaugurata la mostra «L’Italia a Hollywood» (a cura di Giuliana Muscio e Stefania Ricci). Parliamo di queste iniziative con Stefania Ricci. La poliedrica vita di Ferragamo si riflette nelle numerose mostre già allestite dal Museo, ci vuole parlare di come è nato il museo e delle attività sinora svolte?
Il museo è nato nel 1995 dopo il successo di una mostra sulla storia di Salvatore Ferragamo e delle sue creazioni, le scarpe, che ha fatto il giro del mondo. Improntato inizialmente sulla storia del fondatore e dell’azienda Ferragamo, il museo si presentava con le caratteristiche di un museo d’impresa, locato nella sede storica della Salvatore Ferragamo, Palazzo Spini Feroni a Firenze, al secondo piano. L’ingresso era regolamentato da un servizio di prenotazioni, attivo solo alcuni giorni della settimana. Era considerato come il salotto buono dell’azienda, grazie al quale far conoscere la storia del marchio e dei suoi prodotti. Dopo alcuni anni è stato deciso lo spostamento del museo in un’area dello stesso edificio più ampia, con accesso su strada indipendente dalla vita dell’azienda. Sia il cambiamento di spazio che l’incremento delle attività museali, hanno fatto sì che il museo modificasse progressivamente la sua originaria impostazione, sempre meno aziendale e più agente promotore di studio, mostre ed eventi dedicati alla cultura contemporanea in tutti i suoi aspetti, divenendo parte integrante dell’offerta museale cittadina e nazionale.
La mostra appena conclusasi, dedicata a un difficile periodo storico, gli anni venti, analizzava il folklore, i regionalismi, le arti decorative, l’emancipazione della donna a partire dal corpo, l’architettura, con la rappresentazione della moderna casa elettrica riprodotta suggestivamente attraverso video, senza trascurare la produzione artistica con i quadri e le composizioni dei principali pittori dell’epoca tra cui spiccano Depero, Rosai, Maccari, Balla, Giò Ponti… Come e con chi sono state effettuate queste scelte per rappresentare un decennio così complesso?
Per celebrare i novant’anni dal ritorno di Salvatore Ferragamo in Italia nel 1927, dopo dodici anni trascorsi negli Stati Uniti, il Museo Salvatore Ferragamo ha pensato a una mostra che, assumendo come filo conduttore il tema del viaggio, si aprisse a una panoramica sull’Italia degli anni venti. La mostra ha avuto come obiettivo quello di analizzare le diverse componenti della cultura visiva di questo decennio in Italia, estraendo da questa i temi e le opere che influenzarono, in maniera diretta o per indirette suggestioni, l’officina «poetica» di Ferragamo senza trascurare tutti gli aspetti culturali e sociali che contraddistinsero la rinascita civile del primo dopoguerra alla vigilia dell’autoritaria affermazione del regime fascista. Per raggiungere tale finalità sono stati invitati a collaborare al progetto alcuni specialisti del periodo nelle varie discipline prese in esame e un curatore esperto nell’arte italiana degli anni venti. Insieme alla direzione del museo hanno costituito il comitato scientifico della mostra, responsabile delle scelte apportate e del taglio dato al percorso espositivo.
Come mai Salvatore Ferragamo sceglie Firenze al suo rientro in Italia?
Il potente fascino della città di Firenze, simbolo dell’Italia del Rinascimento e meta privilegiata, nel passato come nel presente, di illustri viaggiatori alla scoperta della grande cultura Italiana (significative, solo per fare un esempio, le testimonianze di Henry James e E.M. Forster) sicuramente ha influenzato la scelta di Ferragamo di stabilirsi nel capoluogo toscano, per inseguire il mito di questa incredibile città e farlo proprio: d’altronde, accade spesso che molti italiani riscoprano pienamente il valore e il fascino della propria cultura d’origine (italiana e/o europea) soltanto alla luce di un’esperienza di emigrazione. Lo stesso interesse di Salvatore Ferragamo per le Avanguardie, per esempio, potrebbe essere maturato nel corso del suo soggiorno americano, come la conoscenza dell’alto artigianato fiorentino, apprezzato dai magnati americani nell’arredamento delle loro case.
Firenze, inoltre, negli anni venti appare un luogo fervido di iniziative, miranti a rivalutare il primato delle arti decorative e dell’artigianato in genere, con l’istituzione eat (Ente Attività Toscane) e le Fiere d’arte del 1923 e del 1924; soprattutto con la centralità didattica assunta dal Regio Istituto d’Arte di Porta Romana, vera e propria fucina della creatività toscana e nazionale. Ferragamo arriva nel capoluogo toscano in un momento in cui si parla di ritorni: ritorno all’ordine, ritorno al mestiere, ritorno alla grande tradizione nazionale. E la mostra narra proprio la storia di questo attraversamento: un attraversamento di praticità, la fondazione di un’industria; un attraversamento di gusto, la percezione che Salvatore Ferragamo ha della cultura del suo tempo. Una storia, sviluppata per capitoli, che il pubblico ha potuto apprezzare come un romanzo di formazione.
Che importanza ha avuto l’emigrazione negli Stati Uniti, e proprio a Hollywood, per la sua attività?
Il lungo soggiorno di Salvatore Ferragamo negli Stati Uniti è stato fondamentale per la sua formazione. Il Nord America rappresentava la modernità, la tecnologia, il futuro. Ferragamo ha appreso qui le tecniche di misurazione e di calzata, sviluppatesi nell’industria calzaturiera e ne ha fatto tesoro per lo sviluppo di una calzata personalizzata. A Los Angeles ha potuto frequentare il corso di anatomia (con una particolare attenzione all’anatomia del piede), che era stato attivato proprio nel 1916, quando era arrivato in California, all’Università della California. Negli Stati Uniti ha potuto entrare in contatto con una popolazione variegata e multietnica, che gli ha mostrato anche nuove prospettive di distribuzione. Negli Stati Uniti ha appreso un sistema nuovo di comunicare e pubblicizzare i prodotti di moda, insegnamenti che saranno fondamentali per il marketing moderno. La permanenza a Hollywood e l’apertura di un suo negozio in Hollywood Boulevard lo hanno introdotto nel mondo del cinema, la settimana arte, dove tutto è possibile e dove i sogni si avverano. Grazie alla sua notorietà tra le star del tempo, Salvatore Ferragamo costruirà quell’immagine di qualità e di stile, che sarà fondamentale per lo sviluppo successivo del marchio Ferragamo.
Ci vuole parlare del suo riuscito esperimento nell’unire il saper fare italiano, il lavoro artigiano, con la produzione industriale statunitense, con cui sembra aver anticipato di almeno cinquanta anni l’evolversi dei mercati globali?
Ferragamo ha colto quella che poteva essere la novità del processo produttivo dell’industria calzaturiera americana (la divisione in fasi di lavorazione per la costruzione di una scarpa), che permetteva di ottimizzare i costi di produzione e di garantire l’efficienza e l’ha combinata alla tradizione artigianale italiana, che era sinonimo di esclusività, unicità di un prodotto fatto a regola d’arte. Ha saputo coniugare dunque la cultura del prodotto di matrice italiana alla tecnologia più avanzata.
Ci vuole parlare de «l'Italia a Hollywood» che è stata da poco inaugurata?
Il nuovo progetto espositivo del Museo Salvatore Ferragamo prende in esame gli anni trascorsi da Salvatore Ferragamo in California, tra il 1915 e il 1927 e intende far conoscere al pubblico questo momento storico poco noto ai più, tuttavia di grande interesse per la ricostruzione del fenomeno migratorio italiano in California, delle attività intraprese dagli italiani in quel territorio e soprattutto della percezione che si aveva della comunità italiana nel contesto della West Coast. Il percorso espositivo ha inizio con la progettazione e la realizzazione del padiglione italiano all’Esposizione Universale di San Francisco (1915) ad opera dell’architetto Marcello Piacentini per evidenziare il fascino che il mito della cultura e dell’arte italiana esercitavano in California, esemplificato dal collezionismo di alcuni magnati americani, dallo stile architettonico delle città americane, dagli arredi delle case private e persino dalle fastose sale cinematografiche che si costruiscono all’epoca, spesso ispirate nella struttura e nelle decorazioni al Rinascimento. La mostra focalizza l’attenzione soprattutto sul mondo dell’arte, dell’artigianato e dello spettacolo, aree d’interesse privilegiate dalla creatività di Ferragamo, iniziando dalla presenza e influenza italiana nelle produzioni cinematografiche che si realizzarono in quegli anni in California. La cinematografia italiana era caratterizzata dal lungometraggio, dall’impiego di grandi masse di comparse, dai paesaggi suggestivi, dal riferimento a monumenti autentici. Molti film italiani del periodo ebbero un grande impatto in America, soprattutto quelli ispirati alla romanitas, come il film Cabiria di Giovanni Pastrone del 1914 studiato attentamente da Griffith e dalla sceneggiatrice Anita Loos per la realizzazione di Intolerance. Il cinema muto italiano fornisce a Hollywood negli anni venti potenziali divi come Lido Manetti, attori che arrivano dal teatro degli immigrati come Tina Modotti e Frank Puglia, o il comico Monty Banks, pseudonimo di Mario Bianchi. Alcuni giovani italiani si impongono col loro fascino personale come Rodolfo Valentino, che dà origine al moderno divismo. Il progetto espositivo, oltre a mettere in luce nomi e personalità note e meno note, senza trascurare il contributo italiano in area musicale, vuole anche chiarire la contraddittoria valutazione degli italiani begli Stati Uniti da parte della cultura wasp, combattuta tra la considerazione positiva della storia e della tradizione italiana e la critica negativa di alcuni aspetti che caratterizzavano lo stereotipo dell’Italiano, l’istintività, la passionalità o il sentimentalismo. Nella mostra hanno spazio anche le produzioni americane girate in Italia in quegli anni, in particolare il film Romola, quest’ultimo girato a Firenze, negli studi cinematografici di Rifredi, per il quale si fece ricorso alla consulenza storico artistica di Guido Biagi, allora direttore della Biblioteca Laurenziana, per la costruzione delle scene, chiaramente ispirate all’arte rinascimentale italiana o alla sua interpretazione romantica nella pittura dell’Ottocento.
Quali sono i progetti futuri del Museo?
Abbiamo sviluppato un piano triennale per le attività del museo, che al momento non è possibile rivelare, con il quale si stabilisce una linea di continuità con quello che è stato realizzato in questi anni. Partendo sempre dall’esperienza di vita di un uomo come Ferragamo, che ha avuto una visione creativa e imprenditoriale d’eccezione, il museo intende approfondire tematiche che pur essendo originate in un periodo più o meno lontano nel tempo, sono tuttora oggetto di riflessione, e interesse. Le nuove tecnologie a disposizione, i nuovi metodi di comunicazione possono aiutarci a rendere contenuti non sempre scontati ancora più fruibile da un pubblico vario e giovane, come è quello di un museo legato ad un brand della moda, e soprattutto possono contribuire a creare percorsi che non siano soltanto educativi ma emozionali, come lo è la vita di Salvatore Ferragamo.