Quante facce ha il ‘turismo delle radici’? Le visits home da parte degli oriundi, il viaggio per la ricerca delle radici, le visite estive dai paesi europei ai parenti lontani, gli spostamenti estivi dal triangolo industriale alle regioni meridionali, le vacanze studio per imparare l’italiano o visitare i luoghi d’arte, i pluriennali rientri dei nuovi migranti. E molte altre ancora, come vedremo attraverso i saggi e i memoir che presentiamo in questo numero della rivista.
Dagli anni ottanta/novanta si è cominciato a parlare di quello che ora viene definito il turismo delle radici, una particolare branca dell’heritage tourism iniziato in Europa con i viaggi transoceanici verso la Germania e altri paesi nordeuropei che portavano gli oriundi sulle rotte degli antenati, e negli Stati Uniti nel Lower East side di New York dove gruppi di americani col trattino iniziavano ad aggirarsi tra i caseggiati dei tenement guidati da storici delle migrazioni.
Negli anni ottanta sotto l’ombrello del viaggio in Italia si aggiunge una nuova tipologia di turismo dedicato alla ricerca di documenti per ottenere la cittadinanza italiana da parte di oriundi residenti in molti paesi dell’America Latina, e in particolare dall’Argentina nel periodo della dittatura e poi della crisi economica. Recentemente il viaggio si associa sempre più all’interesse per l’Italia da parte dei discendenti che vengono in Italia per studio o per visitare luoghi d’arte, spesso senza nemmeno cercare i luoghi d’origine.
Recentemente anche in Italia si sono comprese le potenzialità culturali, ma non solo, di un fenomeno che da oltre un secolo accompagna le migrazioni italiane. I tempi accelerati delle comunicazioni del terzo millennio consentono di mantenere, allacciare/riallacciare, ma anche espandere, i legami tra i membri della diaspora italiana. Turismo delle radici, quindi, un’espressione nuova per indicare un fenomeno che nasce con l’emigrazione.
Le prospettive culturali ed economiche possono essere meglio individuate attraverso uno sguardo alla storia per conoscere le varie tipologie dei protagonisti del turismo delle radici che a livello locale è sempre stato ben presente, come testimoniano le numerose feste destinate agli emigrati e ai discendenti in ogni paese di emigrazione a sud come a nord.
Cosa accade oggi con le nuove migrazioni? I nuovi migranti continuano la tradizione delle vacanze con i figli da nonni e parenti, di solito con pochissimo tempo per fare del turismo. Il viaggio in Italia è in questo caso molto frequente per mantenere i rapporti nelle famiglie transnazionali. Resta da vedere cosa accadrà nell’era post Covid.
Il turismo delle radici nella letteratura
Lasciare per una volta da parte la statistica e le analisi sociologiche, e mettendo al centro dell’attenzione i testi culturali, può essere utile per aiutare i discendenti che spesso percorrono «un viaggio non solo nello spazio ma anche nel tempo», alla ricerca di un’Italia che non c’è più. Un’Italia che la letteratura sul viaggio consente di ritrovare nei borghi, negli archivi, nei musei, nei libri. Un viaggio quindi alla ricerca di un patrimonio immateriale, culturale in senso antropologico, ma anche delle espressioni artistiche dell’Italia tutta.
Nella vasta letteratura dell’emigrazione il tema del viaggio è spesso presente, a partire dalla metà degli anni ottanta nelle opere letterarie italoamericane di scrittori e scrittrici di origine italiana. Nelle loro opere l’immagine dell’Italia è spesso quella tramandata da genitori o nonni, come nel caso di Paper Fish di Tina De Rosa in cui l’autrice fa i conti con l’Italia distante e mitica del tempo della grande emigrazione, conosciuta attraverso le parole della nonna materna.
Italian Days, dell’italoamericana Barbara Grizzuti Harrison (1934-2002), ben sintetizza la letteratura del viaggio con quella del ritorno e della ricerca delle radici. Nella prima parte, in cui l’autrice descrive tutta l’Italia, vengono riconfermati gli stereotipi sugli italiani, seguendo il canone della letteratura di viaggio europea e statunitense: rappresentazione idilliaca del territorio, nostalgia della tradizionale concezione romantica del paesaggio, scarsa considerazione nei confronti dei suoi abitanti. Nella seconda parte, dedicata alla visita ai luoghi d’origine della famiglia nel Sud Italia, l’autrice si mette invece in gioco e, mentre si interroga sulla sua identità, sovrappone il paese dei ricordi familiari a quello reale.
Umbertina di Helen Barolini, comparso per la prima volta nel 1979, e divenuto un classico della letteratura americana, affronta esaustivamente il tema del viaggio in Italia. La ricerca delle radici in Umbertina testimonia la mobilità, non la sopravvivenza, di un passato arcaico. Tina, la figlia, studia Dante in Italia, abbraccia l’Italia della cultura classica senza cedere alla nostalgia. Il viaggio in Italia rappresenta qui il momento della piena consapevolezza del superamento dell’identità etnica familiare e segna il passaggio all’acquisizione dell’identità italiana e, per contrapposizione, a quella americana in un percorso di emancipazione. Ma forse più interessante per il nostro discorso è un successivo romanzo di Barolini, Crossing the Alps, poiché vi si ricongiungono i vari temi del viaggio e gli stereotipi sugli italiani. L’autrice racconta la storia della giovane italoamericana Fran, appartenente a una famiglia che ha raggiunto il successo rinnegando le proprie origini italiane, che decide di fare un viaggio nell’Italia del secondo dopoguerra all’inseguimento di un amore impossibile. Troverà la serenità in due momenti. Il primo quando, sciando a Campo Imperatore in Abruzzo: «Life at the top of the run was instant, contained in the moment. It was mastering something so intense she was breathless with the joy of it» (p. 96). Quindi in una fattoria dell’Appennino toscano grazie alla bellezza del paesaggio e della sua gente che rimanda, però, agli stereotipi estetico-morali che ritroviamo anche in molta filmografia.
Come Tina e Fran, oggi molti italiani di terza generazione non devono più dipendere dai racconti familiari per conoscere l’Italia, hanno la possibilità di visitare il paese d’origine e, come mostra Helen Barolini, di evidenziare le identità plurime e individuare i percorsi per conciliarle.
Alcuni intellettuali statunitensi con origini italiane come Gerry Mangione e Ben Morreale, Giose Rimanelli e Gay Talese hanno compiuto un genere particolare di viaggio, quello nella memoria familiare associato alla ricerca storica sull’Italia e sui territori di origine. I primi ne La storia compiono un viaggio nel tempo e nello spazio dalla povertà della Sicilia rurale ai tenement americani. Il secondo ne Il viaggio. Un paese chiamato Molise ripercorre la storia e la preistoria dei sanniti attraverso le vicende de protagonisti del romanzo che viaggiano continuamente tra due realtà, geografica e temporale. Talese, in Unto the Sons scrive una storia d’Italia dall’Unità a oggi vista dal Sud basandosi su una documentazione raccolta in dieci anni di viaggi in Italia per rintracciare i parenti nel paese d’origine della famiglia.
Un discorso a parte meriterebbe la letteratura italica in America Latina; qui ci limiteremo a riportare alcuni stralci di una ricerca che abbiamo svolto sulle, e con, le donne di origine piemontese in Argentina in cui, attraverso l’esperienza del viaggio in Italia, emerge bene il passaggio dal tradizionale viaggio in Italia a quello di ricerca delle proprie radici.
La differenza tra il viaggio in Italia, o in Europa, svolto per motivi culturali e turistici, e quello di visita ai luoghi d’origine a volte viene superata con un primo avvicinamento all’Italia delle città d’arte e poi, magari in un’occasione successiva, al paese degli antenati. Beatriz G. aveva avuto un’immagine dell’Italia dai viaggi dei genitori:
La mia immagine dell’Italia era un poco confusa: Roma, Vaticano, Venezia, Pisa, Capri… I miei genitori avevano fatto un viaggio nel 1970 e io avevo visto molte foto e diapositive di questi luoghi turistici, ma del Piemonte e della sua gente non sapevo niente.
e Leonora B.:
La prima volta che sono stata in Italia avevo 19 anni e lavoravo per Aereolineas. Sono stata a Roma in un albergo di fronte alla Fontana di Trevi, appena sono arrivata ho subito girato tutta la città; in tutti i miei viaggi sono sempre passata per Roma, studiando storia dell’arte, visitando tutto quello che potevo […] lo stesso vale anche per Firenze: incontravo nella realtà ciò che stavo studiando, con l’opera originale si creava un forte vincolo, l’esperienza diretta con ciò che stava nella mia testa. […]
La visita alla Cappella degli Scrovegni a Padova, una delle grandi opere di Giotto, è stata una delle esperienze più toccanti mai vissute. Mi si è rinnovato lo sguardo rispetto ai processi che portarono al Rinascimento. Questo dipinto è incredibile: all’interno c’è una figura di una contadina e mia nonna, la moglie di Pietro, era proprio così, aveva lo stesso stile, i capelli molto lunghi raccolti in uno chignon molto grande sulla nuca.
La visita ai paesi d’origine della famiglia spesso, anche per le terze generazioni, rivela la complessità del fenomeno del viaggio di ritorno: a volte si ritrova in Italia il paese ricreato all’estero, come accade a Roberta G. che, attraverso i racconti della nonna, scopre luoghi molto familiari:
A un primo momento mi è sembrato strano, perché ho provato subito una sensazione molto particolare. Non ho mai avuto l’idea di arrivare a un luogo sconosciuto; ho trovato della gente che mi parlava come si parlava a casa, le nonne somigliavano alla mia, i paesaggi erano quelli che io avevo immaginato quando la nonna parlava dei monti e delle valli piemontesi.
Ho pensato «questo posto io lo conosco».
Lucia M., poetessa, 62 anni:
Viaggiando in treno da Torino a Novara mi sono resa conto del perché mio nonno aveva scelto quel «campo» per lavorare, non era che la terra fosse buona, era il paesaggio: un pizzico del suo paese in Argentina. La pianura, i ruscelli, il fiume, las sierras simili alle colline...
Leonora B.:
Durante un viaggio che feci in auto da Milano a Venezia mi resi conto che questa gente si era portata dietro questo paesaggio a Mendoza, dove le strade sono fiancheggiate da alberi, si vedono le colline come nella zona del Po. Si sono portati dietro il paesaggio molto più di quanto avevano fatto gli italiani de La Boca. Come riuscirono a ricostruire questo paesaggio ai piedi delle Ande così aride e selvagge? Si prova una profonda ammirazione per questa gente.
«Si sono portati dietro il paesaggio» è un’espressione forte che ben rende la potenza dei ricordi, che, nel caso di Isabella F. servono a ricongiungere le vite dai due lati dell’Oceano:
La mia visita in Piemonte fu molto emozionante. I miei parenti mi portarono al paese del nonno e mi misero in contatto coi piccoli dettagli con i quali ero cresciuta senza rendermi conto delle loro origini: le castagne, il moscato, la nebbia. Trovai un paesaggio che mi era familiare senza sapere perché. Arrivai che era quasi inverno: la nebbia, l’umidità, i colori della natura.
Se nella letteratura il viaggio ha sempre costituito un leitmotiv della memoralistica, il fenomeno del ‘viaggio di ritorno’ come parte del processo migratorio è stato quasi totalmente ignorato dalla storiografia. Loretta Baldassar, attraverso un’analisi intergenerazionale di questa esperienza, è stata tra le prime ad affrontarlo alla fine degli anni novanta, con un approccio cultural-sociologico mostrando come in esso si fanno risaltare le diverse reazioni e i diversi significati che assume per due generazioni di emigrati veneti in Australia. La sua ricerca si conclude con l’osservazione che, mentre per gli emigrati il ritorno al paese nativo diventa un pellegrinaggio di rinnovamento e perfino espiazione, il ritorno dei figli è un rite de passage di trasformazione culturale. I ‘ritornati’ di Baldassar si trovano di fronte a un’Italia più moderna delle aspettative. Il viaggio in Italia dei discendenti che sono alla ricerca di un paese tradizionale e si aspettano di trovare l’Italia arretrata dei racconti dei loro nonni è a volte fonte di disillusione. Ma lo è anche l’Italia dello sviluppo economico.
Le nuove mobilità
Un tratto che differenzia le migrazioni storiche dalle mobilità contemporanee è la frequenza dei viaggi in Italia e delle visite a casa usufruendo delle possibilità offerte, oltre che dalla maggiore consistenza delle più vicine mete europee, dai voli low cost e, con la pandemia, delle possibilità del lavoro a distanza. In una nostra inchiesta sulle migrazioni del primo decennio del terzo Millennio, il 46% di coloro che erano all’estero da 5 a 12 anni aveva dichiarato di essere tornato in Italia oltre 20 volte. Il 19,3% vi è tornato da 11 a 20 volte. Mentre oltre il 50% dei rispondenti all’inchiesta sulle famiglie transnazionali aveva dichiarato di tornare in Italia almeno 3 o 4 volte all’anno. Del resto, la voce ‘viaggi di andata e ritorno per l’Italia’ nell’analisi Categorie di spesa che maggiormente incidono nella vita dei figli all’estero figura al terzo posto.
In tutte le esperienze riportate nelle inchieste Famiglie transnazionali e Second generation Italics è data grande rilevanza al viaggio in Italia in cui l’odierno turismo delle radici si affianca al viaggio delle famiglie transnazionali del secondo dopoguerra, coi migranti che dall’Italia del nord, o dai paesi europei oltre confine, mandavano i figli in vacanza dai nonni durante l’estate. Una nonna milanese con due nipoti di 13 e 11 anni in Irlanda intervistata da Brunella Rallo testimonia:
L’estate i bambini comunque passavano un periodo con noi anche senza i genitori. In agosto i bambini erano nostri, io andavo a prenderli e li portavo in Italia, poi magari venivano i genitori, stavano un po’ con noi, e poi se li riportavano su. Stanno a casa nostra e stanno volentieri da soli con me perché io sono stata molto presente fin da che erano piccoli. Poi adorano lo zio, vanno anche a dormire a casa dello zio da soli e hanno anche la fortuna di avere ancora la bisnonna, la mia mamma, che abita fuori Milano e che cerchiamo di vedere. E poi i bambini conoscono un po’ l’Italia perché hanno fatto vacanze insieme con i genitori in Calabria, in Toscana. Hanno sempre visitato monumenti; sono stimolati a vedere cose d’arte e musei. Qui a Milano hanno visto tutti i musei, il sottomarino, Museo scienze e tecnica, quello di scienze naturali. Hanno visitato l’acquario di Genova e la città. Ultimamente che sono più grandi la vacanza è già il viaggio stesso che facciamo a tappe per andare in Calabria al paese del nonno che loro conoscono; per esempio, ci siamo fermati in un b&b sull’appennino emiliano, poi siamo andati a visitare Bomarzo con il parco dei mostri, l’interno del viterbese, Villa Adriana, Tivoli. Per cui facciamo il viaggio in macchina a tappe per non stancarli e per fare conoscere loro l’Italia. Poi si sta un po’ in Calabria. Al ritorno uguale facendo sempre tappe e visitando delle cose o posti.
e un’altra Mara M. che ogni anno ospita la sua famiglia ‘australiana’ sia a casa a Torino che nella casa al mare in Liguria:
Tutta la famiglia ha sempre trascorso i periodi di vacanza a casa nostra, sia a Torino, sia al mare in Liguria e i ragazzi sono abituati, da sempre, a trascorrere parte di questo tempo da soli con i nonni, in occasione di brevi viaggi dei genitori. Il tempo trascorso con i miei nipoti è davvero prezioso! Insieme visitiamo mostre, chiese, musei o, semplicemente facciamo lunghe passeggiate nei parchi cittadini o nuotate memorabili, a Ospedaletti.
Il viaggio in Italia, dunque, come mezzo per mantenere i legami delle sempre più numerose famiglie transnazionali da parte di chi, a torto o a ragione, è convinto di aver, o ha compiuto, una scelta di mobilità. Gli incisi sono dovuti alle conseguenze della pandemia che ha frenato le uscite dei non strutturati mitigate solo dalla grave crisi economica che colpisce l’Italia. Per le migrazioni contemporanee, il viaggio in Italia assume inoltre connotazioni particolari: entra a far parte del concetto di mobilità in quanto i nuovi mobili pensano sempre meno a un ritorno definitivo in Italia a causa di fattori ‘vecchi’ – scarsa offerta del mercato del lavoro per le fasce più giovani della popolazione, ricorrenti crisi economiche e così via – e nuovi a cui non è estraneo un grande aumento delle famiglie miste e la nascita dei figli all’estero. Il viaggio, o i viaggi plurimi nell’arco dell’anno, divengono allora la soluzione per riaffermare la propria mobilità, rafforzare i legami con le famiglie d’origine, mantenere i figli in contatto con la lingua e cultura d’origine. Psicologicamente, i viaggi servono a rendere meno netto il distacco… e la scelta di vita.
I saggi e le memorie che presentiamo in questo numero riflettono e approfondiscono molti dei temi citati sottolineando l’importanza del ritorno come elemento imprescindibile dell’identità personale e lavorativa dei soggetti migranti e dei loro discendenti.
Lucia Tirri esamina autobiografie e scritti di alcuni noti scrittori statunitensi e canadesi, tra cui Mary Melfi, Mario Mignone, Louis DeSalvo e Joseph Tusiani sottolineando come il paese delle origini assuma i tratti di un ‘in-between place’ che proprio la cultura può ricreare in continuazione in cui il luogo originario rinasce «realmente e simbolicamente grazie alla geografia emotiva e conoscitiva dell’animo migrante, garantendo autentico ‘orientamento’». Rileva poi l’importanza del ruolo della narrazione per la scoperta dei luoghi che rende le memorie «preziose guide turistiche per il turismo delle radici».
Jerry Krase, architetto statunitense di origini italiane che ha compiuto numerosissimi viaggi in Italia per raccogliere documentazione visuale per svolgere ricerche autoetnografiche, ben esemplifica il duplice ruolo di turista delle radici e di studioso che viaggia per fare ricerca in quello che definisce ‘scholar tourism’.
Ariel Mario Lucarini che vive a Buenos Aires racconta la sua esperienza di studioso e di operatore presentando le varie forme di ritorno in Italia dei discendenti degli italiani a partire dal rapporto tra migrazione e turismo in quegli anni in cui l’emigrazione italiana in Argentina era all’apogeo. Analizza la percezione degli emigranti umbri a Buenos Aires attraverso 16 interviste riguardo al ritorno nel loro paese di origine e il progetto Binario Due del Centro Umbro della capitale argentina, iniziativa del turismo delle radici promossa dai discendenti di quei primi umbri giunti in Argentina nel secondo dopoguerra. L’analisi congiunta di due aspetti del viaggio in Italia, quella offerta dall’esterno dalla stampa e quella leggibile invece dall’interno, permette all’autore un approfondimento su una delle comunità italiane più studiate.
Alice Gangemi esamina la questione della cittadinanza tra i discendenti degli emigrati italiani in Uruguay, il rapporto con il cibo italiano e con la lingua italiana, i legami famigliari, i rituali della vita domestica, la memoria della migrazione. Nell’analisi dei viaggi compiuti nei luoghi di origine degli antenati l’Italia, terra ancestrale, si configura soprattutto come un territorio dell’immaginario, luogo di contrattazione in cui si negoziano i termini delle identità fluide individuali e del gruppo famigliare.
Gli ultimi due saggi si inseriscono in un’ideale sezione che ha come oggetto quelli che definiremmo ‘i viaggi degli altri’, per cominciare a effettuare una comparazione tra ciò che accade nei diversi paesi quando si parla di turismo delle radici, o di viaggio al paese d’origine, da parte degli immigrati in Italia.
Martina Zanetti esamina quello che è accaduto in un Paese di grande emigrazione come l’Irlanda attraverso le opere di George Moore, Maeve Brennan, Edna O’Brien e John McGahern. «Se il ritorno stesso, a breve o lungo termine, può generare emozioni positive associate al passato, può anche, al contrario, causare alienazione ed estraneazione dovute all’identità ‘ibrida’ di chi lascia casa e successivamente vi torna. Nelle loro opere, esplorano l’ambivalente significato della parola ‘casa’ per coloro che ritornano là dove vogliono e/o sentono di appartenere, un luogo che, tuttavia, non è lo stesso lasciato». Zanetti introduce poi un nuovo elemento nel tema del viaggio di ritorno, quello dell’accoglienza da parte di chi è rimasto che può rendere il loro ‘ritorno (impossibile)’.
Luisa Emanuele attraverso gli scritti di un precursore della letteratura della migrazione in lingua italiana, Pap Abdoulaye Khouma, affronta il tema del viaggio, anzi, dei numerosi viaggi che lo portano dal Senegal all’Italia e alla Francia, facendoci toccare gli spaesamenti acuiti dalla durezza del pregiudizio, se non da veri e propri episodi di razzismo, che riuscirà a esorcizzare solo grazie alla salvifica arte della scrittura.
Le scritture fluide delle memorie consentono di cogliere sfumature e affrontare aspetti che la saggistica non riesce ancora a sistematizzare.
Lorenzo Cittadini, dottorando all’Università di Malaga, in Destinazione Calabria: solo verso sud presenta un racconto autobiografico di un viaggio in macchina in solitaria da nord a sud Italia nell’agosto del 2021, per raggiungere i luoghi d’origine delle famiglie dei genitori. Viaggio dettato dal «desiderio di riscoprire storie, aneddoti, di recuperare antichi modi di dire e di vivere profondamente i luoghi della mia famiglia». Mette a fuoco (in modo più accentuato rispetto al tema del viaggio in sé) le sensazioni di appartenenza sollecitate dal ritorno in Calabria.
C’è un’impronta narrativa particolare nel memoir di Maria J. Cerutti che riporta sì alla letteratura sulle saghe familiari lasciando intuire le competenze storiche e sociologiche dell’autrice in materia di emigrazione italiana, ma che va oltre, avvicinandoci a un viaggio in Italia a tutto tondo. Paesaggi, profumi, colori, cibi, amori e sofferenza scorrono tra le righe di un racconto che ci commuove per la sua forza.
Renata Ada Ruata ci riporta all’Italia degli anni cinquanta, quando «per gli italiani emigrati agosto era il mese del rimpatrio. Partivano in tanti dalla Gare de Lyon di Parigi». E poi ci mostra la visita rituale, prima in treno e poi in macchina, ai parenti torinesi, quella al cimitero, le vacanze sulle Alpi, l’iscrizione all’università e lo studio della letteratura italiana, l’acquisto di una casa in Piemonte dove rifugiarsi a scrivere e da cui partire per visitare i luoghi d’arte. Una vita tesa a ricongiungersi con le sue identità plurime.
Loredana Polezzi, anch’essa nella sua duplice veste di expat e di studiosa dei fenomeni migratori, ne «Il privilegio del ritorno» affronta alcuni dei temi più sensibili delle migrazioni contemporanee italiane. Anche qui, come per le emigrate irlandesi, il ritorno dell’oriundo può trovare un ambiente poco amichevole, ben esemplificato nello sketch di Totò truffa ’62 che l’autrice definisce «un monito a non aspettarsi un facile rientro, a non dare per scontata la persistenza di un’identità condivisa attraverso gli spazi e i tempi della diaspora e quelli della nazione!... Il ritorno diventa nostalgia, e la nostalgia per un passato mai avuto cosi come per un futuro privo di realtà porta infelicità a chi ricorda o spera».
Nella letteratura intergenerazionale, osserva, «chi parte alla ricerca di radici, individuali o familiari che siano, finisce per trovare altro da quello che cercava o meglio si trova a elaborare “continue pratiche dell’andare”». Come accade nelle nuove mobilità potremmo aggiungere, ma la conclusione è la stessa: «Se non fosse per la questione del privilegio… ».
Marcolini presenta un resoconto autobiografico ispirato alla sua prima visita al paese di Roverè Veronese negli anni ottanta «La casa di pietra», che dà il titolo al testo, in cui visse la famiglia Marcolini, compreso il bisnonno dell’autrice emigrato in Brasile.
Il cerchio si chiude con un viaggio di ritorno mai compiuto. In sole due pagine Giuseppe Cossuto riassume, nell’esperienza di Baldassarre Embriaco, quella dei tanti genovesi che nel viaggio ritrovano il loro rapporto con la città e le sue culture, materiali e non. Il pezzo mostra la potenza della memoria che si può tramandare attraverso i secoli.
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