L’interrogativo da cui muove il mio intervento prende spunto dal presente e si riferisce in modo particolare alla concomitanza temporale di almeno tre eventi che nei primi mesi del 2017 hanno avuto come oggetto gli italiani nel paese transalpino: due in Francia e uno in Italia. In Italia uno di questi è stato il convegno promosso a Torino il 16 maggio (del quale la rivista Altreitalie accoglie oggi gli atti), mentre in Francia altri eventi sono stati la mostra Ciao Italia, allestita a partire dal mese di marzo presso il Museo dell’Immigrazione di Parigi (Mourlane et Païni, 2017) e il correlato convegno, L’Italie pour bagage, tenuto nel mese di giugno. Va detto del resto che negli ultimi anni, nella stessa Francia, altri significativi interessi sull’argomento hanno preceduto quelli appena menzionati. Sul piano storiografico mi riferisco, tra le altre, ad alcune opere collettanee pubblicate tra il 2012 e il 2017 (Teulières, 2011; Gastaut, 2012; Mourlane, 2015; Felici, 2017), mentre sul piano divulgativo si possono ricordare alcune tra le ancora più numerose iniziative di carattere espositivo intraprese da istituzioni museali e da altri soggetti pubblici o privati francesi (Guibal e Cogne, 2011; de Ochandiano, 2013; Mourlane et Regnard, 2014; Aa.Vv, 2014)1. A questo interesse va inoltre aggiunto un progetto che va anche oltre il 2017: un numero monografico che la rivista remi dedicherà proprio al caso Italia nel settembre 20182.
La coincidenza dei tre eventi del 2017 e, negli ultimi anni, questi e altri attestati dell’interesse francese nei confronti degli italiani, invitano a chiedersi il perché di un’attenzione che nella maggior parte dei casi mostra evidenti caratteristiche di uso pubblico del tema. Le risposte alla domanda verranno offerte in gran parte da quegli interventi qui pubblicati, che toccano anche il presente: un presente va detto, che come è accaduto già in passato, influisce notevolmente su questo rinnovato interesse degli studi francesi sugli italiani. È infatti noto come già nelle sue precedenti stagioni di studio la storiografia francese sul tema abbia avuto degli stimoli che sono stati sollecitati dai mutamenti dei coevi panorami migratori della Francia, o da eventi correlati, che hanno impresso nuove spinte alle ricerche e al loro confronto. E in questo breve scritto si cercherà proprio di ricordare alcune delle tappe che a partire dal secondo dopoguerra hanno segnato questo lungo percorso storiografico, per individuare poi quali spinte sollecitino l’attuale interesse per gli italiani in Francia.
L’ormai molto lontana tesi di Anne-Marie Faidutti-Rudolph, con il suo taglio fortemente informativo e analitico, si può ritenere la base di partenza delle indagini postbelliche sugli italiani nella Francia sud-orientale (Faidutti-Rudolph, 1964). Non casualmente, del resto, è stata proprio questa l’area geografica di arrivo più analizzata da varie prospettive non solo in quegli anni ma anche in seguito, fino al recente e già citato numero monografico di Archivio Storico dell’Emigrazione Italiana curato da Stéphane Mourlane. Certamente, la presenza di storici e studiosi particolarmente prolifici, come Emile Témime e Ralph Schor, e delle rispettive scuole, è stato uno degli elementi che ha favorito lo sviluppo precoce di ricerche nel sud-est, più che altrove. Tuttavia, non si può trascurare il fatto che quest’area è stata tra quelle con la più consolidata presenza degli italiani: una presenza che dalle vicine aree della penisola è stata costante ma che nel secondo dopoguerra, come è accaduto anche nelle altre aree minoritarie dell’immigrazione italiana, si è avvalsa di nuove componenti regionali, soprattutto meridionali, ed è stata inoltre accompagnata, come altrove, dall’arrivo degli immigrati dalle ex colonie (Corti, 2003; Sanfilippo, 2012). La presenza di lunga durata degli italiani nell’area, i problemi posti dagli arrivi dall’Africa negli anni della decolonizzazione (e la migliore valutazione degli italiani rispetto a chi arrivava dalle colonie), sono stati sicuramente un incentivo anche allo sviluppo degli studi sia in quest’area che nel resto della Francia.
Questo primo filone sembra quindi un esempio di come gli studi si siano sviluppati in una realtà territoriale dove la presenza maggioritaria degli italiani aiutava, più che altrove, a leggere un presente di migrazioni in trasformazione, mostrando inoltre una declinazione di interessi speculari al ruolo svolto dagli italiani nell’area. Nel sud-est, infatti, proprio per il precoce ruolo svolto da questi nel mercato del lavoro locale, nell’associazionismo e nelle lotte politico-sindacali di città come Marsiglia e di altri centri minori, le ricerche hanno toccato un’ampia gamma di terreni: da quello demografico ed economico-sociale a quello politico e sindacale (Mourlane, 2015)3.
La precocità temporale, e l’ampiezza degli studi sul caso sud-orientale, non possono però far trascurare la crescita notevole che le ricerche sugli italiani in Francia hanno avuto anche altrove e, soprattutto dalla fine degli anni settanta, non solo con una più ampia estensione territoriale ma anche con più articolati approcci teorico-metodologici. È ben noto che quanto è accaduto nel corso di questi anni nella storiografia francese sugli italiani ha risentito di una serie di mutamenti in gran parte riconducibili alle trasformazioni degli studi storici nel loro complesso, dopo l’affermazione della storia sociale, della soggettività, dell’uso di fonti qualitative e il correlato sviluppo di più mirate analisi territoriali. Nonostante ciò, non si possono sottovalutare altre non meno note motivazioni che rimandano piuttosto ai mutamenti della realtà sociale dell’immigrazione in arrivo dalla penisola e della percezione di sé delle varie generazioni degli italiani in Francia (Ghidina et Violle, 2014). Non va dimenticato, e lo ricordano anche alcune delle citate riflessioni condotte in Francia di recente, che a partire da questi anni, con il recupero di una memoria da parte delle nuove generazioni, nascono varie iniziative locali di festival ormai notissimi, come quello di Villerupt, e crescono gli incontri culturali promossi dagli stessi italiani (Teulière, 2002; Mourlane, 2017). Sono mutamenti che provocano una nuova e diversa attenzione nei confronti degli italiani in Francia non solo da parte delle società di arrivo ma anche delle istituzioni italiane. Proprio a partire dagli anni settanta, dopo la creazione delle regioni, e in virtù dei profondi cambiamenti dovuti alla mobilità sociale e al ruolo delle nuove generazioni, le opportunità offerte dagli italiani all’estero per gli accordi economico-finanziari del sistema Italia hanno reso questi soggetti ben più attraenti del passato (Signorelli, 2009). E tutto ciò non ha comportato solo l’avvio delle numerose iniziative economiche e commerciali intessute tramite questo canale. Tali trasformazioni hanno favorito anche la crescita di centri e istituzioni culturali che in certe sedi, come a Parigi, hanno stimolato a loro volta nuove ricerche e il confronto di quelle in corso. Ed è così che al ciemi, che come le altre istituzioni promosse dagli scalabriniani in varie sedi dell’immigrazione italiana, operava a Parigi già dagli anni settanta (con l’annessa rivista Migrations Société), si è aggiunto, nel 1983, anche il cedei che non a caso si è costituito proprio nella sede diplomatica della penisola avviando la rivista La Trace, ormai estinta da molti anni.
Avvalendosi del contributo di studiosi del calibro di Pierre Milza e di istituzioni prestigiose sia italiane che francesi (come l’Ecole des he, la Bibliothèque de Nanterre, la Maison des Sciences de l’Homme, il centro Piero Gobetti di Torino, oltre che i parigini Istituto culturale italiano e la Maison d’Italie) il cedei è nato con un altro connotato che mostra ancora una volta lo stretto legame degli storici francesi con quanto stava avvenendo nella realtà del paese: l’impegno politico a dare una lettura dell’immigrazione opposta a quella fornita allora dalla destra francese e dai nascenti movimenti xenofobi. Va del resto ricordato che negli stessi anni ottanta è nato il circe, il centro linguistico-letterario sull’italiano, diretto da Jean-Charles Vegliante (Vegliante, 1988; 1990). Mentre sul piano della ricerca socio-antropologica è da allora che alcuni studiosi hanno messo a fuoco la mobilità sociale di certe professioni e più in generale si sono focalizzati sui comportamenti individuali, familiari e di gruppi territoriali di italiani, rivelandone la dimensione locale, plurilocale e leggendo anche la proiezione di questi comportamenti sul presente4.
Gli studi storici sugli italiani si allargano in questi anni anche sul piano territoriale come si è detto, e dalla più antica sede sud-orientale, o dall’Isère, il lionese e le altre aree limitrofe all’Italia, raggiungono territori quasi inesplorati, come il sud-ovest rurale, caratterizzato dalla presenza di veneti giunti tra le due guerre e diventati poi proprietari o impresari agricoli. Oppure si intensificano in zone comunque meno analizzate, come la Normandia, e soprattutto nell’area industriale e mineraria nord-occidentale, dove gli italiani non solo erano il 37 per cento degli stranieri prima della guerra, ma negli anni trenta erano già diventati il primo gruppo immigrato. Le stesse ricerche sull’area parigina si moltiplicano in questi anni offrendo una ben più analitica lettura della vita politica e sociale dei quartieri abitati dagli italiani.
Anche nella più studiata area sud-orientale, del resto, grazie all’azione di istituzioni italiane di aree limitrofe interessate ai citati accordi italo-francesi e alla collaborazione di archivi, università e dipartimenti, si sviluppano ricerche che affrontano nuove tematiche e approfondiscono il ruolo di soggetti allora poco analizzati, come le donne, ponendosi inoltre l’interrogativo sul significato e il ruolo della frontiera alpina nell’ottica dei primi studi sul transnazionalismo (Corti e Schor, 1995; Aa.Vv, 1999)5. Si tratta, in definitiva, di quesiti e analisi che preludono alle citate ricerche sull’area, pubblicate nel 2012 e nel 20156.
Tutti questi studi hanno permesso di risalire all’articolato quadro diacronico e geografico delle provenienze regionali dalla penisola, alle professioni, alla sindacalizzazione, all’impegno politico, alla mobilità sociale e all’identità degli italiani di differenti generazioni nelle varie fasi dell’immigrazione di massa in Francia. In questo vivace panorama euristico l’azione del cedei, con la promozione di convegni e pubblicazioni, ha contribuito a mettere a confronto le nuove ricerche (Milza, 1986; Dreyfus et Milza, 1987; Aa.Vv., 1988; Bechelloni, Dreyfus et Milza, 1995; Blanc-Chaléard et Bechelloni, 2003). Non solo, ma ha anche spostato l’asse diacronico delle indagini oltre gli anni del fascismo, arrivando alla guerra e al secondo dopoguerra. E, raccogliendo le numerose testimonianze degli esiliati antifascisti, ha fornito allo studio della dimensione politica e sindacale lo strumento delle autobiografie, la fonte che ha permesso ovunque il ben noto salto metodologico rispetto al passato.
Si tratta di quegli elementi di novità euristica che hanno poi consentito a Pierre Milza di scrivere Voyage en Ritalie (Milza, 1992). Nel suo libro, non solo Milza ha raccolto e sintetizzato i risultati di tutte queste ricerche fino agli anni novanta ma, come è noto, ha sorprendentemente introdotto la sua ego-histoire di italo-francese, dando così un prestigioso riconoscimento storiografico al più diffuso recupero della memoria dell’italianità già in atto tra le nuove generazioni degli italiani in Francia (Mourlane, 2017).
A questo volume di sintesi sono poi seguiti, nel nuovo millennio, altri convegni e pubblicazioni come, tra gli altri, quello sulle Petites Italies che, raccogliendo i risultati di nuove e ben più estese ricerche, ha riservato una maggiore attenzione storiografica alle varie articolazioni interne al mondo della Ritalie (Blanc-Chaléard, Bechelloni, Deschamps, Dreyfus et Vial, 2007). Dalle analisi più generali si è arrivati così a fornire una lettura ben più mirata delle cosiddette comunità italiane. Si tratta di una lettura che ha messo piuttosto in risalto le tante piccole Italie che in ogni realtà francese hanno reinventato le proprie identità locali provenienti dalle molteplici e culturalmente differenziate regioni della penisola, rispecchiando così tutta la complessità del lungo itinerario degli italiani in Francia (Stora, 2017).
In questo percorso, profondamente influenzato dagli eventi e dai mutamenti in corso nella società, la storiografia francese ha elaborato un profilo degli italiani in Francia che ha messo a fuoco i molti aspetti del processo di integrazione. Un processo che si è rivelato da un lato assai meno lineare e progressivo di quello fornito dalle vulgate assimilazioniste, volte a esaltare la validità del modello francese e a enfatizzare la riuscita del progetto migratorio, ma dall’altro è stato contraddistinto anche dalla visibilità di non pochi segnali di successo (Sirna, 2005).
Quindi, i sempre più articolati risultati conoscitivi di studi assai legati ai mutamenti migratori e sociali in atto da un lato, e il recupero di una più estesa memoria dell’emigrazione dall’altro, hanno contribuito alla persistente attenzione per gli italiani in Francia proprio negli anni in cui si chiudeva un ciclo più che secolare di immigrazione.
Ma dopo questa veloce ricostruzione occorre chiedersi, come prospettato all’inizio, quali possano essere i motivi che ancora oggi rendono così interessante il caso Italia persino nel panorama degli eventi promossi da dipartimenti e da istituzioni pubbliche francesi. E ritengo che la risposta a questa domanda non chiami in causa solo quanto già si è detto sul significato della lunga storia degli italiani in Francia, ma coinvolga di nuovo il presente e in particolare, come sottolineano diversi studiosi, il ruolo svolto oggi dall’Italia sul terreno delle migrazioni.
Nella prefazione al già citato catalogo Ciao Italia si spiegano in modo puntuale i diversi motivi della scelta degli italiani per una mostra che celebra l’anniversario del museo dell’immigrazione parigino: l’esperienza italiana rappresenta innanzi tutto un modello utile a leggere anche le altre esperienze migratorie. Tanto per la sua lunga durata, quanto per la sua forte incidenza nella realtà economica e culturale della Francia, l’emigrazione italiana si deve considerare
une sorte de résumé de l’histoire de l’immigration en France avec tous les aléas que celle-ci réserve, qu’il s’agisse des manifestations racistes, de l’intolérance religieuse ou bien des apports artistiques, culturels et gastronomiques qui ont enrichi le quotidien des Français» (Stora, 2017, p. 9).
La sua tipicità, sia in negativo che in positivo, in altri termini, rende oggi l’immigrazione italiana un utile campione per riflettere sull’immigrazione nel paese transalpino nel suo complesso. Mentre tra gli eventi attuali dell’Italia altri studiosi pongono in risalto la crescente presenza di nuove mobilità italiane che, pur nella loro specificità sociale e nel ruolo di nuovo motore per ravvivare memoria e legami tra gli italiani in Francia, presentano comunque caratteristiche socio-culturali tali da potersi considerare rappresentative del più vasto panorama delle migrazioni intraeuropee contemporanee (Sirna, 2005; Fassio, 2014; Mourlane, 2017; Pfisch et Schmol, 2017).
Ma l’elemento più significativo della presente realtà italiana viene sottolineato ancora una volta da Stora che, come storico del colonialismo e dell’Algeria, è particolarmente attento a quanto accade nel Mediterraneo. E per questo ci ricorda come l’Italia sia stata certamente il paese che ha fornito tanti immigrati alla Francia, ma oggi si rivela come un protagonista ancora più degno di attenzione in quanto paese di immigrazione. Sono i tragici avvenimenti che attraversano incessantemente l’Italia, in definitiva, e soprattutto è quanto accade nel luogo-icona di questi eventi, ossia quella frontiera del Mediterraneo che è diventata Lampedusa, a rendere il caso Italia l’esempio estremo della drammaticità raggiunta nel presente dall’esperienza dell’emigrazione (Stora, 2017).
Ed è proprio questo nuovo protagonismo (assieme alla persistenza di quel «crocevia Italia», nel quale continuano a intrecciarsi varie forme di mobilità), a costituire la caratteristica che rende tuttora attuale il nostro paese non solo nella storiografia francese, da sempre influenzata dal presente, ma nelle crescenti iniziative intraprese nella sfera pubblica d’oltralpe.
Note
1 Va ricordato anche l’evento-spettacolo Sur les traces de l’immigration italienne en France, di Anna Andreotti con le fotografie di Veronica Mecchia, presentato a partire dal 2011 in varie sedi francesi e ad Asti, in Italia.
2 Il numero monografico (L’Italie à la croisée des mouvements migratoires d’hier et d’aujourd’hui, coordinato da Paola Corti e Adelina Miranda) prenderà le mosse dai mutamenti in atto oggi in Italia e punterà a ridimensionare il ruolo che finora è stato attribuito al nostro paese nella storia delle migrazioni europee. Questo non solo per mostrare come la penisola sia stata un crocevia migratorio di lunga durata ma, sulla base di questa continuità, e della persistente attualità di emigrazioni, migrazioni interne e immigrazioni, per riflettere anche sul contributo teorico-metodologico che il caso Italia può dare ai migration studies internazionali.
3 I contributi di Daumalin, Regnard, Kronenberg, Pane, Mourlane, Guerry, Capece, Sirna, contenuti in questo numero monografico, sono tra i più aggiornati sull’area.
4 Si rimanda in particolare a Catani, 1985; Catani, 1986; Miranda, 1996.
5 Per la vasta bibliografia sulla presenza italiana nelle varie realtà territoriali francesi si rimanda alle già citate rassegne
6 Si veda in particolare Viazzo et Fassio, 2012.
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