Non ricordo chi ha scritto che dietro ogni posto si cela una storia. Ma chiunque ne sia l’autore, posso affermare con estrema certezza che il suo pensiero si attaglia perfettamente ad ogni dimenticato paesino in Italia. Un villaggio come Montenero Val Cocchiara per esempio, a cui Michele Antonio DiMarco ha dedicato un suo libro, Mundunur: A Mountain Village Under the Spell of South Italy tradotto e pubblicato successivamente in italiano con il titolo Mundunur: un villaggio montano sotto l’incantesimo del Sud Italia dal Gruppo Albatros.
Nel suo volume, pubblicato dalla compagnia che lo stesso DiMarco ha fondato venti anni or sono, l’autore prende per mano il lettore e lo trasporta in un mondo antico, fatto di quelle storie minime, minuscole e insignificanti all’occhio disattento del moderno, ma che sono connesse alla storia della nazione, una storia fatta di battaglie, invasioni e monumenti. Per parafrasare Vincenzo Consolo, una storia che vede protagonisti i dimenticati dalla storia con la “S” maiuscola.
Il libro, scritto con l’amore del figlio di emigrati che riscopre la sua storia personale e, al tempo stesso, universale, copre ogni aspetto di questo piccolo e dimenticato borgo in provincia di Isernia, Molise. «Mundunur», la traduzione dialettale di Montenero, diventa, come la Sicilia di Consolo, la metafora per la storia di ogni villaggio in Italia, ed al tempo stesso, di ogni emigrato che quel villaggio ha abbandonato alla ricerca di un futuro migliore.
Nel capitolo introduttivo l’autore narra di come è nata l’idea di scrivere il libro (è bastata una semplice discussione con un suo parente) e di come abbia iniziato la ricerca di materiale storico. Con il supporto di amici, tramite racconti «trasmessi di generazione in generazione da anziani» (viii, le traduzioni qui e altrove sono mie) e grazie all’amore per Mundunur, lentamente il libro ha preso forma. L'autore include una serie di fotografie e ristampe di documenti storici che rivelano i tipi di ricerca che ha svolto e il suo impegno per il progetto riuscendo a condensare più di due millenni in trecento pagine con una prosa convincente e chiara. L'unico problema del volume è che sembra diviso in due, quasi due narrazioni separate. Nei capitoli iniziali il tono è personale, il ricordo di un immigrato che ricorda e riscopre le sue radici. Il resto del lavoro di DiMarco è invece uno studio delle principali vicende storiche di due millenni, diventando un compendio della storia italiana.
Nei primi due capitoli, DiMarco narra la sua storia personale, e di come sia cresciuto in una famiglia italo-americana in Pennsylvania, imparando giorno dopo giorno di Montenero e della vita dei suoi nonni in Italia. Nel primo capitolo dal titolo «Chiacchiere a tavola: leggende della vecchia patria» il viaggio nella storia di Montenero inizia nel luogo più sacro per gli italoamericani: la cucina. È un viaggio nella storia personale dell’autore dove «il tavolo della cucina era il luogo d’incontro per parenti e amici che condividevano i loro pensieri e sentimenti» (p. 3). Un intero mondo è descritto e reso vivo attorno a quel tavolo, un mondo fatto di immagini e memorie dei nonni dell’autore, un mondo fatto di parole italiane trasmesse ai giovani che imparano così a conoscere Montenero. «Chiunque viva in un Paese e abbia ancora legami con la propria nazione di origine è costantemente in equilibrio tra due culture» (p. 8) ed è stata la cultura italiana a ispirare DiMarco a tornare a Montenero. È l'estate del 1976.
Nel capitolo due, «Uno straniero scopre il villaggio ancestrale», DiMarco incontra i suoi compaesani monteneresi dimenticati da tempo, cammina lungo le strade del villaggio antico, dicendo buongiorno, la gente del posto sorride curiosa di questo americano che cammina per il loro villaggio: «Tutto ha rafforzato le impressioni che ho ricevuto dai miei nonni e da altri monteneresi a Erie. Sicuramente il paese è cambiato, con muri in cemento colorato moderno e l'uso crescente di elettrodomestici moderni come le lavatrici. Lo splendore del paesaggio montano è rimasto immutato» (p. 22). Quasi quarant'anni dopo, nel 2014, DiMarco ha finalmente la possibilità di tornare a Montenero. Ma il villaggio che ha visitato nel 1976 non c'è più. La crisi sociale ed economica che ha scosso l'Italia ha toccato anche Montenero: «Un tempo qualcuno di un paese vicino sarebbe stato considerato un outsider […] Per secoli un montenerese è stato concepito in paese e circondato da altri nati e cresciuti lì. La cultura omogenea in cui quella persona è stata nutrita non esiste più» (p. 25). Montenero è un villaggio diverso adesso, dove molti sono partiti, emigrati e da tutta Europa nuovi abitanti ne hanno preso il posto. Guardare indietro al passato perduto, alla storia di Montenero sembra all'autore l'unico modo per capire «come e perché Montenero è cambiato e continua a farlo» (p. 25).
Con il terzo capitolo, «Si prepara la scenografia tra cielo e terra», il lavoro di DiMarco cambia tono: dal racconto personale si passa a uno studio socio-economico e storico. Clima ed ecosistema sono indagati nel capitolo tre, e dal capitolo quattro, «Impronte in Isernia che conducono alla romanizzazione», la storia dell'Italia (e in particolare i legami di Montenero con essa) è affrontata in modo enciclopedico, e si passa da storie personali a una visione più ampia del contesto geografico, sociale e storico di questo luogo. Dal Paleolitico ai Sanniti (la popolazione preistorica che combatté i Romani in tre famose campagne), dalla dominazione romana all'invasione dei Goti, dai Normanni a Federico II, lo stupor mundi (capitolo quinto «Toc toc: invasioni dal nord e sud»). Attraverso la dominazione francese, spagnola e la creazione di un'aristocrazia locale, troviamo la prima menzione di Montenero nei documenti ufficiali (p. 65), e i lettori arrivano ad una data importante nella Storia italiana: il 1647, la rivolta di Masaniello, seguita da un altro sovrano straniero, questa volta austriaco (capitolo settimo, «Nobili, contadini, ribelli e reliquie»).
È solo con il capitolo nove che arriviamo al Risorgimento. Nel 1861 l'Italia è finalmente una nazione (capitolo dieci, «Quasi-unificazione, disordini sociali, emigrazione») ma le nuove tasse imposte dal governo piemontese costringono milioni di persone a emigrare (p. 156). Attraverso la prima guerra mondiale, venti anni di fascismo e la seconda guerra mondiale, l'Italia diventa una repubblica nel 1946 (capitolo quattordici, «Dopoguerra piaceri e dolori»); il lettore entra in un'altra epoca della storia italiana e «Montenero è un esempio della lotta del sud per stare al passo con i tempi che cambiano» (p. 227). Nel ventunesimo secolo, solo gli anziani sono rimasti a Mundunur, una condizione che lo rende simile a tanti altri villaggi in Italia oggigiorno. L'ultimo capitolo è dedicato al futuro dell'Italia, del Molise e, naturalmente, di Montenero (capitolo quindici, «Il futuro del Molise e di Montenero») e qui DiMarco va oltre la storia personale e la narrativa storica. Qui immagina cosa succederà a Montenero nel prossimo futuro. L'autore vede molti altri cambiamenti socio-economici, come spopolamento, emigrazione e invecchiamento demografico: «Più del 20 per cento dei residenti in Molise ha più di sessantacinque anni» (p. 237). La transizione in atto da una società agricola ad una più moderna, fatta di centrali eoliche e solari e di una diffusione capillare di Internet, accelererà. DiMarco sembra suggerire che il futuro di Montenero sia da ricercare nel suo passato, riscoprendo i prodotti tradizionali e come renderli redditizi e competitivi (p. 239), suggerendo anche una rivitalizzazione del turismo, o meglio, dell'agriturismo.
In conclusione, Mundunur è un libro informativo sul passato, presente e futuro del Sud Italia e non solo del piccolo villaggio di Montenero, un’opera scritta con amore da uno dei suoi figli. Secondo me l'autore ha sbagliato a mescolare due libri ben distinti: uno, appassionato e personale; l'altro una litania di fatti storici che trasformano Mundunur in una guida turistica.
Renato Ventura – University of Dayton, Ohio