Nonostante la storiografia abbia prodotto negli ultimi anni un’importante mole di studi sul tema dell’esodo giuliano-dalmata, le vicende legate alla cosiddetta Zona B del Territorio Libero di Trieste (tlt) hanno sino a ora occupato uno spazio marginale, perlustrato solo da alcuni validi ma non del tutto esaustivi studi pionieristici. Il libro di Miletto (già autore di importanti contributi sul tema dell’esodo e dei profughi) si inserisce in questo contesto, utilizzando come punto di osservazione la condizione della popolazione italiana rimasta sul versante jugoslavo della Zona B e che fu oggetto di pressioni e di assimilazione più o meno forzata.
Il volume analizza il tema attraverso una duplice prospettiva. Da un lato, il governo italiano del quale sono ripercorse le politiche (non solo assistenziali) e le strategie adottate per favorire la «difesa dell’italianità». Dall’altro, i poteri popolari, facendo emergere, grazie a un convincente dialogo tra fonti archivistiche (anche di provenienza jugoslava) e bibliografiche, il reticolo di pressioni fisiche, psicologiche, economiche, sociali e culturali che accompagnarono l’affermazione del nuovo potere jugoslavo: Miletto le analizza concentrando l’attenzione su tre casi emblematici, e cioè le elezioni del 16 aprile 1950, la scuola e il clero. Nel primo caso viene descritta la concitata atmosfera che accompagna le consultazioni, caratterizzata dal peso dell’apparato propagandistico jugoslavo (con le cronache di Radio Belgrado e Radio Capodistria), dalle intimidazioni e dalle violenze che costringono la popolazione italiana a partecipare alla consultazione.
Di grande interesse risultano le parti dedicate alla scuola e agli insegnanti italiani, bersaglio di una politica mirante a indebolire il campo d’azione della popolazione italiana, e al clero, contro il quale i poteri popolari attuano una politica contrassegnata da elevati livelli di aggressività.
I tre casi citati si inseriscono all’interno di un quadro più ampio, volto a ottenere una progressiva jugoslavizzazione della società che colpiva in misura maggiore gli italiani chiamati a rispondere a quelli che l’autore definisce veri e propri criteri di ammissibilità. Coloro che non erano disposti a rientrarvi venivano quindi messi ai margini. Tale aspetto è dirimente per comprendere una delle ipotesi interpretative e cioè la forte connessione tra esodo, azione dei poteri popolari e costruzione della nuova società socialista.
L’esodo costituisce un altro dei campi indagati sia per le dimensioni sia per l'assistenza ai profughi, con i loro percorsi sul territorio triestino e italiano. Emergono differenze e punti di contatto con la grande ondata della prima fase, e si evidenziano i disagi dell’inserimento e le difficoltà di accoglienza degli esuli per i quali si aprirono le porte di campi e centri di raccolta. Altri entrarono nei programmi di emigrazione assistita, attivati da organizzazioni internazionali (iro, cime), che li portarono a riannodare i fili delle loro vite in Australia, Stati Uniti, Sud America, sotto quello che Miletto definisce «un cielo straniero» (p. 175).
Gli altri grandi temi che trovano spazio nelle pagine del volume sono il controesodo monfalconese e l’emigrazione comunista italiana in Jugoslavia. L’approccio scelto è quello di valorizzare la grande mole documentaria raccolta che consente di ripercorrere l’arrivo dei monfalconesi sul territorio jugoslavo, certificando la presa di contatto con una realtà ben diversa rispetto a quella descritta dalla propaganda di partito. Emerge la presenza di una parte prosopografica molto interessante e di non semplice compilazione, resa tuttavia completa da un percorso di ricerca che parte dal Casellario Politico Centrale e arriva fino ad archivi minori.
Correttamente l’autore individua nella scissione del Cominform lo snodo cruciale delle scelte dei comunisti italiani giunti in Jugoslavia, la maggior parte dei quali si schiera con Stalin e contro Tito. Ben descritti appaiono i meccanismi repressivi attuati dalle autorità jugoslave contro i monfalconesi, dei quali vengono seguite le traiettorie personali e collettive che li accompagnano fino al difficile ritorno in Italia. Da sottolineare, elemento di novità, come il libro si soffermi non soltanto su quanti arrivarono a Fiume, ma anche su quelli giunti a Pola e nei centri della Zona B.
L’altra vicenda che trova spazio nel volume riguarda i cominformisti italiani, studiati attraverso la ricostruzione dell’attività di due cellule attive a Fiume. L’autore riesce a far emergere i vari livelli della lotta cominformista condotta dalle due organizzazioni, mettendo così in luce il ruolo politico e di intelligence svolto dal pci e dal pctlt nello sviluppo delle direttive del Cominform.
Un ulteriore elemento di interesse, arricchito da nuova documentazione, è rappresentato dalla prigionia dei militanti nei campi di rieducazione titina (Goli Otok, Stara Gardiska, Sveti Grgur e altri).
Nella parte conclusiva il volume affronta i percorsi di rientro in Italia dei militanti, evidenziando come a definire l’esperienza monfalconese e cominformista concorse anche il silenzio imposto dal pci che pose le loro vicende sotto un fitto cono d’ombra.
Il volume si presenta quindi come un buon lavoro, che sulla base di una solida documentazione archivistica e di un eccellente controllo del quadro storiografico pregresso ottiene innovativi risultati storiografici costituendo un nuovo e importante punto di riferimento per gli studi delle tematiche legate al confine orientale italiano.
Marco Cuzzi