Fare una storia di una piccola realtà sportiva, dal carattere locale e inclusivo, non è compito facile, specie se la parola chiave di quest’ultima è integrazione. Il rischio di stilare una vera e propria agiografia, basata solo sui numeri o le intenzioni che animano il progetto, nascondendone le ombre, le difficoltà pratiche e materiali, o anche i limiti, è alto. Ma, fortunatamente, non è questo il caso.
Erminio Fonzo, assegnista all’Università di Salerno, ricostruisce con pazienza e metodo la genesi e lo sviluppo di una bella realtà locale, dai primi calci sino al passaggio al semiprofessionismo, raccontando, attraverso le vicende umane, sociali e agonistiche di un gruppo sorto in modo semi-casuale, la nascita e l’organizzazione di un progetto culturale vero e proprio, che ha saputo conservare i propri valori. Tutto questo, sempre con uno sguardo al più ampio contesto campano e nazionale, contrapponendo la realtà dell’associazione all’escalation di razzismo e xenofobia in Italia.
Lo stesso autore fornisce, sin dalle prime pagine, il quadro teorico di riferimento del testo: partendo dai concetti di comunità immaginata di Benedict Anderson e di nazionalismo banale di Michael Billig, Fonzo rivendica il potenziale dello sport come veicolo di integrazione in un ambito sociale favorevole. Il dato è dimostrato attraverso un rapido excursus sull’emigrazione italiana nel tardo xix secolo, specie verso il Sud America. Sono esempi certo noti a molti dei lettori, che l’autore sfrutta per ricordare le potenzialità del calcio, un gioco diffuso non solo in Italia, ma anche in molti dei Paesi di provenienza dei migranti.
Dopo aver fornito queste coordinate l’autore entra nel merito dell’esperienza dell’Afro-Napoli United, una squadra peculiare sin dalla sua genesi. Al contrario di altre realtà dilettantistiche, l’Afro-Napoli non nasce dallo sforzo di una comunità migrante sul territorio; è, invece, frutto causale di un processo di integrazione già in atto. La formazione deriva da un pregresso di calcio amatoriale dove i giocatori napoletani si erano aperti progressivamente all’inclusione di alcuni senegalesi: un gruppo quindi prima di tutto di atleti, che si stabilizzò nel 2009 su proposta di uno dei calciatori senegalesi, iscrivendosi al campionato aics. Lo stesso nome Afro-Napoli United è sintesi e superamento delle due realtà: da una parte i giocatori napoletani, nucleo originale, dall’altro la comunità senegalese.
Attraverso le traversie della formazione – dalle difficoltà logistiche dei primi anni, a quelle legislative, in particolare per i permessi di soggiorno – Fonzo ripercorre le vicende di una realtà che supera la dimensione calcistica, prima di tutto ponendo come obiettivo la lotta al razzismo, ma anche collaborando o meno con i centri sociali e le altre compagini presenti sul territorio. Questo percorso ha portato la squadra a integrare atleti provenienti da contesti culturali molto diversi fra loro, dal Sud America, fino all’Africa, passando anche – in un unico caso – per l’Europa orientale.
Tale sforzo non viene meno neanche con l’iscrizione al campionato figc nel 2013. Il dato non è secondario: oltre a un maggior agonismo il passaggio è complicato anche dalla progressiva logica dello sport spettacolo, inevitabile conseguenza dell’aumento del livello calcistico. Più sale la categoria, più i giocatori ricevono compensi e, soprattutto, si riduce il numero degli atleti non italiani con un almeno apparente ridimensionamento del potenziale d’integrazione. È, però, vero anche il contrario: facendo dell’integrazione la sua bandiera, l’Afro-Napoli United ottiene maggiore visibilità man mano che prosegue la sua scalata nel calcio semiprofessionistico, strutturandosi perché non venga meno la sua componente attiva. La società ha infatti mantenuto il proprio spirito, non solo nel sociale, preservando una propria formazione amatoriale, dove è molto più facile giocare per i migranti, ma organizzando pure un settore giovanile, che realizza regolarmente provini per reclutare nuovi talenti. Questo sforzo ha anche investito la complessa questione di genere, ben più complicata per una realtà calcistica, portando alla costituzione di due formazioni femminili, una calcistica, l’altra di futsal.
In questo processo Fonzo è bravo a non cadere nella tentazione di celebrare acriticamente la formazione, segnalando anzi le contraddizioni (la dialettica tra il progetto di integrazione e una forte competitività che conduce a selezionare i giocatori in base al talento) e aneddoti negativi (la vicenda di Mario Balotelli che, fuori rosa al Liverpool nel 2015, non degnò di una risposta l’offerta della compagine partenopea).
Ancora più grave, la «professionalizzazione» della squadra impone un criterio che non tiene conto della sintonia fra il progetto culturale e l’opinione dei singoli atleti. Sebbene Fonzo riporti che tutti gli atleti sono felici di contribuire alla causa, talvolta l’impegno sportivo non si accompagna a quello sociale. Lo dimostra il caso del capitano della squadra femminile Concetta Astarita. Candidata per le elezioni comunali con una lista civica collegata alla Lega di Matteo Salvini e appoggiata dal resto della squadra, Astarita si rifiutò di rinunciare al proprio impegno politico, come richiesto dalla dirigenza dell’Afro-Napoli United, finendo per portare alla scissione della compagine femminile dalla società madre.
Il testo di Fonzo è una buona analisi che, attraverso una vicenda locale, illumina il più ampio contesto del calcio e della società italiana. Induce a riflettere sulle potenzialità dello sport nell’odierna società multiculturale e getta luce su un’esperienza nel complesso positiva per superare la xenofobia nonostante l’arretratezza italiana nell’Europa occidentale.
Lorenzo Venuti