In un periodo in cui il tema migratorio è molto presente nei discorsi del papa e anche nella discussione all’interno della Chiesa, questo volume riprende la secolare storia dell’attenzione dei successori di Pietro agli spostamenti di popolazione, alla circolazione degli uomini e di come tale attenzione emerga nei documenti emanati dalla Santa Sede, partendo fin dal Tardo Medioevo lungo una linea del tempo in cui la narrazione s’intensifica per approfondire i pronunciamenti pontifici degli ultimi decenni. L’aspetto interessante della parte pre-novecentesca è determinato dai cambiamenti dell’atteggiamento dei pontefici sul tema degli spostamenti umani che, pur nelle varie specifiche situazioni, è sempre stato affrontato in termini universali con due atteggiamenti destinati a rimanere: emigrazione come pericolo o come risorsa? Nella prospettiva confessionale dell’epoca si ribadiva la necessità di non mescolarsi mettendo a rischio la fede cattolica; ma si osservava come i cattolici emigrati diffondessero la fede. Inoltre, l’accoglienza favoriva le conversioni attraverso strutture assistenziali o chiese nazionali, un modello che si ripropose, mutatis mutandis, nelle parrocchie personali o linguistiche tra l’Ottocento e il Novecento.
La fase della grande emigrazione segna l’inizio dei pronunciamenti pontifici da Leone xiii fino a Pio xi, segnali di un’attenzione che si fa costante, istituzionale e si indirizza nella fondazione di ordini religiosi maschili e femminili e di organizzazioni laicali per l’assistenza degli emigranti in Europa e in America che hanno un carattere missionario. Con le due guerre mondiali che, generano ondate di profughi, l’emigrazione per motivi economici, già densa di connotazioni anche politiche, si mescola con quella a carattere forzato. Per la Chiesa è anche un problema giurisdizionale. Pio xii cerca di mettere ordine con l’importante Costituzione apostolica Exsul familia del 1952, in cui centralizza la competenza sui vari aspetti del fenomeno nella Congregazione Concistoriale. Giovanni xxiii ribadisce questa politica e vede nella parrocchia il centro di composizione delle differenze e di «acclimatazione culturale» del migrante (p. 98). Le istanze del Concilio Vaticano ii spingono verso l’adattamento delle strutture ecclesiastiche all’accoglienza degli immigrati. Con i documenti di Paolo vi (in particolare il motu proprio Pastoralis Migratorum Cura del 1969) ci si rende conto che la modernità ha portato a una mobilità generale (un cambiamento lessicale senza ritorno sancito dalla lettera pontificia Chiesa e mobilità umana del 1978) che si fonda sulle ragioni più diverse, oltre alle storiche motivazioni economiche o politiche. Ad esempio, emerge il tema dell’inurbamento e delle migrazioni interne che spopola le campagne (Octogesima Adveniens di Paolo vi del 1971 per l’ottantesimo anniversario della Rerum Novarum). Sulla spinta del Concilio Vaticano, i documenti di Giovanni Battista Montini spingono verso un’accettazione della mobilità come fattore positivo, da studiare soprattutto attraverso la sociologia, verso cui agire attraverso un’intensa azione pastorale. Nei 25 anni del papato di Karol Wojtyla la mobilità ormai è un fenomeno accettato, non eccezionale, in cui la Chiesa deve essere presente per proteggere i valori della famiglia, del lavoro e della tradizione, di fronte a un processo di globalizzazione immanente (ad esempio, torna la vexata quaestio se l’immigrato si debba integrare o mantenere lingua e costumi; e ritornano in auge le parrocchie personali). Non si dimentichi che finisce la guerra fredda, con ulteriori spostamenti di uomini (soprattutto dall’Europa orientale).
Seguendo i messaggi papali per la giornata del migrante Matteo Sanfilippo ricostruisce il complesso quadro che viene formandosi: da un lato, rappresenta la nuova umanità mobile, i suoi bisogni spirituali, culturali e morali; dall’altro, prepara un nuovo clero di una chiesa che deve muoversi in una prospettiva missionaria, nella teologia, nel diritto canonico, nella pastorale. Questo collegamento con la chiesa missionaria diventa evidente con Benedetto xvi, che fonda nel 2010 il Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, destinato a svolgere la missione presso le popolazioni in movimento. Tuttavia, come la storia della Chiesa ha spesso sperimentato, l’impostazione universalista data al problema si scontra con le situazioni nazionali nelle quali le chiese locali (che forniscono le risorse per l’intervento sui migranti) devono vedersela con le politiche dei governi, per i quali le migrazioni e la mobilità hanno costitui-to sempre un problema, oltre che costituire l’occasione di una propaganda anti-migratoria che spesso fa appello a temi religiosi identitari, che paiono riecheggiare i toni confessionali dei secoli passati, e che dividono l’opinione pubblica anche cattolica.
L’autore evidenzia la difficoltà dell’intervento della Chiesa e anche la complessità dei termini del problema, come dimostra anche il pontificato attuale di Francesco, che esprime con forza la posizione della Chiesa con parole come accoglienza, protezione, promozione, integrazione dei migranti e dimostra come nella società globalizzata attuale ci sia una sovrapposizione tra la questione della mobilità e il tema della dignità dell’uomo. Arrivando fino all’oggi (2018), Sanfilippo ci accompagna con estrema precisione e chiarezza attraverso i testi pontifici, accuratamente inquadrati in una cornice istituzionale, lungo una storia secolare, la cui durata dimostra come la posizione della Chiesa sia il frutto di un lungo processo di elaborazione e non di «un delirio passeggero» per usare le parole di papa Francesco (p. 219).
Giovanni Pizzorusso