A quasi trent’anni da quando il racconto autobiografico La Spartenza del contadino siciliano Tommaso Bordonaro vinse il premio Pieve di Santo Stefano dell’Archivio diaristico nazionale, il Centro di studi filologici e linguistici siciliani ripubblica gli atti del convegno (usciti originariamente nel 2011) «Raccontare la vita, raccontare le migrazioni», che si tenne nel 2009 a Bolognetta, in provincia di Palermo, paese natale dell’autore, con l’aggiunta di alcuni articoli e recensioni apparsi negli anni su riviste e quotidiani nazionali. Curati da Santo Lombino, concittadino e «scopritore» di Bordonaro, i saggi in modo puntuale e approfondito analizzano la lingua, lo stile e la capacità narrativa di un testo che, come ha scritto Natalia Ginzburg nella prefazione all’edizione Einaudi del 1991, «non assomiglia a niente che abbiamo già letto» (p. v).
Bordonaro racconta le vicende liete e tristi della sua vita, dall’infanzia alla vecchiaia, che hanno come momento centrale e spartiacque la partenza per gli Stati Uniti nel 1947, con la moglie e i quattro figli, spinto non tanto da una necessità immediata ma per dare ai figli un futuro diverso dall’essere contadini «schiavi dei proprietari» (La Spartenza, p. 53). Stabilitosi a Garfield nel New Jersey, lo raggiunsero alcuni suoi fratelli e, più tardi, anche il padre e la madre. L’emigrazione è sicuramente uno di quei fatti eccezionali che hanno spinto la gente comune, che in circostanze «normali» non l’avrebbe mai fatto, a prendere la penna in mano e fissare sulla carta, magari stentatamente e in maniera approssimativa, memorie, pensieri e sentimenti. In genere, si tratta di documenti non pensati inizialmente per la pubblicazione e perciò dominati da una grande spontaneità di forma e contenuti (Rita Fresu e Ugo Vignuzzi, p. 66). La Spartenza, il titolo che su suggerimento di Lombino, Bordonaro diede al proprio manoscritto, deriva dal siciliano spàrtiri e sviluppa una complessa serie di sensi tutti collegati e legati alla «lacerazione del distacco, della separazione, della partenza e della dipartita. Essa vale partenza, come anche l’atto di congedarsi; significa il distaccarsi dalle persone care, ma anche l’abbandono, l’essere diviso, fino ad assumere il valore di bivio» (Roberto Sottile, p. 6). Si tratta di un titolo che, come ha affermato in un’intervista Andrea Camilleri, riesce a cogliere benissimo la «radice amara, tossica della partenza nella spartenza, cioè nel dividersi, nel separarsi dalla propria patria» (Gaetano Savatteri, p. 180).
Con una scrittura sgrammaticata e ampiamente contaminata da espressioni dialettali e termini italoamericani, ma tuttavia autentica ed emozionante, il protagonista/narratore descrive ambienti e situazioni della Sicilia rurale dell’anteguerra e dell’America degli immigrati italiani, in cui riuscì ad affermarsi solo dopo lunghi anni di fatica e disagi. Bordonaro era infatti un «semicolto», cioè aveva iniziato un percorso di scolarizzazione ma, a causa dello scoppio della Prima guerra mondiale, l’aveva interrotto prematuramente, non potendo acquisire quella necessaria dimestichezza con la lingua, in particolare scritta, che potesse permettergli di «non rimanere vincolato al proprio dialetto o a forme e stilemi di un’oralità che pervade la scrittura» (Luisa Amenta, p. 26). È un fatto, comunque, di cui l’autore si dimostra consapevole come quando, nella formula di chiusura del racconto, ringrazia i lettori non per avere letto ma per avere ascoltato la sua storia (La Spartenza, p. 134). Come viene giustamente sottolineato, pur nell’urgenza di raccontare la propria vita che rende la scrittura «vivace, irruenta e difficilmente addomesticabile», la non rara presenza di accorgimenti stilistici dimostra, in realtà, una certa consapevolezza letteraria dello scrivente nel pensare a un pubblico del proprio racconto (Nicola Grato, p. 86).
A testimonianza del profondo e duraturo interesse nei confronti del «contastorie» Tommaso Bordonaro, scomparso in Florida nel 2000 (Franco Lo Piparo, p. 117), nei decenni successivi alla pubblicazione del suo memoriale ci sono state numerose iniziative editoriali e congressuali, sono state realizzate trasposizioni teatrali e un’opera lirica, sono state discusse tesi di laurea, è stato girato un documentario per Rai Cinema ed è stato allestito il Museo delle Spartenze a Villafrati, un comune limitrofo a Bolognetta. Nel 2013, la casa editrice Navarra ha ripubblicato La Spartenza, con la prefazione di Goffredo Fofi, spiegando questa scelta con il fatto che la riproposizione dell’esperienza migratoria degli italiani nel passato può essere uno stimolo alla riflessione sull’attuale fenomeno migratorio che vede l’Italia quale Paese d’arrivo.
I contributi degli studiosi che hanno partecipato al convegno del 2009, gli articoli e le recensioni raccolte in questo volume, pur con qualche forse inevitabile ripetizione e disomogeneità, ci offrono un’analisi ricca, complessa e articolata di un’opera che, grazie alla «concisione della scrittura unita ad una straordinaria narrazione, ricca anche di invenzioni di scrittura» – secondo la motivazione redatta dalla Commissione per l’assegnazione del premio Pieve Santo Stefano – appare oggi un documento linguistico di alta levatura e un classico dell’italiano popolare regionale (Lombino, p. 20).
Sebastiano Marco Cicciò