La mostra, curata da Stefano Morello (dottorando in letteratura inglese alla City University of New York) e Kerri Culhane (dottoranda in architettura allo University College London) ricostruisce una tipica microstoria urbana completamente dimenticata nel tempo. L’esposizione ha tratto le scaturigini dalle vicende personali degli antenati di Morello, traversie che, nel 2013, lo indussero a svolgere ricerche sugli anni di permanenza a New York della sua bisnonna, Salvatrice Nigido, immigrata negli Stati Uniti esattamente un secolo prima dal paese natale di Militello in Val di Catania. La donna andò a vivere nell’isolato definito, nel 1903, dal giornalista statunitense Ernest Poole, futuro vincitore del premio Pulitzer, il «Lung Block». Si trattava di un complesso residenziale collocato nel quartiere del Lower East Side, tra i due ponti di Brooklyn e di Manhattan e compreso tra Monroe, Market, Cherry e Catherine Street. Fin dal 1899, il «Lung Block» era diventato uno dei distretti con la maggiore concentrazione di immigrati italiani, provenienti non soltanto dalle regioni meridionali ma anche da quelle centro-settentrionali quali Toscana ed Emilia-Romagna. In quel periodo, il «Lung Block» fu il bersaglio di inchieste giornalistiche sensazionalistiche da parte della stampa cittadina che, occupandosi delle pessime condizioni igienico-sanitarie dell’area, lo additò come quintessenza del degrado urbano newyorkese e presunto focolaio per lo sviluppo della tubercolosi, contribuendo al tempo stesso a diffondere lo stereotipo dell’immigrato italiano incivile, analfabeta, sporco, alcolista, criminale e soprattutto portatore di gravi malattie infettive. Una situazione analoga si era verificata anche per la zona del Mulberry Bend, oggetto di studi sociologici da parte del fotogiornalista Jacob A. Riis e in seguito riqualificata come un parco pubblico, il Columbus Park.
L’originalità e allo stesso tempo lo scopo principale della ricerca e della successiva mostra risiedono nella demistificazione di questi infelici luoghi comuni, a cominciare dalla ricostruzione della storia personale di Salvatrice, che emigrò a New York nel 1913 per ritrovare suo fratello Mario (componente di un’enclave militellese che in quel periodo era composta da circa un migliaio di compaesani), ma lasciando in Sicilia la figlia piccola Antonietta. Poco dopo il suo arrivo a New York, Salvatrice conobbe il suo futuro marito, Salvatore Placente, anche lui originario di Militello in Val di Catania, di professione bancario presso la Banca La Sicilia della città e presidente della Indipendent Sons of Militello Society, che a differenza di Salvatrice era arrivato a New York già nove anni prima. Per i successivi sette anni Salvatrice lavorò come sarta all’interno del suo appartamento nel «Lung Block» fino a quando l’influenza pandemica (non la tubercolosi) non le fu fatale all’età di soli 32 anni.
Durante il perdurare della crisi economica degli anni trenta, dopo alcuni precedenti tentativi di speculazione urbanistica andati a vuoto, l’imprenditore edile Fred F. French sfruttò gli stereotipi sull’isolato a proprio vantaggio per condurre un intervento di risanamento dell’area del «Lung Block», utilizzando gli sgravi fiscali concessi dal governo federale grazie al New Deal del neo-eletto presidente Franklin D. Roosevelt. Come era già successo per il Mulberry Bend, nel 1933 il «Lung Block» fu completamente demolito dalla French Company per l’edificazione di un nuovo complesso edilizio formato da dodici palazzi per un totale di 1.590 appartamenti (il Knickerbocker Village), pensati per residenti di ceto medio come i broker finanziari di Wall Street. La riqualificazione dell’area lasciò per strada 373 famiglie italiane che, a causa degli elevati prezzi d’affitto dei nuovi appartamenti, furono costrette a trasferirsi presso le più economiche abitazioni collocate nelle Little Italies del Lower East Side, di East Harlem, di Brooklyn e nei limitrofi Stati del New Jersey e della Pennsylvania.
Attraverso l’utilizzo di fonti fotografiche, carte planimetriche, articoli di periodici coevi e registri municipali del Board of Health di New York, Morello e Culhane ripercorrono la realtà di uno slum abitato da immigrati italiani che si erano trasferiti a New York per lavorare, contrariamente agli stereotipi negativi, diffusi dai media del tempo, che li consideravano propagandisti di ideologie politiche sovversive (anarchismo e socialismo) oppure componenti di pericolose associazioni criminali (mafia e Mano Nera). Nel 1915, ad esempio, all’interno del «Lung Block» erano presenti decine di attività commerciali tra cui 49 tra ristoranti, saloon e negozi alimentari, oltre a sartorie, barberie e calzolerie. Sebbene il quartiere fosse un luogo di indiscussa miseria e solitudine, i curatori della mostra smentiscono le esagerazioni dell’informazione giornalistica coeva sulle disperate condizioni sanitarie, secondo cui quel luogo era l’incubatore per la diffusione della tubercolosi nell’intero territorio metropolitano. Infatti, in base alle statistiche municipali sulla salute pubblica, tra il 1900 e il 1930 gli italiani godevano di una condizione igienica migliore rispetto ad altre comunità etniche di New York come, ad esempio, quella cinese.
Grazie alla vicenda umana particolare dei militellesi Salvatrice Nigido e Salvatore Placente, Morello e Culhane sono riusciti nell’intento di descrivere la storia generale di una comunità che agli inizi del Novecento giunse a New York per lavorare con sacrificio, sperando in un futuro migliore di quello che avrebbe potuto realizzare in patria.
Francesco Landolfi