Più ancora di altre regioni italiane, il Friuli è stato interessato da un’esperienza migratoria antica e diversificata, le cui radici affondano nella prima Età moderna. Nel corso dei secoli, da questo luogo «di confine» per sua natura intrinseca flussi di commercianti e artigiani, poi di operai e di lavoratori specializzati hanno imboccato le strade d’Europa e del mondo e hanno dato vita a una diaspora dalle caratteristiche peculiari. Molteplici studi mostrano come la popolazione di ogni micro-area del territorio friulano abbia compiuto scelte sensibilmente differenti, per comprendere le quali è importante tener presente la specificità di realtà anche molto ristrette, quali piccoli paesi e villaggi. Javier P. Grossutti si propone proprio di gettare luce sulle dinamiche migratorie riguardanti i comuni friulani occidentali e del tratto pedemontano e montano della Carnia. Nel farlo assume vari punti di osservazione, dal Cinquecento fino all’oggi, con l’intento di ricomporre un quadro generale ed esauriente delle loro vicende.
Il volume nasce come guida al museo di Cavasso Nuovo, un piccolo comune in provincia di Pordenone che ospita una sezione distaccata del museo provinciale della vita contadina di San Vito al Tagliamento e che nel tempo è stato teatro di un consistente numero di partenze. Tuttavia, questo testo non si limita a illustrare il percorso espositivo in maniera didascalica. Costituisce piuttosto un suo complemento e arricchimento e rappresenta di per sé una raccolta di testimonianze e dati di notevole interesse storico, che accompagna il lettore (e il visitatore) alla scoperta dei mestieri, degli itinerari, delle comunità sorte all’estero, sottolineando la continuità nel tempo e l’ampiezza geografica del fenomeno, senza per questo rinunciare a valorizzarne la dimensione locale e familiare. Il risultato è un contributo capace di conferire una solida contestualizzazione e dare una voce alle fotografie, alle lettere e agli effetti personali in mostra. Tale sforzo appare tanto più significativo quanto più ci viene ricordato che a lungo «le stagioni migratorie dei friulani sono state confinate nella memoria, il più delle volte individuale […], e sembra siano state volutamente rimosse dalla coscienza collettiva» (p. 131).
L’autore descrive le articolate strategie di gruppo su cui, specie a partire dalla metà dell’Ottocento, si fondava la scelta di emigrare, quasi sempre pianificata con cura da persone coscienti e informate, animate da un preciso progetto di ascesa economica e sociale. Inoltre, la maggior parte di coloro che lasciavano le valli o i borghi d’origine era accomunata da un elevato livello di specializzazione. Quest’ultimo spesso era stato acquisito in professioni di antichissima tradizione, da quella raffinata del mosaicista, risalente addirittura all’epoca bizantina e tipica di Spilimbergo e dintorni, alle più «umili» di scalpellino, tagliapietre e terrazziere, in grado di vantare comunque una competenza riconosciuta fin da epoche remote e messa a frutto in grandi opere infrastrutturali realizzate in giro per l’Europa e successivamente anche oltreoceano. L’emigrazione friulana annovera, certo, anche alcuni dei classici mestieri girovaghi, come gessinaio, stagnino e venditore ambulante, ma le fonti esaminate testimoniano che tali impieghi precari erano meno diffusi rispetto ad altre zone d’Italia e risultavano appannaggio solo di una piccola percentuale di chi espatriava. La consapevolezza e l’orgoglio per la propria professionalità, d’altra parte, sono tratti distintivi dei migranti provenienti da queste terre e si riflettono concretamente nella precoce costituzione, soprattutto nell’edilizia, di informali associazioni di mestiere che anticiparono le scuole di formazione gestite dagli enti istituzionali. Al loro interno le conoscenze e le «pratiche» degli esperti muratori, fornaciai, squadratori di traversine si trasmettevano da una generazione all’altra e venivano poi esportate nei cantieri di Germania, Russia o Stati Uniti, fino a fare delle «principali destinazioni migratorie […] il risultato di catene consolidate, di forti legami tra luoghi di partenza e di arrivo» (p. 56).
I piccoli proprietari terrieri friulani furono tra i primi a percorrere con continuità le rotte verso i Paesi del Sud America, mossi da uno spiccato spirito imprenditoriale e dalla ferma volontà di investire le loro risorse in un progetto ambizioso, che prevedeva l’insediamento in pianta stabile nelle fertili pianure argentine o brasiliane. A questi flussi, già relativamente cospicui all’inizio degli anni settanta dell’Ottocento, Grossutti, impegnato da lungo tempo ad approfondire l’argomento, dedica ampio spazio, per soffermarsi sulle traiettorie percorse dagli abitanti delle colline e dell’alta pianura tra Udine e Pordenone, sul progressivo estendersi delle partenze alle fasce meno abbienti della popolazione mano a mano che i costi dei trasporti via mare divenivano più contenuti e infine sui destini di singole famiglie, la cui storia è raccontata anche attraverso le belle fotografie riprodotte nel volume.
Risulta particolarmente apprezzabile l’inclusione in bibliografia di numerosi testi molto diversi fra loro: fonti ufficiali, documentazione d’archivio inerente sia ai luoghi di partenza sia a quelli di arrivo e studi di respiro locale si alternano a epistolari privati e a un abbondante corredo iconografico, permettendo al lettore di esplorare quel fitto microcosmo di relazioni che informa il fenomeno della migrazione e lo rende un così coinvolgente e appassionante oggetto di ricerca.
Francesca Puliga