Le ricerche sull’immigrazione contemporanea di «ritorno» in Italia degli italobrasiliani, fra la fine del Novecento e l’inizio del xxi secolo, pur facendo riferimento a volte a discendenti di quarta o quinta generazione, sottolineano un processo di trasformazione identitaria spesso comune e connotata da un duplice senso dell’appartenenza: all’Italia e al Brasile. In particolar modo, questo fenomeno riguarda gli italobrasiliani provenienti dalle antiche zone di immigrazione in Brasile che erano state fondate sull’esperienza della piccola proprietà rurale, in una sorta di iniziale enclosure. Nel processo di trasferimento e insediamento nella terra degli avi, l’Italia, si manifesta una dinamica nuova, nella quale si scopre una brasilianità profonda che passa a caratterizzare il senso personale dell’appartenenza: si parte dal Brasile italiani e si diventa in Italia brasiliani.
Queste considerazioni sono significative per mettere in luce uno degli aspetti rilevanti del libro di Emilio Franzina, sebbene il volume affronti l’inizio del Novecento. L’idea delle due patrie è uno degli elementi di analisi che attraversano il testo ed è uno degli elementi fondamentali per capire la motivazione degli immigrati italiani in Brasile e soprattutto dei loro figli in età di leva, arruolatisi volontari nell’esercito regio per combattere nella Prima guerra mondiale. Le ragioni della loro decisione furono varie, ma risultò forte la consapevolezza di un’appartenenza identitaria alla patria dei genitori, nonostante la distanza. Però, anche in questi casi, come sottolinea Franzina, l’esperienza del fronte e la lontananza dalle cose e dagli affetti familiari produsse un sentimento di nostalgia per quell’altra patria lasciata al di là dell’oceano. In mezzo agli orrori della guerra e alla tragica situazione delle trincee, questi italobrasiliani videro rafforzarsi la seconda parte del loro binomio identitario.
Il lavoro è degno di nota per avere affrontato un tema inedito, considerata la scarsa attenzione storiografica, soprattutto in Italia, per la partecipazione alla Grande guerra da parte degli italiani provenienti dalle Americhe e, principalmente, dall’America Latina. La monografia si inserisce in un nuovo filone di ricerca che comincia a svilupparsi nel Brasile meridionale, stimolato in parte proprio dallo stesso Franzina.
Un altro elemento importante da segnalare è la quantità e varietà delle fonti utilizzate, che spaziano, fra l’altro, dalle lettere provenienti dal fronte ai giornali etnici stampati nel continente americano, per lo più in Argentina e Brasile, fino alla documentazione dei Ministeri degli Esteri dei Paesi coinvolti. Questo materiale consente di ricostruire sia le dinamiche più istituzionali sia la dimensione che riguardava la vita privata, producendo una panoramica ampia sul contributo degli italiani provenienti dal continente americano alle vicende della Prima guerra mondiale. L’intreccio delle diverse tipologie documentarie permette inoltre una lettura che considera sia le percezioni del quotidiano del reclutamento dei volontari e dell’azione nel conflitto, sia il dibattito nella stampa etnica, così come la politica del Regno d’Italia per l’arruolamento degli immigrati e dei loro discendenti.
Sin dal primo capitolo le questioni della memoria e dell’identità diventano rilevanti strumenti per l’analisi della partecipazione degli italoamericani alla Grande guerra. Tale memoria è costruita anche attraverso la stampa etnica, tenendo conto delle informazioni censurate e delle lettere scelte per la pubblicazione. In alcuni casi qualche fake news, come si potrebbe dire oggi, cercava di attirare nuove reclute, assicurando che il conflitto sarebbe stato veloce e la vittoria italiana certa per la presunta grande superiorità dell’esercito regio. Anche la discussione sull’italianità è un elemento importante, che viene considerato nel testo sia come promotore delle partenze per il fronte sia in quanto collante del gruppo nel periodo bellico. Inoltre, il dibattito sul conflitto divenne momento di rielaborazione dell’identità stessa, aggiungendo nuovi elementi a questa italianità, un concetto che l’autore definisce «vago e generale» (p. 29).
Spaziando attraverso le diverse realtà geografiche da cui partirono gli italoamericani, pur enfatizzando il caso brasiliano, Franzina sottolinea le contraddizioni del discorso di un patriottismo unitario, in un dibattito che coinvolse gruppi di provenienze regionali diverse. Fu questo il caso dei trentini, che non sempre reagirono come gli altri «italiani» perché comprendevano anche individui che avevano giurato fedeltà all’imperatore austroungarico. Era conflittuale anche il rapporto fra il mondo urbano e quello rurale, con il sentimento patriottico popolare delle periferie migratorie che non rispecchiava quello delle grandi città. Un’altra eccezione al presunto monolitismo dei sentimenti patriottici degli italobrasiliani consistette nell’opposizione alla guerra presente nei movimenti socialista e anarchico, in particolare a São Paulo. In realtà, l’autore parla della situazione del Brasile in termini di «fronte interno» (p. 268) per mettere in risalto le differenti mobilitazioni, la circolazione delle notizie e anche la propaganda clericale presente in alcune congregazioni religiose come quella degli Scalabriniani.
Sono diverse le motivazioni che il testo indica come stimolo della partenza dei volontari: dal desiderio di ritornare in Italia alla necessità affettiva di difendere la terra dei genitori. Allo stesso tempo, però, Franzina segnala il numero rilevante di disertori che abbandonarono la divisa dopo qualche tempo al fronte. L’analisi dell’epistolario dell’italopaulista Américo Olando, caduto in guerra, può illuminare le dinamiche di queste contraddizioni. Nella realtà del conflitto, Orlando manifesta una divisione schizofrenica fra due patrie – l’Italia e il Brasile – e un desiderio sempre più forte di tornare a vivere nella seconda.
Luís Fernando Beneduzi