Stando ai dati recenti dell’American Community Survey, sono circa 17 milioni gli americani che dichiarano una discendenza italiana (www.census.gov/newsroom/stories/2017/october/italian-american.html). Alla luce della larga immigrazione italiana negli Stati Uniti del secolo scorso, la cifra non sorprende; ma se si considera che è un dato che i censimenti danno in crescita, malgrado l’esiguità dell’immigrazione odierna, ben si comprende come mai l’identità italoamericana continui a costituire un tema di grande interesse (Danilo Catania, Stefano Luconi e Gianfranco Zucca, Guardando l’oceano da un grattacielo, Viterbo, Sette Città, 2010).
Il libro di Rosemary Serra offre un’indagine minuziosa su cosa significhi oggi, negli Stati Uniti, indentificarsi con il Paese natale dei propri genitori, nonni, talvolta bisnonni, italiani. L’indagine adotta una prospettiva definita: quella dei giovani italoamericani. Attraverso una ricerca sia quantitativa che qualitativa condotta a New York City nel 2013, Serra ha raccolto 277 interviste tra donne e uomini di origine italiana in una fascia d’età tra i 18 e i 34 anni (cap. 4). L’obiettivo non è definire in che modo e in quale misura questi giovani siano «italoamericani», ma, piuttosto, osservare come questi giovani rappresentino e immaginino il loro «essere italoamericani», mettendo in relazione la propria discendenza con orientamenti di valore, atteggiamenti, comportamenti e stili di vita che li riguardano.
Una caratteristica critica del campione è che si tratta per lo più di giovani con alti livelli di scolarizzazione (p. 118), il che stride con il rapporto tutt’ora travagliato tra italoamericani e istruzione (www.italoamericano.org/story/2014-10-15/Chirico). Ciononostante, la scelta si giustifica con la finalità della ricerca, che non intende delineare il modo prevalente di relazionarsi al proprio retaggio etnico da parte dei giovani italo-americani, bensì far emergere le diverse «interpretazioni» dello stesso.
I dati, raccolti mediante un questionario a domande chiuse e aperte, sono infatti esaminati prestando attenzione alle variabili di genere, classe e generazione di immigrazione. Quest’ultima appare determinante per capire le differenze rispetto a come seconda (39% del campione), terza (40%) e successive generazioni concepiscono il background italiano. Inoltre, le risposte vengono rielaborate tramite analisi fattoriali che consentono di cogliere i significati latenti dell’identificazione etnica andando oltre le opinioni esplicitamente espresse.
Nel libro i risultati decisamente validi della ricerca non risultano sempre valorizzati da un’adeguata organizzazione e capacità di sintesi. Si ha la sensazione di perdersi nelle lunghe e a tratti ripetitive disamine di dati raccolti. Tralasciando la prima parte del libro, dedicata agli aspetti teorici sull’etnicità (capp. 1-3), nella ricerca si possono rintracciare alcune aree di maggiore approfondimento. La prima riguarda l’identificazione etnica e i suoi significati (capp. 6-7). Qui si esamina quanto e perché sia importante il retaggio etnico per gli intervistati e in che cosa esso consista, al di là del mero possesso di una discendenza italiana. Ci si chiede se l’essere italoamericani implichi l’adesione a certi valori, la ricezione/trasmissione di un patrimonio culturale (storia, tradizioni), il coinvolgimento in relazioni di gruppo o la coltivazione di rapporti con l’Italia. La dimensione dei «valori» (cap. 5) emerge come una caratterizzazione determinante dell’identità italo-americana, specialmente se si considera il peso assegnato alla famiglia.
Una seconda area è relativa all’immagine degli italoamericani. Questa è studiata dal punto di vista della fisionomia che assume il «tipico» italoamericano nell’immaginario degli intervistati sotto il profilo dei tratti fisici, della personalità, della cultura, dei valori (cap. 8). Un focus particolare è dedicato agli stereotipi (cap. 10). Si esamina quali sono, secondo gli intervistati, quelli più ricorrenti nelle rappresentazioni degli italoamericani, che tipo di reazione suscitano in loro e più in generale nel gruppo etnico. Infine, una terza area riguarda lo studio dell’immaginario degli intervistati in relazione all’Italia (cap. 9). La visione un po’ convenzionale, legata al cibo e all’arte, viene problematizzata investigando il grado di identificazione/separazione percepito con la società italiana e il mantenimento di contatti con essa tramite viaggi, relazioni, uso della lingua, aggiornamento sull’attualità.
Di base la ricerca di Serra suggerisce che, tra i giovani italoamericani, non esiste un’unica maniera di rapportarsi al retaggio etnico ma una diversità di modi che lei riassume in quattro «profili identitari» (cap. 15). Le questioni del dibattito sull’identità italoamericana sono riesaminate considerando questa diversità. La studiosa non sottovaluta l’importanza che anche un’etnicità simbolica, più legata al «cibo» che non a concrete dinamiche di gruppo, possa rappresentare per l’identità dell’individuo; ciononostante la sua prevalenza nelle generazioni più lontane dall’immigrazione coincide con il tramonto dell’appartenenza etnica. Le generazioni più recenti, la seconda in particolare, sembrano invece scontare una difficoltà di integrazione nell’Italo-America che ricorda le divisioni tra vecchia e nuova immigrazione italiana del secondo dopoguerra (New Italian Migrations to the United States, a cura di Laura E. Ruberto e Joseph Sciorra, vol. i, Urbana, University of Illinois Press, 2017). Il futuro della cultura italoamericana (cap. 12), necessariamente legato ai giovani, presuppone allora una conoscenza delle diverse posizioni identitarie al loro interno esistenti. E, al riguardo, il libro di Serra apporta un contributo senz’altro decisivo.
Tommaso Caiazza