La biografia di Nicola Chiaromonte – presentata dall’autore attraverso la sua parabola esistenziale e, soprattutto, mediante un’attenta ricostruzione della sua «riflessione etico-politica» (p. 5) – ci restituisce una figura sui generis, un intellettuale poliedrico, capace di muoversi con la stessa eleganza dal teatro alla letteratura alla politica. Proprio dalle notazioni più intime, non solo come semplice osservatore ma anche come espatriato, coglie la capacità di sintetizzare nel suo pensiero il fulcro delle esperienze personali, che riverberano nella multidimensionalità delle sue analisi. Lasciata l’Italia in polemica con il fascismo nel 1935, Chiaromonte approda dapprima a Parigi, dove si lega ad alcuni esponenti di Giustizia e Libertà e, successivamente, a New York dove si avvicina al circolo di Politics, per tornare poi nella capitale francese nel dopoguerra: un itinerario intellettuale che diviene anche un’attitudine ad «ampliare i propri orizzonti culturali» (p. 121), un bisogno – oltre che una conformazione mentale – che lo accompagna anche dopo il suo rientro in Italia nel 1953.
La monografia di Cesare Panizza riesce a tenere insieme non solo gli aspetti privati e più umani di Chiaromonte, come il rapporto con la famiglia e la difficile relazione con il fratello Mauro, l’amore per Annie e il dolore per la sua morte, le relazioni di amicizia, ad esempio, con Mary McCarthy e Melanie Von Nagel. Il volume è in grado, soprattutto, di cogliere con estrema vivacità e minuzia di dettagli la complessità dell’azione dell’intellettuale italiano, che si sviluppa attraverso molteplici collaborazioni a riviste italiane e internazionali e a numerose iniziative politiche. La versatilità degli interessi di Chiaramonte affiora, infine, nell’interazione con i più disparati rappresentanti del mondo della cultura e della politica.
Attraverso la presentazione di questa fitta maglia di contatti si evince lo scambio di idee e l’evoluzione del pensiero di un intellettuale al centro delle connessioni europee e transatlantiche in un mondo in profonda trasformazione. Un intreccio di relazioni che costituisce un tassello fondamentale per comprendere l’esperienza antifascista di Chiaromonte, la sua partecipazione alla composita rete di esuli oltreoceano e il difficile ritorno – segnato da incomprensioni e divergenze – e la ricerca di rinnovamento al di fuori delle sfere culturali cattolica e comunista. Proprio attraverso di esse, oltre che tramite le parole dello stesso protagonista, Panizza ricostruisce le tappe fondamentali della vita e della produzione chiaromontiana: sono gli incontri con Andrea Caffi, Albert Camus, Dwight MacDonald, Ignazio Silone, ad esempio, a stimolare nuove prese di posizione e a continuare a influenzare il pensiero di Chiaromonte per i decenni successivi.
Di Chiaromonte alcuni studi hanno evidenziato il ruolo di mediazione che le esperienze personali, gli interessi di studio e l’attività politica gli avevano assegnato, una funzione che si univa alla necessità di ricavarsi uno spazio genuinamente autonomo di riflessione. Tali studi, però, si sono soffermati sull’operare del filosofo lucano al rientro in Italia nel dopoguerra, in particolare sulla sua partecipazione alla «guerra fredda culturale» mediante la fondazione della rivista Tempo Presente con Silone (Giancarlo Gaeta, «La scelta delle “cose migliori”. Intellettuali e società di massa secondo Nicola Chiaromonte», Annali d’Italianistica, xix, 2001, pp. 245-54; Frances S. Saunders, Who Paid the Piper? The cia and the Cultural Cold War, London, Granta, 1999; Paola Carlucci, «La necessità del limite: il Sessantotto di Nicola Chiaromonte tra autobiografia e riflessione pubblica», Ventunesimo Secolo, ix, 22, 2010, pp. 177-90) e sulla ricostruzione di alcuni passaggi fondamentali della sua elaborazione teorica e della sua esperienza politica (Gino Bianco, Nicola Chiaromonte e il tempo della malafede, Manduria, Lacaita, 1999). Il lavoro di Panizza, invece, esplora il processo attraverso cui viene a delinearsi il suo impegno culturale e politico, pur persistendo, nel suo ragionare, un senso di non-appartenenza e di non-ritorno, che l’esilio e l’esperienza cosmopolita degli anni trenta e quaranta avevano impresso. Questo percorso, guardato nella sua interezza, risulta tutt’altro che lineare, un’elaborazione complessa di cui l’autore evidenzia i tratti peculiari e duraturi: l’interesse per la libertà e l’autonomia della cultura, il ruolo dell’intellettuale nella società e l’attenzione per la dimensione europea, accentuatasi nel dopoguerra.
Il merito maggiore del testo sta proprio nel sapere raccontare i multiformi aspetti della vita e dell’opera di Chiaromonte con rigore documentaristico, prendendo in esame un numero straordinario di fonti (lettere, articoli, libri) e di personaggi, restituendo profondità alla riflessione del protagonista e al suo contributo alla vita intellettuale non solamente italiana ma anche transnazionale. Il riferimento al dibattito politico-culturale italiano ed europeo risulta a tratti limitato, rimanendo così confinato nell’ambito ideale, sebbene non manchino rimandi a eventi e a questioni che funsero da catalizzatori di pulsioni riformatrici (nel 1956, 1958 e 1968) e che consentono all’autore di ricomporre gli elementi costitutivi della visione di Chiaromonte incentrata sull’individuo e la sua libertà.
Il libro fa riscoprire una figura di primo piano, il cui pensiero è rimasto a lungo trascurato, facendo convergere un’analisi socioculturale degli ambienti in cui è cresciuto il pensiero chiaromontiano, non tralasciando le caratteristiche della personalità del filosofo e gli eventi storici che ne hanno segnato la sua evoluzione. Si tratta di uno studio appassionante che mette in luce la ricchezza e la lucidità del lavoro di Chiaromonte e la formidabile attualità delle sue riflessioni.
Ilaria Bernardi (University of Birmingham)