In questo corposo e ben documentato volume, Emilio Franzina mette a fuoco (per richiamare il caleidoscopio del titolo) temi e problemi legati alla Grande guerra. L’autore non è nuovo a questo genere di problemi: come afferma, a essi «mi sono dedicato, anch’io un po’ per gioco, nell’arco di vent’anni, al fine di mettere in evidenza quelli che potrebbero sembrare, e invece non sono, solo frammenti e schegge di un passato sottoposto a infinite analisi e di cui tuttavia, molte volte, mi pareva che fosse stata trascurata la rilevanza» (p. 11). Sulle donne di fronte al conflitto («Il caleidoscopio delle donne in guerra», pp. 21-88) e sul versante musicale e canoro della guerra («Fantasmagorie musicali», pp. 89-141) non ci soffermeremo ora. Questi capitoli, però, meritano l’attenzione dei lettori, non solo perché l’analisi della parte svolta nel conflitto dalla componente femminile è declinata attraverso interessanti categorie (madri, sorelle e spose dei combattenti; lavoratrici; interventiste e pacifiste; crocerossine e infermiere; animatrici di comitati a supporto dello sforzo bellico, ecc.), ma anche perché «i modi in cui la guerra fu cantata e “ricantata” in Italia» (p. 94), vale a dire i gradi di consenso e di dissenso rispetto al conflitto attraverso le canzoni, hanno trovato limitato spazio nel panorama degli studi.
Le tre ultime parti riguardano specificamente i migranti italiani: «La grande guerra degli emigranti» (pp. 143-223); «Un fronte interno di là dal mare: la guerra lontana e gli italiani d’Argentina fra storia e propaganda» (pp. 225-67) e «Corrispondenza popolari fra le Americhe e l’Italia in guerra» (pp. 269-335). Emergono con chiarezza alcuni nodi storici che Franzina scioglie con perizia: per esempio, le problematiche collegate «ai “sensi di appartenenza nazionale” in emigrazione e all’analisi teorica del nazionalismo, troppo spesso dimenticato: quello degli italiani, emigranti e immigrati o, appunto, italo discendenti, dinanzi al primo conflitto mondiale» (pp. 144-15). La guerra pose molti emigranti e i loro discendenti di fronte a un’opzione drammatica: «scegliere se tornare in Italia rispondendo all’“appello” della patria in armi oppure rimanere all’estero sostenendola però da lontano e restando al riparo dai rischi di un scontro fra Stati nazione […] davvero terribile e generatore sicuro di danni, di lutti e di morte» (p. 149). La decisione si rivelò ancora più dolorosa perché, nella maggior parte dei casi, erano persone che, nel tempo, avevano maturato lealtà nazionali miste.
Coloro che dall’estero risposero alla chiamata alle armi, avendo mantenuto la cittadinanza italiana, furono ufficialmente 303.919 su un totale di circa 1.100.000 coscritti. I volontari italiani e italo discendenti rimpatriati per la leva tra 1915 e 1918 furono 103.269 dall’America del Nord e 51.754 dall’America del Sud. Mentre tra i primi furono maggioranza quelli tornati dagli Stati Uniti (circa 100.000; altrettanti gli immigrati italiani arruolatisi nell’esercito degli Stati Uniti), tra i secondi prevalsero gli «argentini» (oltre 32.000). Il loro numero può apparire relativamente esiguo, considerato che allo scoppio delle ostilità nella sola America Latina gli emigrati italiani e i loro epigoni raggiungevano quasi i tre milioni e che quelli presenti nell’America Settentrionale erano poco meno di due milioni. Franzina osserva, tuttavia, che tali cifre impongono di «riflettere sulla reale natura o sulla tenuta dei sensi di appartenenza nazionale degli emigrati e dei loro ambienti di radicamento al di là dell’oceano, ma anche d’interrogarsi sulla precarietà dei processi d’integrazione allora in atto nelle principali società d’accoglienza» (pp. 158-59).
Secondo l’autore i volontari italiani e italo discendenti giunti in Italia «avevano quasi tutti maturato le proprie decisioni come frutto di una opzione personale compiuta anche a prescindere dalle pressioni dei giornali e dalla virtuale costrizione rappresentata dall’altrettanto virtuale cartolina di precetto pervenuta dai consolati» (p. 181). In effetti, questa «schietta “attitudine nazionale” di non pochi italo discendenti i quali, in quanto figli o nipoti di antichi emigranti, in Italia magari non erano nemmeno nati» rappresenta «un credibile punto di appoggio per sostenere la tesi di un patriottismo più forte all’estero, nonostante “la parvenza dei numeri”, di quanto non potesse essere in Italia» (p. 183).
Nella penultima parte viene ricostruito lo stereotipo patriottico-nazionalista della guerra impostosi sotto il fascismo, tenuto conto che «la questione della partecipazione, diretta e indiretta, fattuale e sentimentale, da distante o “di persona”, degli italiani d’America alle vicende belliche del 1915-18, ha sempre risentito dell’interpretazione messa in circolo dalla macchina propagandistica del fascismo tra le due guerre» (p. 226). A tale scopo sono analizzati l’appoggio finanziario derivante dai prestiti, le sottoscrizioni e i fondi raccolti nell’«America italiana»; la renitenze e le diserzioni; il ruolo dell’associazionismo e della stampa etnica, nonché gli usi e le funzioni delle comunicazioni epistolari specie se in arrivo dall’Italia e dal fronte. Di lettere di emigranti, di emigranti soldati e dei loro familiari Franzina si occupa in dettaglio nell’ultima parte, soffermandosi sul peso che nella corrispondenza popolare tra l’Italia e l’America relativa alla Grande guerra ebbero «i sensi di appartenenza identitaria e di fedeltà politica prestata alle diverse “patrie” più e meno coinvolte nel conflitto» (p. 277). Il tema delle lettere è assai caro a Franzina che, assieme al complesso musicale Hotel Rif e al Coro ana di Novale, si cimenta infine nella «storieincanto» contenuta nel cd allegato dal titolo Ragazzine vi prego ascoltare. Canzoni della Grande Guerra.
Javier P. Grossutti