Il volume di Francesco Durante propone una ricognizione unitaria di un vastissimo campo letterario che il titolo definisce «italoamericano». Va sottolineato l’appassionato interesse per la letteratura, il che ormai è cosa insolita, se non addirittura deprezzata, nel mare magnum di studi in cui a prevalere è l’orientamento cultural. Pur ponendtosi nella scia di due classici come quelli di Olga Peragallo e Rose Basile Green, e anzi ampliandoli vigorosissimamente, Durante compie una mossa interpretativa spiazzante. Sia al termine che nel corso della lettura (per varie ragioni, del resto, questo studio va fruito aprendolo e chiudendolo di continuo, sfogliandolo avanti e indietro con l’ausilio dell’indice e della bibliografia) ci si potrebbe soffermare a interrogarsi – quasi paradossalmente – sull’esistenza o meno di questa cosa chiamata letteratura italoamericana. La risposta che emerge con chiarezza è che, invece di attardarsi su questioni di principio, occorre semplicemente confrontarsi con i realia. Essi sono tali e tanti da imporre innanzitutto una presa d’atto. Il discorso arriva sempre dopo: la realtà è che da Filippo Mazzei a Christopher Paolini gli autori sono parecchie centinaia, moltissimi dei quali tradotti in italiano.
Ma non si tratta affatto solo di una questione di quantità. Semmai, la numerosità segnala la persistenza di un esserci e di farsi. Di una differenza? Non è possibile dirlo basandosi su quanto leggiamo. Le schede si susseguono veloci; talvolta dense e pregnanti, e con qualche indicazione interpretativa; ma spesso crudamente fattuali, informative. Intanto, con una buona dose di attendibilità, possiamo dire che il catalogo è questo. Ora si tratta di riempirlo di analisi.
D’altra parte, nessuno meglio di Durante avrebbe potuto redigerlo e spiegarlo. Durante è lo studioso che più di ogni altro ha imposto all’attenzione del pubblico l’esistenza di una scena letteraria transatlantica e «coloniale» dalla fine del Settecento fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Il secondo volume di Italoamericana (Milano, Mondadori, 2005) si chiudeva con Edward Corsi. Già nel 2002 Durante aveva raccolto alcuni autori della seconda generazione in Figli di due mondi (Cava de’ Tirreni, Avagliano): vi compariva John Fante, di cui nel 2004 Durante ha poi curato il «Meridiano». Fin qui, i primi cinque capitoli: tutto ciò che segue è materiale nuovo e perlopiù sconosciuto da noi, o di cui – con l’eccezione di Carla Francellini – nessuno o quasi si è accorto. Anche per il periodo anteguerra, peraltro, ci sono approfondimenti: spiccano i nomi di Adriana Spadoni e di Louis Forgione.
Esistono poi punti di forza. È notevole che si dia largo spazio alla poesia, e che si torni sulla stagione dei beat; è giusto che si sottolineino due grandi tendenze – l’una diretta verso un franco realismo, attenta alle dinamiche storico-sociali; l’altra fedele ad una ricerca formale: e quindi, meritoria attenzione allo sperimentalismo (Gilbert Sorrentino, Don DeLillo, Frank Lentricchia, Giose Rimanelli). Il taglio largo consente di stabilire, o ipotizzare, alcune costanti. La centralità della famiglia può declinarsi variamente: non solo Godfather, allora, ma anche una via italoamericana alla saga (Mike DeCapite, Eugene Mirabelli), un forte accento femminile (Helen Barolini), e – spesso sovrapponibile – l’ampio campo dell’autobiografia e del memoir. Molto estesa la compagine delle scrittrici. A mano a mano che si va avanti il coefficiente di italianità si assottiglia: si parla di sue qualità «trascendentali» (p. 117). Possono esistere punti in comune fra lo stile critico di Camille Paglia e quello di Joseph Luzzi? Fra la narrativa di Richard Russo e quella di Nick Tosches? Esiste una parentela fra Mary Caponegro e Jay Parini? Durante non fornisce bussole; ci segnala con forza l’esistenza delle opere. Spetterà ad altri, o allo stesso autore, estrarre di volta in volta dal quadro d’insieme le forme e i significati per un approfondimento critico.
Che senso ha questa letteratura accanto alle altre produzioni «etniche» statunitensi? Ed è possibile collocarla all’interno di un panorama italiano «diasporico» (Luigi Bonaffini e Joseph Perricone)? Non si tratta di piccole curiosità accessorie. D’altro canto, la «mossa» di Durante è tempestiva e segnala un punto di maturazione. Si parla giustamente di un «rinascimento» italoamericano, che amplia i confini prediletti dal modernismo primonovecentesco, permettendo «una stilizzazione più esasperata dei personaggi e delle psicologie» (p. 148). Un certo liquefarsi dell’etnicità prevede anche sorprendenti testimonianze di recupero delle radici, persino letterarie. Diane Di Prima rende omaggio a Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, e insieme a Oscar Wilde, Jean Cocteau, Sergej Eisenstein, e poi a Dante, Giordano Bruno, Carlo Tresca; Felix Stefanile celebra Pinocchio. Dall’Italia, gli scrittori italoamericani ci appaiono, proprio perché «post-identitari», molto vicini ad altri scrittori «etnici» e sperimentali statunitensi che mettono a fuoco situazioni italoamericane in quanto parte distintiva di quel determinato mosaico sociale: penso a Bernard Malamud, D. Foster Wallace, Chang-rae Lee. Come spesso accade, è la fiction a fornirci chiavi d’interpretazione del reale più libere e autorevoli. La stipatissima foto di famiglia allestita con dovizia da Durante ci ricorda anche questo.
Martino Marazzi