In questo libro, che amplia sue ricerche precedenti, Ilaria De Seta propone di indagare lo «spirito poliedrico» (p. 5) di Giuseppe Antonio Borgese, di comprendere la materia e le forme della sua produzione e, attraverso la ricostruzione dei suoi spostamenti e delle sue relazioni, di interrogarsi sulle ragioni della sua scarsa notorietà negli anni successivi alla morte. Alcuni studi su Borgese – a opera, tra gli altri, di Antonio Fiori, Sandro Gerbi, Mirko Menna e Luciano Parisi – hanno portato alla luce alcuni aspetti del connubio tra gli sviluppi letterari e le diverse fasi della sua biografia, soffermandosi, ad esempio, sui lavori di viaggio, sull’attività pubblicistica e accademica, sul rapporto con il regime fascista e sul trasferimento oltreoceano.
American Citizen attinge a tali contributi e, sviluppandoli sulla base di carte inedite di Borgese, non intende solo esaminare la vita e il corpus dei lavori di un’anima eclettica, divisa tra l’impegno accademico, gli scritti letterari e la produzione pubblicistica. La monografia guarda anche attraverso le sue esperienze alle diverse espressioni e vie dell’antifascismo, al dialogo tra i rimasti e i fuoriusciti, alla rete degli intellettuali restati a lungo in terra americana, con la mente volta ancora all’Europa. All’intimità delle scelte di Borgese si accede grazie ai diari e alla corrispondenza, attraverso i quali la ricerca riporta alla luce il contesto culturale e politico che ha segnato le scelte dell’intellettuale italiano, addentrandosi nei risvolti meno noti del suo trasferimento negli Stati Uniti. Lo studio di De Seta presenta, dunque, un’accurata ricostruzione degli eventi che hanno caratterizzato l’esistenza, le opere e l’impegno politico di Borgese. Inoltre, guida il lettore attraverso un percorso che diventa testimonianza del travaglio di chi scelse la via dell’«(auto)esilio» (p. 23) e della difficile ricerca di un equilibrio tra il prima e il dopo.
La straordinaria ricchezza delle fonti d’archivio si piega all’esplorazione, che De Seta affronta non solo cronologicamente ma costruendo anche un percorso tematico capace di far emergere la molteplicità delle imprese, degli interessi e dei viaggi nella vita del protagonista. L’attenzione dello studio si rivolge proprio alle parole di Borgese nei suoi dialoghi più intimi, nelle lettere e, infine, nella sua veste pubblica, attraverso discorsi, articoli e opere letterarie. Tuttavia, in parte per la natura delle fonti e per la scelta dell’autrice di adottare una «voce fuori campo» (p. 7), il pensiero di Borgese e l’eco delle sue riflessioni divengono a tratti prevaricanti, sovrapponendosi e sovraccaricando il corpo analitico del testo.
Le carte private di Borgese ricoprono un ruolo fondamentale nell’identificare il nucleo profondo delle sue riflessioni, mentre le opere segnano il passaggio da una dimensione estetica e personale a uno spazio apertamente politico. La svolta politica dell’intellettuale e la maturazione di un antifascismo militante negli Stati Uniti sono raffigurate nel loro svolgimento, fino al contatto con esponenti della Mazzini Society e alla partecipazione al Committee to Frame a World Constitution, che lo pose al centro di una rete di intellettuali esuli, nel cuore della «diaspora intellettuale europea» (p. 72) e gli valse la candidatura al Nobel per la pace nel 1952.
L’analisi puntuale di De Seta si sviluppa proprio attraverso questa convergenza tra pubblico e privato, ricostruendo l’immagine del sé che l’autore tentava di proiettare al di là e al di qua dell’Atlantico. A questo proposito, la narrazione si muove dall’insegnamento nelle università statunitensi e dalla pubblicazione delle opere di natura più politica, che caratterizzano gli anni trenta e quaranta, verso un ritratto complicato dalla ricerca di un’«identità trans-nazionale» (pp. 66-67) e dal tormentato rapporto con l’intellettualità italiana. Particolarmente significativo in proposito si rivela il decisivo e caleidoscopio legame di Borgese con Benedetto Croce, a cui è dedicato ampio spazio. Il «peccato di hybris» (p. 109), cioè il mancato riconoscimento del ruolo di maestro a Croce, che determinò l’antagonismo di quest’ultimo e di parte del mondo intellettuale italiano, infatti, svela ancora più nettamente le caratteristiche della personalità di Borgese e le possibili ragioni del quasi-oblio e del ritardo della sua riscoperta.
Vi sono, inoltre, interessanti riferimenti alla rappresentazione delle terre d’oltreoceano e al significato che Borgese attribuisce al suo trasferimento: da semplice fascinazione che attinge all’immaginario popolare, in cui si ritrovano, ad esempio, la straordinaria modernità metropolitana e la genuinità di provincia, a una dimensione culturale, politica e geografica dove prende forma una «nuova vita», una «nuova idea» e un «nuovo amore» (p. 23). L’America, dunque, non può che acquisire un significato duplice e agrodolce nella sua vita: quello di una libertà, acquisita pienamente con la cittadinanza statunitense nel 1938, che resta, in qualche modo, un esilio. Proprio dalle lettere private, dagli articoli con cui prende parte al dibattito letterario così come dai viaggi in Italia intrapresi nel dopoguerra, si evince come Borgese mantenga sempre vivo il filo che lo lega al vecchio continente e le speranze di un ritorno – «sogno di vivere qui e costì, ubiquo quasi» (p. 135) scriveva nel 1948 – una possibilità che si concretizza poco prima della morte nel 1952.
American Citizen rappresenta uno studio fondamentale per comprendere i lavori di Borgese e, grazie all’eccezionalità delle vicende e della figura del protagonista, permette di osservare, da una prospettiva privilegiata e inedita, il complesso legame dell’intellettualità nell’esperienza antifascista.
Ilaria Bernardi (University of Birmingham)