Presentiamo una scheda introduttiva che rimanda alla pagina www.altreitalie.it/migrazioniregionali all’interno della quale Antonio Cortese, ex direttore dell’istat, analizzando il contributo migratorio delle singole regioni italiane, concentra l’attenzione sul legame tra luogo di partenza e luogo di destinazione, con l’obiettivo di verificare l’effetto prodotto dalle catene migratorie. Quest’ultime, messe in discussione dalla storiografia degli ultimi anni, meritano, secondo l’A., ulteriori approfondimenti. Riportiamo qui un estratto del saggio on line.
Sono assai numerosi i casi per i quali si è riusciti ad accertare l’esistenza di catene migratorie. Spiccano in particolare quello dei migranti marchigiani di Sant’Angelo in Vado che hanno creato una comunità a Mar del Plata in Argentina e quello dei migranti che partiti da Corato in provincia di Bari si sono trasferiti a Grenoble in Francia. In entrambi i casi i flussi in arrivo si sono protratti per decenni. Interessante è comunque anche il caso dei pontelandolfesi (Pontelandolfo è in provincia di Benevento) a Waterbury, nel Connecticut, il cui numero ha superato quello degli attuali abitanti del comune campano.
In alcune situazioni l’effetto prodotto dalle catene migratorie è senza dubbio ipotizzabile ma non sempre è stato possibile documentarlo in modo convincente. C’è lo spazio per riflessioni ancora più accurate.
Naturalmente, oltre a tenere in debita considerazione le modifiche subite dalla metodologia seguita per la raccolta delle informazioni di base, non va dimenticato che il paese di primo approdo non ha sempre coinciso con quello di definitivo insediamento. Molti emigranti italiani hanno ad esempio raggiunto gli Stati Uniti o altri paesi americani partendo da porti francesi o tedeschi. Per citare un altro caso si può ricordare che a partire dal 1956, anno nel quale la Francia riconobbe la piena indipendenza della Tunisia, una gran parte degli italiani – per lo più siciliani – migrati nel paese africano, si è trasferito nel paese transalpino.
La «nuova emigrazione italiana», non viene presa in esame nel contributo con la sola eccezione della elevata presenza in anni recenti di italiani provenienti dalla provincia di Roma negli Emirati Arabi Uniti per la quale non ho escluso il funzionamento di una specifica catena migratoria. A partire dal 2008, con l’inizio della crisi, vi è stato un repentino incremento del numero delle partenze e c’è stato pure un cambiamento della composizione sociale e professionale del flusso in uscita costituito in massima parte da giovani. C’è stato in ogni caso anche un protagonismo della componente anziana della popolazione. La cosiddetta sun migration aveva in passato riguardato l’Italia come paese di destinazione. Ora sono gli italiani che migrano verso «un altro Sud», verso luoghi dove il costo della vita è più basso e il clima migliore. Il trend attuale merita di essere attentamente monitorato ma al momento pare azzardato un confronto con la stagione migratoria di un passato non recente che si è chiusa verso la metà degli anni settanta del secolo scorso quando il saldo del movimento migratorio con l’estero è diventato positivo. Tra il 2008 e il 2018 si sono trasferiti all’estero 855.176 italiani, meno di quanti, 872.598, sono espatriati nel solo 1913.
Si osserva che nel caso di grandi città straniere che hanno ospitato tanti connazionali, più che di catene migratorie si debba parlare di un forte desiderio di riaggregazione sulla base di una comune provenienza maturato dopo l’arrivo nel paese estero.
Da ultimo, vengono collocate in un gruppo residuale vicende migratorie piuttosto singolari nelle quali alla piena corrispondenza tra luogo di partenza e luogo di destinazione è associata la totale mancanza dell’effetto «catene migratorie», che svelano modalità del processo migratorio molto particolari.
Nel 1882, avendo deciso di aderire ad un progetto del governo messicano che intendeva promuovere il popolamento di aree disabitate, un nutrito gruppo di famiglie del comune di Segusino in provincia di Treviso, molto probabilmente supportato da qualche agenzia di emigrazione, decise di varcare l’Atlantico. Raggiunto il porto di Veracruz, superate pesanti difficoltà iniziali, si insediarono nei terreni loro affidati creando le premesse per la nascita di Chipilo, poi gemellata con il comune veneto, nella quale i loro eredi costituiscono la maggioranza della popolazione.
Un altro caso ha coinvolto la popolazione di diversi comuni della Valsugana nel Trentino sud-orientale. Quando l’impero asburgico assunse l’amministrazione dell’area balcanica, intraprese forme di colonizzazione nel tentativo di tenere sotto controllo la pressione musulmana. Alla popolazione di un’area sconvolta dalle alluvioni ormai incapace di offrire un adeguato sostentamento, fu offerta l’opportunità di trasferirsi in alcune cittadine della Bosnia. Si svuotarono interi villaggi. Per i migranti trentini vennero organizzati treni speciali per il trasporto delle famiglie e delle masserizie.