«Un incontro tra una meta e un bisogno di meta» (p. 273): così Sandro Bozzolo, seguendo una suggestione di Giorgio Antei, connota la specificità dell’emigrazione italiana in Colombia tra il 1810 e il 1920, dopo avere messo in evidenza la varietà delle ragioni all’origine di cinque percorsi migratori individuali e averne descritto l’evolversi, individuando le specificità comuni a esperienze dagli esiti talvolta simili, talvolta opposti, in una terra poco nota a un’Italia più interessata alle principali destinazioni delle grandi ondate migratorie transoceaniche.
La presenza italiana in Colombia, infatti, è rimasta inferiore, in termini quantitativi, rispetto a quella registrata in altri paesi americani, caratterizzandosi per l’assenza di vere e proprie colonie, fatta eccezione per i casi di Bogotá e Barranquilla. Senza offrire molte delle «garanzie» che altri territori sembravano assicurare, la Colombia ha rappresentato una destinazione per cittadini italiani partiti senza una strategia migratoria definita, i quali, spesso giunti «per sbaglio» o «per ripiego» (p. 40) nel paese, hanno sperimentato un’autonomia organizzativa dovuta al disinteresse dei governi italiani e colombiani, poco interessati a disciplinare un fenomeno giudicato secondario.
In un paese in cui l’immigrazione ha contribuito in modo determinante al mestizaje cultural che ne costituisce oggi una delle ricchezze più evidenti, la storia dell’integrazione dei migranti è stata segnata da resistenze e ostilità da parte dei residenti, dettate sia dal timore dei danni economici che sarebbero potuti derivare loro dalle politiche di accoglienza, sia da una diffusa tendenza alla xenofobia. Quest’ultima è stata spesso alimentata da una retorica improntata all’identificazione del migrante come una minaccia alla «purezza» dell’identità e della cultura nazionali, secondo uno schema del resto ricorrente nel tempo e nello spazio, con declinazioni e intensità diverse. Il dibattito storiografico sul caso colombiano, nel quale il lavoro di Bozzolo si inserisce a pieno titolo, ha mostrato come le migrazioni abbiano semmai contribuito a tracciare il percorso verso la modernità di uno Stato in cui pressoché ogni settore culturale, dal campo artistico a quello tecnico-scientifico, ha potuto giovarsi dell’apporto di stranieri insediatisi temporaneamente o permanentemente nel paese.
La ricostruzione dei cinque percorsi individuali porta alla luce significative storie di vita altrimenti, in alcuni casi, destinate all’oblio e consente all’autore, che non perde mai di vista le connessioni tra esperienze singole, dinamiche di gruppo e contesto socio-politico, di fornire esempi concreti del contributo dato dagli italiani ai progressi registrati nella sfera economica, politica e culturale delle diverse aree regionali colombiane. Il testo restituisce così le «vite illustri» dell’eroe mercenario delle guerre di indipendenza Geronimo Carbonò; dell’autore della prima rilevazione cartografica della Nueva Granada Agostino Codazzi; quelle, tormentate, dell’imprenditore ligure Giovan Battista Mainero e del commerciante e console Ernesto Cerruti, la cui parabola risulta interessante in particolare per chi si proponga di «indagare il confine tra sovranità nazionale e interessi particolari nella formazione della Colombia moderna» (p. 156); infine, quelle dei fratelli Francesco e Vincenzo Di Domenico, pionieri dell’industria cinematografica del paese, che l’autore colloca nell’ambito di un’analisi originale e approfondita delle origini della cinematografia colombiana.
Arrivati in Colombia per ragioni ora politiche, ora economiche, i cinque «costruttori della modernità» (p. 272) si sono resi portatori di professionalità originali, spesso improvvisate o inventate durante il cammino. I loro percorsi hanno assunto la forma di «vagabondaggi esistenziali», di fughe dettate da tormenti interiori ancora prima che da contingenze storiche, da quel «bisogno di altrove» (p. 19) che da sempre attraversa donne e uomini spingendoli a partire, anche quando non sono costretti a farlo per garantire la propria sopravvivenza fisica. Si tratta di storie di vita che Bozzolo ricostruisce attraverso accurate ricerche condotte in archivi e biblioteche colombiane e italiane, integrate dal ricorso a fonti orali e ben supportate da un attento esame della storiografia sull’emigrazione italiana in Colombia, la quale fornisce un insieme di analisi articolato, ma più gestibile della grande mole di studi relativi ai casi di Brasile, Argentina e Stati Uniti.
Bozzolo affronta con la stessa accuratezza e lo stesso riguardo successi e fallimenti, testimoniando, di fatto, il valore del contributo offerto alla costruzione della modernità di una nazione anche dalle esperienze che, a volte con eccessiva disinvoltura, si tende a trascurare, etichettandole come fallimenti individuali. La capacità di muoversi, con serietà e attenzione, tra ricostruzione di storie individuali, analisi dei network migratori e studio del contesto politico e sociale, consente all’autore di cogliere la complessità di questioni centrali nel processo di consolidamento dello stato-nazione colombiano e della sua identità multiculturale, così come del suo ingresso nella modernità.
Tale modernità si realizza come esito di percorsi non sempre votati al successo, di coraggiose o azzardate sperimentazioni, di scelte imprudenti e impulsive oppure meditate e lungimiranti, che si innestano su realtà complesse, generando spazi per forme inedite di scambio e incontro. Anche da questo punto di vista più generale, il lavoro di Bozzolo offre significativi spunti di riflessione e mostra l’utilità di studi basati su attente ricostruzioni di specifiche vicende individuali per l’elaborazione di analisi di ampio respiro sui rapporti tra migrazioni e modernizzazione.
Laura Fotia