La monografia di Gianni Paoletti propone un affascinante viaggio attraverso alcuni dei testi più significativi della tradizione letteraria degli italiani degli Stati Uniti. Già dalle prime pagine emergono così preziose istantanee di quell’«America fantastica» che esisteva di fatto solo nella fantasia di quanti l’avevano scelta come terra delle opportunità, la stessa America cui inneggiavano in preda a «furori» molto «astratti» i muratori italiani protagonisti dell’indimenticato romanzo Christ in Concrete (1939) di Pietro Di Donato. Nell’ampia introduzione l’autore declina l’aggettivo «fantastica» nelle sue tante nuances espressive, dimostrando come l’America sognata dagli emigranti altro non fosse che la facciata di quell’«infrastruttura» che erano, invece, gli Stati Uniti, «una Babele di lingua e di corruzione» (p. 114), ormai piegata alla logica spietata del capitalismo e dell’arrivismo sociale.
L’approfondimento di Paoletti sulla caratterizzazione dei personaggi italiani nei romanzi ormai canonici di Sherwood Anderson, Mark Twain, Jack London, Bernard Malamud, Philip Roth, Paul Auster, Tim O Brien, Stephen King ha il merito di illuminare la fitta galleria di tipi e caricature che popolano l’immaginario letterario statunitense. Al «mafioso violento e amorale» come pure al «cattolico la cui religiosità non è che un miscuglio di superstizioni», al «portatore [sano, aggiungerei io!] di disordine» e persino all’«anarchico» non manca mai quel carattere «empatico e umano, libero dall’ottusità e freddezza anglosassoni» nonché «dalle ossessioni e dalle follie dell’America profonda» (pp. 12-13). In un’analisi mirata e coinvolgente di numerose pagine tratte dai romanzi di John Fante, Don DeLillo, Jerre Mangione, Mario Puzo, Gay Talese, l’autore ribadisce, infatti, la convinzione secondo cui la carica umana degli italiani consentì loro di fare la differenza nella società statunitense.
La dettagliata ricognizione del primo capitolo sul tipo del gangster permette inoltre a Paoletti di ricostruire con cura la genesi del celeberrimo The Godfather (1969) di Mario Puzo, alla cui popolarità contribuì in modo significativo il successo del film di Francis Ford Coppola. I valori della famiglia, i legami di sangue tra conterranei e la minaccia che la stessa America rappresentava per un mondo in bilico come quello degli italiani emigrati sono solo alcuni dei temi su cui riflette l’autore nell’accurata lettura del noto romanzo di Puzo, ma anche di quello di Gay Talese, Honor Thy Father (1971). Significativa di un nuovo modo di intendere lo studio della letteratura etnica è, inoltre, l’attenzione alla singolare coincidenza di alcuni scenari western dell’America violenta con quelli della Sicilia mitica dei Corleone o dei figli di Papa Santuzzu del romanzo di Tony Ardizzone, In the Garden of Papa Santuzzu (1999). L’esistenza di una scuola di scrittori americani di origini siciliane trova dunque conferma nelle parole di Paoletti che rintraccia con puntualità gli elementi di affinità tra gli scenari western e le sparatorie isolane o le «ammazzatine» dei racconti di Andrea Camilleri. Dall’analisi di Nozze d’oro di Jo Pagano e di Mont’Allegro di Jerre Mangione, entrambi pubblicati nel 1943, quando «gli americani preparavano lo sbarco in Sicilia» (p. 77), viene così alla luce una teatrale e scenografica Little Sicily, una sorta di isola magicamente «trapiantata» sulla costa atlantica, chiusa nei suoi valori originari tanto da resistere più e meglio delle altre enclavi etniche all’impatto con l’America. Del rifiuto del nuovo mondo, «fondamentale ostile e corrotto, [che] non andava conosciuto, amato e fatto proprio, ma solo sapientemente sfruttato» (p. 80), si avverte l’eco nell’idioma singolare degli italiani in America, in quella lingua della «giobba» di cui Paoletti sottolinea le caratteristiche principali, con opportuni riferimenti agli scritti (soprattutto autobiografici) di Joseph Tusiani, abile abitatore di molte lingue tra cui il latino, ma anche di Mangione, Maria Mazziotti Gillan, Puzo, Pagano.
Nel capitolo «Diventare americani», l’autore insegue la complessa questione della ricerca dell’identità che si configura sempre più come «un meraviglioso mistero in parte buffo, in parte seducente, talora straniante» (p. 75) nella scrittura di Sandra Gilbert, ma anche nelle opere di quei «bravi ragazzi della scrittura italoamericana» (p. 189) come Jerre Mangione, John Fante, Jo Pagano e altri ancora. Lo studio dei processi di assimilazione e integrazione spinge, infine, Paoletti a prendere in considerazione anche la questione del cibo e della religione cattolica nonché la complessa relazione politica degli italiani d’America con il fascismo.
Nell’ultima sezione del suo studio Paoletti affronta le tematiche della memoria e del viaggio di ritorno in Italia compiuto dalle generazioni successive a quella dei primi migranti. La fotografia di un paese povero e piegato dalla violenza della Seconda guerra mondiale è destinata a sovrapporsi, nell’immaginario di questi viaggiatori insoliti, a quella del luogo mitico ricco di vigneti e frutteti di cui hanno sentito parlare sin dall’infanzia dai loro padri e nonni. L’epilogo del volume sembra piuttosto una conclusione aperta che invita a nuove indagini sulla rielaborazione del ricordo in chiave mitica negli scrittori del post-modernismo nonché all’esatta ricostruzione di alcuni tratti dello stile dei cosiddetti «invisibili», ossia di quegli autori in cui il segno italiano sembra perdere terreno a vantaggio di un’americanità dominante fino a trasformarsi in uno scrittore come Don DeLillo nel «ricordo di un ricordo» (p. 75).
Carla Francellini