Con questo agile ma denso ed eccellente volume si dà finalmente rilievo ad una figura centrale della cultura e dell’attivismo politico-sindacale italoamericano di primo Novecento, l’umbro Efrem Bartoletti (Costacciaro, Perugia, 1889-Scranton, Pennsylvania, 1961). Più di altri studiosi, Thierry Rinaldetti ha esaminato con meticolosa attenzione e acuto spirito critico il contesto sociale transnazionale che, a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, spinse una parte consistente della gioventù umbra (in particolar modo nella sua componente maschile) a emigrare in cerca di lavoro dal comprensorio orientale della regione (il distretto eugubino-gualdese) prevalentemente verso i distretti minerari franco-belga-lussemburghesi di Lorena e Vallonia o verso varie destinazioni dell’Est e del centro degli Stati Uniti.
La figura di Bartoletti (su cui Rinaldetti aveva già scritto un profilo di forte interesse «A Social Space in Constant Reshaping: Urban Migrants in the Atlantic Economies (1900-1914)», Italian American Review, v, 1, 2015, pp. 3-23) rappresenta, da un lato, un caso assolutamente tipico, nel senso che il giovanissimo Efrem sperimenta dapprima proprio le miniere del Lussemburgo, per poi, a vent’anni, trasferirsi insieme ad altri compaesani nel Mesabi Range del Minnesota e qui rimanervi, perlopiù impiegato nelle miniere di ferro, sino al suo ritorno a Costacciaro nel 1919. Rinaldetti punta precisamente la sua attenzione sul decennio nel Midwest, caratterizzato da un indefesso impegno militante fra le fila del sindacato rivoluzionario degli Industrial Workers of the World (iww o wobblies), dalla spiccata vocazione etnica. Il profilo non prende in esame il periodo successivo della biografia di Bartoletti, anch’esso tutt’altro che anonimo, vista l’elezione a sindaco socialista del paese natale nel 1920, la persecuzione fascista, il secondo (o terzo) espatrio, il lungo – ma niente affatto silenzioso – tramonto nel Nord-Est della Pennsylvania, nel grande distretto dell’antracite, centro di un proletariato multietnico dai forti fermenti e dalle alte percentuali italiane (testimoniate dal poligrafo Ludovico Caminita, dai memoirists Carl Marzani e Pietro Riccobaldi, ma anche da destini «comuni» come quello della famiglia di Dean Martin/Dino Crocetti). Di questa comunità il futuro, o ex, sindaco Bartoletti fu voce protagonista non solo in virtù della sua indefessa militanza, ma anche (e non secondariamente) in quanto portavoce poetico. Una musa, la sua, portata a battesimo nel 1919 proprio dalla Libreria Editrice dei Lavoratori Industriali del Mondo di Brooklyn, emanazione italofona dei wobblies, dopo anni di presenza sui fogli – anche a grande tiratura – della stampa rivoluzionaria e non degli italiani negli Stati Uniti. Il suo memorabile esordio, Nostalgie Proletarie. Raccolta di Canti Poetici e di Inni Rivoluzionari, va collocato accanto agli Arrows in the Gale di Arturo Giovannitti (1914), come testimonianza di una poesia al tempo stesso battagliera e pienamente cosciente dei suoi strumenti formali, in cerca di una nuova espressività ma sulla scia della più alta tradizione (Dante, Monti, Leopardi, Pascoli). Una ricerca che Bartoletti proseguì anche nei decenni a seguire, sino al secondo dopoguerra, con varie uscite, a volte sotto pseudonimo (notevoli i componimenti anni trenta a firma Etrusco sul Proletario).
Rinaldetti si concentra sull’impegno politico e sindacale, dando ampio e inedito risalto al reticolo di contatti che teneva legati (nonostante animosità personali, tensioni interne e divergenze di vedute) i rappresentanti o leader di quei «ribelli» (un sostantivo che ricorre con grande frequenza nelle poesie), che si ponevano a sinistra dei sindacati tradizionali (l’American Federation of Labor su tutti), aspramente invisi al padronato, in anni segnati dall’internazionalismo e dal sovietismo. Bartoletti, oltre alla poesia, ci mette anche dell’altro: vagheggia, a Hibbing, la fondazione di una società agricola italiana; grazie alla sua buona conoscenza dell’inglese (un dato da rimarcare, considerando il purismo italiano dei suoi versi) lavora da tramite con centrali sindacali diverse da quelle dei minatori; in sintonia col suo Pascoli, segue con favore l’impresa italiana in Libia, come possibile sbocco della Grande Proletaria in movimento (arrivando a parlare di «razza latina […] asservita dalla razza anglosassone» [p. 92]). Emergono i rapporti con il leader carismatico, William «Big Bill» Haywood, e con una manciata di altri «anglo», anche se è chiara la matrice etnica o addirittura di paese di quelle reti, che pure erano in grado di coprire gran parte delle comunità di lavoro dell’America profonda, dal Kansas all’Illinois, dal Michigan alla costa Est. Sono le stesse comunità «battute» dai giri di propaganda di Carlo Tresca, il cui nome ricorre di frequente.
Bartoletti è segnato dagli scioperi e dalle agitazioni del 1916, in seguito alle quali molti dei leader vengono imprigionati e quindi messi alla sbarra in un celebre processo che segna, in sostanza, l’inizio della fine degli iww. Il minatore e poeta umbro evita il carcere, ma proprio perché libero si carica di un numero sempre crescente di responsabilità e finisce per essere licenziato e trovarsi attorno terra bruciata. A poco valgono i suoi sonanti versi martelliani, i sonetti e la tela fittissima delle sue relazioni. È costretto a tornarsene in Italia con un baule di documenti; gli stessi che, conservati mirabilmente per decenni dai famigliari, vanno a costituire un archivio, unico per ricchezza e importanza, sul quale Rinaldetti ha saputo lavorare con intelligenza e sensibilità per ricavarne questa monografia «a metà» – primo tempo, ci si augura, di una biografia completa.
Martino Marazzi