Il volume raccoglie cinque saggi (quattro ristampe e un inedito) che ripercorrono, seguendone l’evoluzione, quarant’anni di attività scientifica di una delle più apprezzate studiose di storia delle mobilità umane, già direttrice dell’Immigration History Research Center presso la University of Minnesota. I testi indagano l’esperienza degli emigranti che viaggiarono dalla Sicilia agli Stati Uniti tra il 1880 e il 1950 e si basano su ricerche iniziate alla fine degli anni settanta del Novecento negli archivi dell’isola – soprattutto a Sambuca, un piccolo centro agricolo in provincia di Agrigento – e proseguite oltre Atlantico.
Il primo contributo propone un confronto di alcuni aspetti della vita privata, in particolare il lavoro domestico delle donne e la sua routine, tra i siciliani sull’isola nel xix secolo e gli immigrati siciliani a New York ai primi del Novecento. L’autrice, accanto a chiare similitudini, evidenzia anche importanti differenze, che spiega con i cambiamenti degli ambienti abitativi (struttura fisica e disposizione delle case, tipologia delle famiglie che ci vivevano, disponibilità di lavoro a domicilio). Segue, nel secondo saggio, un esame della relazione tra parentela, emigrazione e cambiamento culturale. Usando come fonte principale i proverbi, Gabaccia distingue gli ideali di parentela (o valori) dal comportamento di parentela e definisce la cultura come «uno schema di unione tra i due» (p. 56). Nel terzo saggio, la storica americana respinge la spiegazione della presunta limitata partecipazione degli italiani all’interno delle associazioni operaie degli Stati Uniti, motivata in precedenza con il familismo amorale (il forte sentimento di solidarietà verso la famiglia nucleare e, allo stesso tempo, la competitività nei confronti di quelli fuori dal nucleo). Gli emigranti dalla Sicilia occidentale, infatti, ebbero nell’isola una significativa confidenza con le società di mutuo soccorso, gli scioperi e le proteste organizzate; migrazione e militanza non sarebbero quindi reazioni alla povertà contadina che si escludono a vicenda. Il quarto saggio presenta un’indagine sulle attività di classificazione dei pubblici ufficiali siciliani e statunitensi che hanno richiesto la traduzione dei termini relativi ai nomi, ai luoghi di residenza e ai mestieri degli emigranti sambucesi, espressi in italiano, in dialetto e in inglese. L’ipotesi è che queste traduzioni siano «un indicatore sia per i progetti di costruzione della nazione dei due relativamente nuovi paesi, sia per il rifiuto o l’accettazione dei migranti» (p. 95). L’ultimo contributo offre un’interessante riflessione sui punti in comune e sulle divergenze di motivazioni, metodi e risultati nelle ricerche su Sambuca intraprese da storici e antropologi professionisti e dai «cittadini ricercatori» che indagano sulla storia della propria famiglia. Gabaccia, interrogandosi se possano esistere nuove forme di collaborazione facilitate dalla moderna tecnologia digitale, afferma che «la capacità di esaminare i propri sentimenti, richiesta nelle ricerche scientifiche ma non tanto facile per i genealogisti» (p. 151), potrebbe porre le basi per colmare il divario esistente tra i due gruppi.
Pur abbracciando un lungo arco temporale e trattando una varietà di argomenti poi maggiormente approfonditi in successive pubblicazioni, i cinque saggi mettono in evidenza alcuni temi ricorrenti che hanno caratterizzato gli studi accademici dell’autrice: la passione per il dialogo interdisciplinare, un’eclettica ispirazione teorica, la scelta di dare importanza all’analisi di classe, di genere e di razza, le metodologie transnazionali (o border-crossing). Il transnazionalismo, in particolare, cioè la consapevolezza di avere più di un territorio nazionale di riferimento, è una delle parole-chiavi per comprendere non soltanto il metodo d’indagine ma anche – come scrive Michele Presutto nella «Presentazione» – «l’essenza stessa della sua [di Donna Gabaccia] esperienza umana e professionale […]. È una nuova figura di storico che oltre a studiare la mobilità degli uomini nel tempo, è essa stessa altamente mobile. Una generazione di storici che ha inserito di prepotenza, fra gli strumenti del mestiere, l’uso di internet e dei viaggi aerei» (pp. 8-9).
Nel mercato internazionale della forza lavoro di inizio Novecento, in un’epoca in cui la mobilità dei capitali incrementava in ambito mondiale quella territoriale delle donne e degli uomini, anche gli emigranti italiani con «i loro sogni e le loro pratiche di vita superavano i confini nazionali e allacciavano tra loro i continenti» (Donna R. Gabaccia, Emigranti. Le diaspore degli italiani dal Medioevo a oggi, Einaudi, Torino 2003, p. 72).
Migranti di Sicilia omaggia la carriera di una studiosa che è stata alla guida dell’evoluzione del dibattito storiografico, spostandolo verso paradigmi nuovi e ancora oggi ricchi di possibili sviluppi, quali le storie transnazionali, le storie comparate di un singolo gruppo migratorio in due o più Paesi, le storie di diaspora, la storia dei mercati del lavoro globale. Insomma, una storiografia che non si basi esclusivamente sulle concezioni dello Stato nazionale ma che, proprio grazie agli stimoli provenienti dalle ricerche sui movimenti migratori, sviluppi l’interesse per una storia mondiale o globale.
Sebastiano Marco Cicciò