Negli ultimi anni la storiografia sul comunismo sta sempre più evidenziando il carattere transnazionale del fenomeno comunista, ossia di un movimento che ha costituito il primo network globale di organizzazioni e militanti dell’età contemporanea. In tal senso, le sue vicende si intrecciano con quelle di altri processi storici di prima grandezza, dalle migrazioni alla decolonizzazione, dalle guerre mondiali alla guerra fredda. Il volume di Gianfranco Cresciani, che da decenni lavora sui temi dell’immigrazione italiana in Australia e del suo organizzarsi sul piano sociale e politico, incentrato sulla vicenda dei comunisti italiani nel Continente nuovissimo tra il 1971 e il 1991, e dei loro rapporti col pci (la «casa madre») e col Partito comunista australiano (cpa), mi pare possa collocarsi in questa nuova stagione di studi.
Il libro è basato su un solido lavoro di ricerca condotto intrecciando i documenti di vari archivi, tra cui l’Archivio storico del pci presso la Fondazione Gramsci di Roma, i cpa Archives presso la Mitchell Library di Sydney, e quelli dell’Australian Security Intelligence Organisation, ossia dei servizi segreti, che a lungo tennero sotto stretta sorveglianza gli italiani impegnati sul piano politico.
La presenza di comunisti italiani in Australia era iniziata già negli anni Venti, a seguito dell’instaurarsi della dittatura fascista. Quadri come Paris Cristoforo – racconta Cresciani – contribuiscono a diffondere tra marinai e immigrati opuscoli, libri e giornali comunisti, entrando in corrispondenza con Ruggero Grieco e altri importanti dirigenti del pcd’I. Al contrario, i rapporti tra comunisti italiani che vivono nel continente nuovissimo e il cpa sono molto tenui. Comuni peraltro erano le difficoltà e la stretta sorveglianza cui erano sottoposti, la quale si intensificò negli anni della guerra fredda. A partire dagli anni Sessanta, il pc australiano iniziò a porsi il problema di organizzare i lavoratori immigrati, nominando Joseph Palmada “responsabile per la comunità italiana”. Il Pci, dal canto suo, stabilì rapporti più stretti col cpa solo a partire dalla missione di Giuliano Pajetta nel 1963, seguita da quella di Diego Novelli nel 1971, da cui derivò la nascita della Federazione Autonoma del Pci in Australia, guidata da Mario Abbiezzi, Salvatore Palazzolo, Francesco Di Bella e Dimitri Oliva.
Inizia dunque un’altra storia, che costituisce il cuore del volume di Cresciani. La Federazione prova a dotarsi di un giornale, Nuovo Era, ma subito si pongono problemi sia di linea politica (l’avvicinamento al neonato Socialist Party of Australia [spa], di simpatie filosovietiche), sia di carattere organizzativo: la Federazione, che si definiva autonoma, doveva far capo al Pci o al cpa? È un dilemma che si era posto già in altre circostanze, ad esempio per i «Gruppi di lingua italiana del Pcf» operanti in Francia negli anni venti e trenta, a conferma della «lunga durata» di problemi e caratteri del movimento comunista. La Federazione del Pci in Australia fu segnata inoltre dalla contrapposizione tra l’ala fedele al Cpa, guidata da Lauriee Aarons e sostenuta dal partito italiano, e quella maggiormente vicina all’spa, diretta da Palazzolo, sempre più in dissenso rispetto alla linea del pci. Nel 1973 fu convocata una Conferenza del Partito comunista italiano in Australia per risolvere la diatriba; e tuttavia lo stesso Aarons mostrerà ampi dubbi sulla linea del compromesso storico. Al fine di collegarsi alle esigenze sociali, assistenziali ed educative degli immigrati, i comunisti italiani in Australia diedero vita anche a un importante organismo di massa come la Federazione italiana dei lavoratori emigrati e famiglie (filef), diretta da Pierina Pirisi. Nel 1973-74 il pci inviò varie volte in missione Ignazio Salemi, che diede nuovo impulso all’organizzazione comunista (ad esempio con la fondazione del giornale Nuovo Paese), senza però che questo implicasse un salto di qualità sul piano del radicamento, anche a causa di un contesto sociale molto diverso da quello italiano, più centrato cioè sulla ricerca della prosperità che di un cambiamento politico, e dalla condizione «atomizzata» degli immigrati. Anche sul piano politico-culturale, Cresciani evidenzia il contrasto tra l’impostazione del pci e quella del cpa, che appare più vicino alle istanze della New Left che a quelle del comunismo storico e al tempo stesso poco attento ai problemi dei lavoratori immigrati.
L’autore descrive poi l’incredibile vicenda di Salemi, il dirigente del pci giunto in Australia per rinsaldare l’organizzazione, il quale viene preso di mira dagli apparati dello Stato australiani, accusato di «immigrazione illegale» e infine espulso dal paese. La Federazione australiana del pci, tuttavia, cresce, soprattutto a Sydney, dove giunge a 162 iscritti e una trentina di simpatizzanti, mentre a Melbourne la situazione è più complicata. Nel 1979 la Federazione viene rifondata, e l’anno seguente Pierina Pirisi ed Edoardo Burani sono assunti dal pci come funzionari per l’Australia. Ormai però si sta aprendo una nuova fase, in cui le difficoltà sono destinate ad aumentare, fino a quella svolta della Bolognina che farà sentire i suoi effetti anche in Australia.
L’accurato lavoro di Cresciani descrive quindi una vicenda poco nota, se si vuole minore, eppure emblematica, non solo dei caratteri transnazionali del comunismo ma anche delle difficoltà dell’azione politica nei contesti segnati dalla compresenza di diverse entità etniche, culturali e linguistiche: un tema che parla anche del mondo di oggi, sempre più multiculturale e interconnesso.
Alexander Höbel