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Il legame tra luogo di partenza e luogo di destinazione nell’emigrazione italiana: un primo aggiornamento

Antonio Cortese (giugno 2021)

Premessa

Con riferimento alla lunga stagione migratoria del nostro paese che si è chiusa verso la metà degli anni settanta dello scorso secolo quando il saldo del movimento migratorio con l’estero è diventato positivo (da paese di emigranti l’Italia è diventata gradatamente area di immigrazioni adeguando la propria situazione a quella dei paesi maggiormente sviluppati), mi sono di recente occupato del legame tra luogo di partenza e luogo di destinazione nei nostri flussi verso l’estero con l’obiettivo prioritario di verificare l’effetto prodotto dalla cosiddette “catene migratorie”.

Nel caso in particolare di grandi città che hanno ospitato tanti nostri connazionali, ho rilevato che non si debba parlare di catene migratorie ma di un forte desiderio di riaggregazione sulla base di una comune provenienza maturato dopo l’arrivo nel paese estero. È stato giustamente osservato che “muovendosi sul difficile confine tra integrazione e assimilazione, chi arriva in una nuova terra deve sempre fare i conti con le persone, i gruppi e i comportamenti che tendono a rifiutarlo ed escluderlo – per esempio attraverso le differenze di lingua e costumi, la competizione vera o presunta nel lavoro, gli stereotipi e il razzismo, le paure proprie e degli altri – sia con quelli che vogliono a tutti i costi trasformarlo in un cittadino a tutto tondo del paese ospitante, cancellando passato e tradizioni. Le comunità di immigrati che si formano nell’emigrazione appaiono così camere di compensazione, luoghi di difesa e di organizzazione del pensiero e delle parole, di costruzione e realizzazione di strategie per salire la scala sociale, di elaborazione e ibridazione degli usi e costumi, di definizione di uno spazio fisico dove aggregarsi e trovare collaborazione, solidarietà, comprensione”[1].

Da ultimo ho collocato in un gruppo residuale vicende migratorie piuttosto singolari nelle quali la piena corrispondenza tra luogo di partenza e luogo di destinazione ha svelato modalità del processo migratorio piuttosto particolari.

Gli iniziali risultati della mia ricerca sono stati pubblicati sul n. 61 della Rivista Altreitalie[2]. Il mio proposito è ora quello di integrarla con ulteriori aggiornamenti, il primo dei quali porto in questa occasione all’attenzione dei lettori ripartendo ancora una volta i casi esaminati su base regionale.

 

Veneto

 

Mi preme in premessa ribadire che il Veneto è la regione che nella prima fase dell’emigrazione italiana (1876-1915) ha maggiormente contribuito con 1.822.793 espatri ai flussi verso l’estero generati dal nostro paese. Per questo aggiornamento ho fatto perciò riferimento a questo arco temporale riservando ancora una volta particolare attenzione alla provincia di Belluno che, come ho già avuto modo di precisare, è stato il serbatoio dal quale ha tratto principalmente alimento il flusso migratorio in uscita dal Veneto.

Un ruolo assai importante tra le mete di destinazione lo ha avuto il Brasile. Il fattore principale che ha spinto le classi dirigenti brasiliane a una politica di attrazione di manodopera dall’Europa, è stata l’esigenza di popolare un territorio sterminato e a bassissima densità demografica. L’immigrazione è stata quasi esclusivamente convogliata verso le aree di produzione del caffè.

In Italia il Brasile è stato individuato come paese in cui ottenere terra, argomento non di poco conto per un esercito di partenti quasi esclusivamente rurale[3]. Che questo fosse l’obiettivo di gran parte di coloro che sbarcarono in Brasile è dimostrato dall’alta composizione familiare dei flussi, decisamente superiore a quella di quanti optarono per altre mete. Tale caratterizzazione fu peraltro favorita dal governo locale che, per assicurarsi la permanenza dell’immigrato, stimolò l’arrivo di nuclei familiari piuttosto che di singoli, ricorrendo, più di ogni altro governo del subcontinente, all’arma della copertura dei costi della traversata[4].

Entrando nel merito, segnalo inizialmente un caso molto particolare che riguarda il comune di Rocca Pietore nell’Agordino, ai piedi della Marmolada. Una ricca signora americana in visita in Italia, Mrs. Cochran, decise di farsi costruire in patria una villa simile a quelle che aveva potuto ammirare durante il suo viaggio. Aveva conosciuto due fratelli, Luigi e Andrea Davare, eccellenti muratori nati a Ronch di Laste frazione del comune di Rocca Pietore. Offrì a loro e ad altri undici muratori, presumibilmente della stessa area, il passaggio per gli Stati Uniti. I due fratelli con le loro numerose famiglie e i compagni di lavoro si imbarcarono al porto di Genova e il 5 dicembre 1904 arrivarono in America. Costruita la villa di Mrs. Cochran (chiamata Lindon Hall) a Dawson centro abitato della contea di Fayette in Pennsylvania, vi si stabilirono, almeno in parte, creando una piccola comunità “ladina”[5].

Sempre negli Stati Uniti, è stata individuata l’esistenza di un “piccolo Cadore” a Clifton nel New Jersey, per l’insediamento, fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, di migranti provenienti da Vodo, Borca e San Vito[6].

Altre comunità si sono formate in un’altra meta tradizionale dell’emigrazione italiana. Flussi migratori verso l’estero sono infatti stati generati da altri due comuni dell’Alto Agordino: Livinallongo del Col di Lana (“Fodom” è il toponimo ladino) e Colle Santa Lucia. Durante la guerra 1915-18 il primo fu in gran parte distrutto. La popolazione fu per qualche anno impegnata nella sistemazione delle proprie case e nella messa in coltura delle campagne. Ben presto però l’esodo verso l’estero sembrò una soluzione necessaria: le famiglie erano numerose, tanti i debiti dovuti alla guerra, il reddito agricolo scarso e altre occupazioni inesistenti. All’inizio degli anni Venti, furono molti quelli che decisero di emigrare in Argentina: falegnami, carpentieri, calzolai, ecc., risposero alla domanda di manodopera proveniente dal paese sudamericano, chiamando poi altri ai quali assicurarono lavoro e sistemazione. Quelli provenienti da “Fodom” si stabilirono a Villa Ballester, sobborgo di Buenos Aires, dove costruirono le loro case aiutandosi a vicenda; le famiglie di Colle Santa Lucia, fra di loro spesso imparentate (al censimento del 1921 il comune contava solo 754 abitanti), si sistemarono invece in altre località non molto distanti, sempre del cordone urbano della capitale argentina[7].

Vengo infine al Brasile, la meta di destinazione più importante per il periodo preso in esame. Diversi comuni della provincia di Belluno sono oggi gemellati con cittadine brasiliane. Ne segnalo alcuni.

 

Canale d’Agordo

Massaranduba (Santa Catarina)

Cencenighe Agordino

Massaranduba (Santa Catarina)

Falcade

Massaranduba (Santa Catarina)

San Tomaso Agordino

Massaranduba (Santa Catarina)

Vallada Agordina

Massaranduba (Santa Catarina)

Auronzo di Cadore

Ilópolis (Rio Grande do Sul)

Cesiomaggiore

Aratiba (Rio Grande do Sul)

Longarone

Ussuranga (Santa Catarina)

Pedavena

Caxias do Sul (Rio Grande do Sul)

 

Non vi è alcun dubbio che i comuni brasiliani evidenziati siano oggi abitati in gran parte dagli eredi dei migranti provenienti dai comuni italiani. Massaranduba ospita i discendenti dei migranti arrivati dalla Valle del Biois tra il 1875 e il 1905[8]. In merito al legame tra il luogo di partenza e il luogo di destinazione, sono però convinto che esso si sia per lo più consolidato solo a distanza di tempo. Inizialmente le famiglie insediatesi nelle aree di colonizzazione agricola hanno vissuto spesso in condizioni di quasi assoluto isolamento. “Molti emigrati, i capofamiglia e le mogli, vissero fino alla morte nello stesso luogo che le loro fatiche avevano trasformato da boscaglia a campi coltivati, a orto e giardino, dove il duro lavoro li aveva sollevati dalla misera condizione iniziale e gli era stato possibile, per la prima volta dopo tanti anni, non rimpiangere l’abbandono del paese natio”[9]. Solo successivamente si sono spostati verso i centri abitati che andavano via via sorgendo anche per consentire ai loro figli di frequentare la scuola.

Segnalo infine l’importante ruolo dei migranti veneti nella fondazione del piccolo centro di Caxias do Sul nel 1890 (è oggi una città che conta più di 500 mila abitanti). Rilevante è stato il contributo dei migranti provenienti dal comune di Pedavena: tra questi va ricordata la figura di Anna Rech fondatrice del distretto della città che ancora oggi porta il suo nome.

Alla crescita della città brasiliana hanno contribuito anche migranti partiti da un’altra provincia del Veneto. “Nella seconda metà dell’800 la zona di Schio nell’Alto Vicentino fu teatro di una industrializzazione senza precedenti in Italia. L’opificio Rossi fondato e poi preso in mano dal figlio Alessandro nel 1845, divenne un polo industriale di riferimento per l’economia italiana”[10]. Nel 1873 si è verificato una sciopero delle maestranze dell’opificio. Nel 1890 ce ne è stato un altro. La risposta dell’impresa è stata durissima: nel primo caso è stato deliberato il licenziamento in massa di tutti gli scioperanti, nel secondo non solo sono stati licenziati i promotori dello sciopero ma è stato deciso il decurtamento del 30 per cento del salario di tutti i tessitori. Questa reazione ha provocato un esodo di massa. Da Schio, da Torrebelvicino e da altri comuni del circondario le partenze per l’estero sono state numerose. Almeno un centinaio di famiglie ha raggiunto la città di Caxias do Sul che, come ho più sopra precisato, ha accolto altri migranti provenienti dal Veneto. Gli operai della Rossi con un sapere lavorativo spendibile più all’interno di un lanificio che non sui campi coltivati, hanno dato vita a una cooperativa di tessitori, la Cooperativa Tecidos de Lã, successivamente trasformata nel Lanificio São Pedro. La zona di Caxias do Sul è diventata, grazie alla loro iniziativa, un importante polo industriale.

 

Abruzzo

 

Da Palena, comune montano della Maiella orientale in provincia di Chieti, sono partiti nel 1910 (la popolazione del bel borgo era allora al suo massimo, più di 4 mila abitanti, mentre a fine 2019 ne conta solo circa 1.300) numerosi migranti che si stabilirono nella città mineraria di Canonsburg in Pennsylvania creandovi una piccola comunità. Del gruppo facevano parte i genitori del grande crooner americano Perry Como.

Nei primi anni del secondo dopoguerra i comuni di Pizzoferrato e di Gamberale, anche questi in provincia di Chieti, hanno alimentato una forte emigrazione verso gli Stati Uniti. Tra il censimento del 1951 e quello del 1971 la popolazione residente nei due comuni passa, rispettivamente, da 1.932 a 1.540 e da 1.076 a 668 abitanti. Ai migranti partiti dai due comuni, si deve la fondazione, a Pittsburgh, del quartiere di Panther Hollow[11].

 

Puglia

 

Nel perimetro urbano di Herford in Germania (Renania Settentrionale-Vestfalen), migranti provenienti nel secondo dopoguerra dal comune di Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi, si sono insediati al centro della città, in strade di punta e di negozi, ma in condizioni spesso disagiate. All’interno dell’area chiusa da Elisabethstr., Höckerstr. e Arbeitstr., vi è stata un’ulteriore frammentazione di isolette cegliesi con caseggiati occupati dal primo all’ultimo piano da famiglie legate da parentela o da amicizia. Si trattava spesso di edifici in cattivo stato di conservazione, senza ascensore, con scale in legno consunto e abitazioni arredate con mobili di seconda mano sui quali comparivano foto e souvenir della famiglia d’origine[12].

 

Calabria

 

Nel secondo dopoguerra si formò a Toronto, in Canada, come era avvenuto in altre metropoli, una Little Italy, un’area geografica prossima al centro della città, chiusa tra College Street e Dundas Street, abitata esclusivamente da nostri connazionali. Al suo interno nacque una Little Rende, spalmata tra le vicine streets di St. Clair, Dufferin, Bloot, Dupont, Dundas, Keel, Dovercourt, St. Clarence, Lappin, Lansdowne e Eglinton, nella quale si stabilirono migranti provenienti dal comune cosentino[13].

 

Sicilia

 

L’approfondimento riguarda cinque comuni, uno in provincia di Palermo e quattro in provincia di Catania.

A cambiare le sorti del comune di Lercara Friddi, in provincia di Palermo, è stata la scoperta dello zolfo che lo ha reso un importante centro minerario incentivandone la crescita demografica nella seconda parte dell’Ottocento. Al censimento del 1901 si è raggiunto il massimo popolamento con 13.562 abitanti. Nel 1951 avvenne nella miniera un grave episodio: morì un ragazzo di 17 anni schiacciato da un masso caduta dalla volta di una galleria. Seguì uno sciopero contro le difficili condizioni lavorative che si protrasse nel tempo. Le attività del bacino minerario chiusero definitivamente nel 1969.

Circa trecento lercaresi sono emigrati a Liegi in Belgio probabilmente attratti dalla possibilità di trovare lavoro nel grande bacino carbonifero della città dove avrebbero potuto far valere la loro esperienza professionale. La popolazione residente accertata dal censimento del 1961 risulta pari a 11.872 abitanti, numero che è fortemente diminuito negli anni successivi[14].

Il comune montano di Biancavilla (Catania) è dal 2010 gemellato con Gap (capoluogo del dipartimento Hautes Alpes in Provenza al confine con l’Italia, con circa 40 mila abitanti). Come ha ricordato Giuseppe Glorioso, sindaco di Biancavilla dal 2008 al 2018, il flusso migratorio verso Gap è iniziato verso il 1950 (sono oggi circa 120 le famiglie di origine biancavillese che vi risiedono)[15]. Il loro obiettivo era quello di cercare lavoro facendo leva su una tradizione artigianale nel campo dell’edilizia. I nostri emigranti si sono pienamente integrati nel tessuto sociale, culturale ed economico della cittadina francese (vi è stato persino un assessore comunale originario di Biancavilla). San Placido, patrono e protettore di Biancavilla dal 1709, è oggi festeggiato anche a Gap.

In Belgio, a Namur capitale della Vallonia con oltre 100 mila abitanti, vive oggi una comunità di più di 2 mila adraniti originata per l’appunto da un flusso migratorio dei primi anni del secondo dopoguerra proveniente dal comune montano di Adrano, anche questo in provincia di Catania[16]. Tale flusso è da ricollegare all’Accordo tra l’Italia e il Belgio (in particolare al Protocollo di emigrazione Italo-Belga del 26 aprile 1947 che assicurava tra le altre cose il trasferimento dei migranti italiani da impiegare nelle miniere della regione belga e ne garantiva le condizioni di lavoro)[17].

Nei comuni di Sant’Alfio e Piedimonte Etneo, pure questi in provincia di Catania, si è a lungo prodotto il tradizionale “vino rosso dell’Etna” che ha riscosso molto successo anche sui mercati esteri. La distruzione dei vigneti a causa della filossera nella seconda metà dell’Ottocento ed il successivo crollo del prezzo del vino, dovuto anche alla depressione abbattutasi sui mercati finanziari verso la fine del secolo, costrinsero molti contadini all’espatrio.

All’inizio del Novecento furono molti quelli che decisero di emigrare in Australia imbarcandosi sui piroscafi allora in partenza dal porto di Messina in ginocchio dopo il terremoto del 1908. Trovarono in gran numero impiego nelle piantagioni di canna da zucchero nella parte settentrionale del Queensland stabilendosi in particolare a Tully dove si formò un’importante comunità siciliana alimentata nel tempo da nuovi arrivi.

Di recente c’è stato il gemellaggio dei due comuni siciliani con le cittadine australiane di Tully e Innisfail[18]. La festa dei tre patroni di Sant’Alfio (Alfio, Filadelfo e Cirino che nel 253 d. C. furono deportati dalla Spagna per essere martirizzati) è oggi celebrata nella prima domenica di maggio anche in numerose chiese della regione del Cassoway Coast che ha accolto i migranti siciliani.

 

 

 

 

 

Riferimenti bibliografici

Aa. Vv. (2020), A proposito di una lettera di Benedetto Bonelli, Carreira Editor, Jaraguá do Sul (Santa Catarina-Brasile)

Andrich, C. (2016), Emigrantes italianos do Valle del Biois, in “Pesquisa das origens” (a cura di A. F. Bohn e I. Tancon), Carreira Editor, Jaraguà do Sul (Santa Catarina-Brasile)

Brancato, F. (1995), L’emigrazione siciliana negli ultimi cento anni, Pellegrini Editore, Cosenza

Casarotto, G. (2020), Vicenza. Padri in fuga dalla miseria, figli in fuga dalla ricchezza, “Rapporto Italiani nel Mondo”, Fondazione Migrantes, Tau Editrice, Todi (PG), pp. 501-510

Colucci, M. (2008), Lavoro in movimento, Donzelli editore, Roma

Cortese, A. (2020), Il legame tra luogo di partenza e luogo di destinazione nell’emigrazione italiana, “Altreitalie”, N. 61

Da Roit, C. (1999), Lavallesi nel Rio Grande. Coloni veneti in Brasile a fine ‘800, Tipolitografia Beato Bernardino, Feltre (Belluno)

Di Lello, G. (2020), Chieti. Ad ogni italoamericano illustre il suo borgo, “Rapporto Italiani nel Mondo”, Fondazione Migrantes, Tau Editrice, Todi (PG), pp. 162-170

Maida, B. (2015), Quando partivamo noi. Storie e immagini dell’emigrazione italiana 1880-1970, Edizioni del Capricorno, Torino

Palla, L. (2021), Emigrazione dalle Dolomiti nel corso del Novecento. Storie di esodo da Colle Santa Lucia, Livinallongo e Rocca Pietore, Istitut Cultural Ladin “Cesa de Jan” e Bellunesi nel mondo edizioni, Caselle di Sommacampagna (Verona)

Petronio, S. (2019), Clifton, New Jersey. Il “Piccolo Cadore” d’America, Rivista “Bellunesi nel mondo”, Anno LIV, N. 7-8, luglio-agosto, pp. 22-23

Pinieri, E. (2003), Un sindaco tra i canguri, Rivista della Provincia regionale di Catania, Anno XXI, N. 1, gennaio

Tempesta, I. (1985), Una comunità cegliese a Herford (R.F.T.), “Studi Emigrazione”, N. 79, pp. 411-420

Trento, A. (2002), In Brasile, in “Storia dell’emigrazione italiana – Arrivi” (a cura di P. Bevilacqua, A. De Clementi e E. Franzina), Donzelli Editore, Roma, pp. 3-23

Zanfino, A. (2014), Migrazioni di ritorno. Da Rende a Toronto a Rende, in “La Calabria dei migranti. Partenze, rientri, arrivi” (a cura di V. Cappelli, G. Masi e P. Sergi), Centro di Ricerca sulle Migrazioni, Arcavata di Rende (CS), pp. 97-108

 

 

 

[1] Cfr.Maida, 2015, p. 66.

[2] Si veda Cortese, 2020.

[3] Si è non a caso scritto “laggiù mancano le braccia ai terreni, qui mancano terreni alle braccia” (si veda Aa. Vv., 2020, p. 10).

[4] Si veda Trento, 2002.

[5] Si veda Palla, 2021.

[6] Si veda Petronio, 2019.

[7] Si veda Palla, 2021.

[8] Si veda Andrich, 2016.

[9] Si veda Da Roit, 1999, p. 39.

[10] Si veda Casarotto, 2020, p. 505.

[11] Si veda Di Lello, 2020.

[12] Si veda Tempesta, 1985.

[13] Si veda Zampino, 2014.

[14] Si veda Brancato, 1995, p. 74.

[15] Alcuni video sul gemellaggio:

  • https//youtu.be/CBQyCFu8Qjl
  • https//youtu.be/Kj1A78UCqVo

[16] Si veda www.cittametropilitana.ct.it.

[17] Rinvio a Colucci, 2008.

[18] Si veda Editrice INFORM-IDG. Srl, N. 92, 8 maggio 2006 e Pinieri, 2003, p. 26.

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