Per una popolazione come quella italiana, caratterizzata da una forte tradizione cattolica, almeno da un punto di vista formale, la religione ha rappresentato un aspetto significativo dell’esperienza migratoria, non tanto come fattore espulsivo, salvo poche eccezione, quanto come elemento che ha concorso a determinare la vita nelle società di destinazione. All’influenza della religione sull’identità e sulla produzione culturale degli appartenenti alla cosiddetta «diaspora» italiana, il dipartimento di italianistica dell’università di Utrecht ha dedicato un convegno internazionale, coordinato da Matteo Brera e Monica Jansen.
L’ampiezza della prospettiva geografica dell’esodo degli italiani e la molteplicità della loro produzione culturale nelle terre d’adozione è emersa fino dalla prolusione di Loredana Polezzi, che ha spaziato dagli Stati Uniti all’Australia, affrontando letteratura e arti visive. L’intervento ha mostrato che la religione costituisce un terreno di negoziazione del senso dell’appartenenza, poiché permette di includere alcuni e di escludere altri, attraverso tre casi studio che hanno anche messo in luce le specificità locali della fede nella complessità delle sue traduzioni linguistiche e culturali: il cattolicesimo come elemento di collegamento tra Stati Uniti e Italia nel romanzo Christ in Concrete (1939) di Pietro Di Donato, la trasfigurazione della migrazione nelle immagini che si richiamano alla religione nell’opera dell’artista italo-americana B. Amore e la riappropriazione dei riti cattolici per trasmettere la memoria della Calabria nei video dall’italo-australiana Luci Callipari-Marcuzzo.
Addentrandosi nel versante statunitense dell’esodo dall’Italia, Matteo Brera ha presentato i risultati preliminari di uno studio comparativo sulle comunità italiane di Birmingham, in Alabama, e di Nashville, in Tennessee, all’inizio del Novecento, sottolineando come principalmente quest’ultima avesse prodotto un’ibridazione di successo in una società dove, però, l’appartenenza alla razza bianca risultò l’elemento vincente per l’inserimento rispetto alla confessione cattolica.
La partecipazione alle pratiche religiose per riscoprire le proprie radici, superare i possibili conflitti insiti in un’identità multipla e, quindi, riconciliarsi con la terra d’origine è stata, invece, al centro della relazione che Anne Sommer ha dedicato alle pagine sulla narrativa di viaggio nel Paese dei loro avi di alcune autrici discendenti da emigrati italiani quali Susan Caperna Lloyd, Barbara Grizuti Harrison, Kym Ragusa e Lisa Ruffolo. In questi testi Sommer ha esaminato specialmente il ricorrere di temi come il sentirsi a casa in Italia, il senso dell’appartenenza e l’identità culturale attraverso i loro riflessi sul prendere parte alla ritualità del culto cattolico, mettendo in rilievo come i viaggi meramente nostalgici si siano generalmente rivelati un fallimento per chi li ha compiuti. Ha, pertanto, concluso che il recupero dell’etnia da parte degli italo-americani può avere successo solo guardando al futuro anziché al passato.
Un’attenzione specifica è stata prestata all’Africa e agli ebrei italiani sulla costa meridionale del Mediterraneo. Barbara Spadaro si è occupata della loro presenza in Libia – attraverso le vicende di due famiglie in particolare – in tre momenti chiave per la rielaborazione della loro identità e del senso di appartenenza all’Italia: la vigilia dello scoppio della guerra italo-turca nel 1911, la promulgazione della legislazione antisemita del regime fascista nel 1938 e l’espulsione degli italiani da parte del regime di Gheddafi nel 1970. Spadaro ha rilevato che, sebbene l’Italia fosse associabile a forme di discriminazione, l’italianità restò il sentimento prevalente per i componenti di entrambe le famiglie. Federica Frediani, invece, ha analizzato la comunità ebraica di origine livornese stabilitasi in Tunisia, interrogandosi sul senso di appartenenza dei suoi membri, sospeso tra italianità ed ebraismo, nonché sulle conseguenti ripercussioni di questa ambiguità sostanziale rispetto all’integrazione in una nazione araba. Nell’ambito dell’interesse per le destinazioni africane è collocabile anche la relazione di Monica Jansen, incentrata sulla figura di Celso Costantini, fondatore e direttore del periodico Arte Cristiana, nonché autore di un manuale rivolto ai missionari cattolici, L’arte cristiana nelle missioni (1940). In particolare, Jansen ha esaminato l’interazione tra la ricerca della modernità nell’arte sacra dei missionari italiani in Africa e la presunta funzione civilizzatrice del colonialismo fascista nel contesto della guerra d’Etiopia.
Il simposio, rispecchiando la prospettiva della «lunga durata» per l’esodo dall’Italia, non si è limitato a scandagliare l’età contemporanea, ma ha considerato anche il Cinquecento. La relazione di Eleonora Belligni, infatti, ha ricostruito le peregrinazioni attraverso la Svizzera e la Francia dell’umanista italo-greco Francesco Porto, fautore della tolleranza religiosa e costretto a lasciare la penisola italiana a causa della sua adesione alla Riforma protestante.
Fatta eccezione soprattutto per l’intervento di Jansen, l’assise ha privilegiato una lettura dal basso dell’esperienza religiosa, soffermandosi sulle diverse manifestazioni connesse alla fede «popolare», rispetto, per esempio, alle politiche ecclesiastiche e agli orientamenti istituzionali. In questa dimensione, ha fornito contributi utili e stimolanti a un campo di studi in continua crescita, come attestano una recente monografia di Joseph Sciorra (Built with Faith: Italian American Imagination and Catholic Material Culture in New York City, Knoxville, University of Tennessee Press, 2015) e il convegno che nel 2017 l’Italian American Studies Association ha dedicato a Faith, (Ir)reverence, and the Italian Diaspora.
Stefano Luconi