L’autobiografia del giornalista italoamericano John Cappelli presenta fin da subito due caratteristiche interessanti. La prima è il percorso di crescita personale che il protagonista si trova ad affrontare in giovane età, con una sorta di doppia integrazione dovuta al suo trasferimento dagli Stati Uniti all’Italia e viceversa. Il secondo è la quantità di eventi fondamentali della storia italiana e americana di cui è testimone e che racconta da vicino ponendosi sempre dalla parte dei più deboli, dei lavoratori e delle minoranze. Entrambe queste particolarità, insieme a una lingua «scoppiettante e diretta», come viene definita dal curatore Luigi Troiani nell’introduzione (p. 9), rendono questo volume piacevole alla lettura e ricco di episodi avvincenti.
Nato a Union City, New Jersey, nel 1927, Cappelli si trasferisce a Roma all’età di cinque anni. I suoi nonni, originari dell’Abruzzo, erano sbarcati a Ellis Island durante il periodo della grande migrazione e si erano stabiliti a New York. Dopo la morte della madre, John e suo padre lasciano l’appartamento di Mulberry Street e tornano in Italia stabilendosi a Roma. Qui inizia quello che potremmo definire il primo processo di integrazione. Si innesca infatti un meccanismo di italianizzazione affinché John sia accettato dagli altri bambini del quartiere. Siamo agli inizi degli anni trenta e il fascismo ormai è una triste realtà.
Durante la Seconda guerra mondiale Cappelli va a vivere a Pizzoli, in Abruzzo, terra di confino per gli antifascisti, dove conosce Leone e Natalia Ginzburg; commovente il pensiero che dedica a quel «gentile signore» (p. 44) che per le sue idee sarebbe stato trucidato dai fascisti. Cappelli si proclama ateo e anarchico dopo aver letto le poesie del poeta romantico inglese Percy Shelley e da questo momento in poi la militanza politica e la letteratura iniziano ad avere un peso fondamentale nella sua vita.
Dopo la guerra, è tra i primi italoamericani a tornare negli Stati Uniti e, una volta a New York, si stabilisce nell’enclave italiana del Bronx. Qui scopre una realtà a lui completamente sconosciuta; la sua ri-americanizzazione prevede non solo imparare i passatempi locali come il gioco del baseball, ma anche venire a contatto con il razzismo dei bianchi verso ispanici e afroamericani. Se i latinos vengono indistintamente chiamati «portoricani» (p. 59) è soprattutto contro gli afroamericani che si manifesta l’odio più forte. Questo nuovo aspetto centrale della vita di quartiere contribuisce a creare in lui una coscienza politica che si tramuta presto in attivismo.
Arruolatosi come volontario nell’aviazione statunitense viene trasferito in una base del Texas dalla quale viene espulso a causa di un giornale di sinistra che si fa recapitare per posta. In piena Guerra fredda la minaccia comunista è sempre dietro l’angolo e Cappelli ne fa le spese con la destituzione dal servizio. Rientrato a New York, lavora alla campagna per la rielezione al Congresso del politico italoamericano Vito Marcantonio, paladino dei diritti civili e dei lavoratori, rappresentante di Harlem.
Negli anni cinquanta inizia la carriera di giornalista con L’Unità del Popolo; firma i suoi articoli con il nome di battaglia di John Ribelli e per le sue idee «a sinistra della sinistra» (p. 14) si afferma fin da subito come elemento sovversivo agli occhi del governo (divertente l’episodio in cui Cappelli incontra il sociologo e attivista afroamericano W.E.B. Du Bois e in cui entrambi si accorgono di essere seguiti da due agenti dell’Fbi a testa). È però con il suo lavoro di cronista d’assalto per «Paese Sera» che il suo nome diventa fondamentale nelle scene giornalistiche italiana e americana. Forte di una scrittura dallo stile diretto e minimalista alla Hemingway, Cappelli segue i Freedom Riders, che lottano per l’integrazione dei neri nel Sud degli Stati Uniti, ed è presente alla marcia di Washington contro la segregazione e la discriminazione razziale del 28 agosto 1963 durante la quale si esibisce un giovane Bob Dylan e Martin Luther King Jr. pronuncia il suo famoso discorso «I Have a Dream».
Cappelli è inoltre testimone dell’arrivo dei Beatles negli Stati Uniti, del diffondersi della letteratura Beat, della presidenza Kennedy con lo sbarco degli anticastristi alla Baia dei Porci promosso dalla Cia e dell’escalation militare in Vietnam, fino all’ascesa dell’«infido e manipolatore» (p. 163) Rudolph Giuliani alla carica di sindaco di New York. Corrispondente dagli Stati Uniti, lavora per oltre quarant’anni alle Nazioni Unite, sia per «Paese Sera» che per «Il Progresso Italo-Americano» e infine per «America Oggi», quotidiano autogestito e totalmente indipendente.
Cappelli è una figura affascinante della storia giornalistica americana e italiana perché è rimasto sempre fedele alle proprie idee e non è mai sceso a compromessi. Le Memorie si affermano quindi come un’utile risorsa per chi voglia conoscere o approfondire la vita di un cronista schietto e sincero che con il suo approccio anti-establishment si è fatto portavoce degli ultimi e degli oppressi, testimoniando in presa diretta i principali avvenimenti statunitensi degli ultimi decenni.
Andrea Galli