A novant’anni dalla loro esecuzione, la vicenda degli anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, giustiziati sulla sedia elettrica in Massachusetts nel 1927 dopo la condanna in un processo-farsa che li vedeva imputati per duplice omicidio, continua a essere oggetto dell’interesse degli storici. Il dramma di «Nick e Bart», infatti, offre molteplici chiavi di lettura, anche perché si intreccia a tematiche varie e complesse come l’esperienza migratoria e la sua percezione, il pregiudizio anti-italiano, la red scare che in quegli anni condizionò pesantemente opinione pubblica e potere negli Stati Uniti, la conseguente durezza della repressione politica, l’esercizio della giustizia e molto altro ancora.
I due saggi di cui si compone il volume intersecano ciascuno di questi argomenti, ma si concentrano in particolare sul comportamento di Benito Mussolini riguardo al caso, per approfondire un aspetto forse troppo frettolosamente liquidato dalla storiografia. Lo studio di Philip V. Cannistraro – uscito negli Stati Uniti nel 1996 e qui alla sua prima traduzione italiana – confuta l’opinione prevalente di un Mussolini disposto a interessarsi solo superficialmente della sorte dei due connazionali, per convenienza politica e per la volontà di promuovere il patriottismo di regime, o addirittura, come sostennero molti anarchici, deciso a incoraggiare i funzionari statunitensi a punirli in modo esemplare. Valendosi di fonti fino ad allora non ancora esaminate, Cannistraro cerca di portare alla luce tutte le sfumature e le ambiguità di una realtà molto diversa, sottolineando innanzitutto come il futuro dittatore, prima di salire al potere, avesse preso pubblicamente le parti di Sacco e Vanzetti, in ragione «delle inclinazioni personali che si unirono agli istinti politici» (p. 20). La sua formazione radicale, la tradizione familiare (il padre era stato membro dell’Internazionale bakuniana in Italia), l’ammirazione nutrita per l’azione diretta tipica del movimento anarchico e il disprezzo verso lo Stato «plutocratico» d’oltreatlantico sono tutti elementi che, secondo Cannistraro, influenzarono profondamente l’atteggiamento di Mussolini e contribuirono a determinare la sua sincera solidarietà con i due emigrati. L’attenta ricostruzione evidenzia però anche come, una volta diventato capo del governo, il duce si sia trovato a camminare sul filo del difficile equilibrio tra ragion di Stato, opportunità diplomatica e interesse nazionale: troppo preoccupato di non incrinare i rapporti con Washington, scelse di muoversi per vie informali e di non assumere una posizione di aperta ostilità. Cionondimeno, la ricerca mostra bene il contrasto tra la dura stretta repressiva di Mussolini contro gli anarchici in Italia e il parallelo, costante adoperarsi, anche con appelli personali, in favore di Sacco e Vanzetti, sintomo «della nostalgia duratura, per quanto perversa, dei suoi impulsi anarchici giovanili» (p. 35).
Il saggio di Lorenzo Tibaldo – veterano dell’argomento in quanto già curatore dell’epistolario Lettere e scritti dal carcere (Torino, Claudiana, 2012) e autore di Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Sacco e Vanzetti (ivi, 2008) – ripropone temi già presentati da Cannistraro. Tuttavia, la sua analisi della documentazione dell’Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri contribuisce ad arricchire la trattazione dando rilievo ad alcuni elementi, tra cui l’intervento dei diplomatici italiani negli Stati Uniti, precedente all’ascesa al potere di Mussolini. Tibaldo nota come il governo liberale si fosse astenuto dal compiere un passo ufficiale per le stesse ragioni che avrebbero poi frenato il capo del fascismo: le leggi restrittive sull’immigrazione, le riparazioni di guerra, i prestiti necessari alla ripresa economica legavano a doppio filo l’Italia agli Stati Uniti e sarebbe stato pericoloso alzare troppo i toni. Questo non significò che le autorità italiane ignorassero del tutto l’affaire Sacco-Vanzetti. Però, l’interessamento in proposito, sollecitato soprattutto da alcune interrogazioni parlamentari, sfociò in una cauta attività diplomatica che lasciava percepire, tra l’altro, la scarsa sensibilità del ceto dirigente italiano «di nobili, militari di carriera, dirigenti d’azienda, proprietari terrieri» (p. 50) verso quelli che venivano considerati due agitatori politici, sebbene probabilmente innocenti del doppio delitto. Tibaldo ha poi il merito di descrivere con accuratezza il contesto politico interno italiano e statunitense, rispetto sia al fascismo sia al movimento anarchico. Non manca inoltre di sottolineare la mobilitazione internazionale che accompagnò il lungo processo ai due emigrati e le implicazioni di prestigio personale che Mussolini intuì essere legate al caso: le numerose lettere che lo richiamavano alla responsabilità di difendere l’onore dell’Italia esercitarono grande pressione su di lui, impegnato a costruire il consenso, e lo indussero a non trascurare la vicenda. Tuttavia, conclude l’autore, i documenti rivelano anche l’intento di prendere tutte le misure necessarie «per reprimere ogni mobilitazione» in favore dei due anarchici (p. 84) e il sollievo del duce nel constatare, dopo l’esecuzione, l’assenza di ripercussioni sul fronte interno.
Il volume è corredato da una ricca appendice documentaria e dalla riproduzione fotostatica di nove, fra telegrammi e lettere, scambiati tra Mussolini, l’ambasciatore a Washington e le famiglie dei condannati, che consentono al lettore di confrontarsi senza mediazioni con alcune fonti primarie.
Francesca Puliga