Pre-Occupied Spaces di Teresa Fiore prende in esame la vasta produzione culturale nata dall’immigrazione contemporanea e dai movimenti migratori degli italiani all’estero, con particolare attenzione alla cultura che è emersa dalle esperienze di attraversamento e insediamento nel contesto delle diaspore italiane nel mondo. Il volume pone al vaglio una grande varietà di materiali culturali – dall’architettura, al cinema, a diversi generi letterari ed elementi di cultura popolare – in una traiettoria temporale ampia che abbraccia quasi l’intero arco delle grandi emigrazioni italiane fino a includere la contemporaneità e gli attraversamenti mediterranei. Spingendosi oltre i confini nazionali, il volume segue gli andamenti ondivaghi e inaspettati dei fenomeni culturali generati dal movimento diasporico e dagli spazi migratori. Nell’accorpare – attraverso il topos dello spazio – produzioni culturali solo in apparenza slegate tra loro e adottando le metodologie degli studi culturali e di quelli transnazionali, il volume ha l’ambizione di proporre un modo nuovo di interpretare la cultura italiana degli ultimi cento anni, ravvisando raccordi tra cultura alta e cultura popolare e tra varie epoche, spostando lo sguardo critico e il campo di osservazione dalla posizione statica dello stato-nazione, oltre i suoi confini territoriali e culturali.
Attenzione all’organizzazione dello spazio, dunque, a cominciare dalla struttura del volume, che comprende sei capitoli distribuiti su tre parti. Ogni parte, organizzata tematicamente, designa uno spazio migratorio e lo associa a un topos specifico. La parte I riguarda l’acqua e si concentra sull’analisi dei viaggi marittimi e oceanici delle emigrazioni e delle immigrazioni attraverso l’Oceano Atlantico e il Mar Mediterraneo in un movimento circolare che va dalla partenza alle colonie di insediamento, fino all’arrivo dei migranti in Italia. Le canzoni di Gilda Mignonette – la cantante napoletana diventata diva – e il film di Emanuele Crialese del 2006, Nuovomondo, costituiscono il corpus centrale di questa parte. La parte i comprende anche altri testi transnazionali sui viaggi volontari e forzati attraverso oceani e mari, come La pelle che ci separa (il memoriale di Kym Ragusa del 2006 che narra di un viaggio di ritorno in Italia) e Libera, un diario di viaggio meno noto del 2005 che racconta la fuga dall’Eritrea di Feven Abreha Tekle attraverso il Mediterraneo. La parte II, il cui tema è la casa, raccoglie testi ambientati in diversi tipi di spazi d’insediamento, per lo più urbani: il romanzo di Laura Pariani del 2007, Dio non ama i bambini – che si svolge tra i migranti italiani a Buenos Aires; il romanzo di Amara Lakhous del 2006, Scontro di civiltà per un ascensore in Piazza Vittorio, situato nel quartiere multietnico di Esquilino di Roma; infine, il romanzo Pantanella. Canto lungo la strada, di Mohsen Melliti, ambientato a Roma. Il capitolo si sposta poi a New York, attraverso l’analisi del romanzo Vita di Melania Mazzucco del 2003. Dopo aver esaminato i percorsi migratori attraverso l’acqua e l’occupazione di spazi abitativi, il libro dedica una sezione centrale al lavoro migrante. La parte III ripercorre storie di luoghi di lavoro, con particolare attenzione alle espressioni culturali inerenti alla sicurezza e allo sfruttamento dei lavoratori migranti nell’edilizia e nel lavoro domestico, settori fortemente segnati da preoccupazioni di genere. Ognuno dei capitoli della parte III si occupa di uno di questi settori: l’analisi del romanzo autobiografico del 1978, Les Ritals, di François Cavanna, è ambientato in Francia tra gli immigrati italiani che lavoravano nell’edilizia; il dramma teatrale di Renata Ciaravino Alexandria, dedicato alle donne che dal Friuli emigrarono in Egitto, è legato in tandem a una delle storie di migrazione incluse nel romanzo di Gabriella Ghermandi, Regina di fiori e di perle, del 2007 su di una donna etiope assunta come lavoratrice domestica presso una famiglia italiana.
Nel considerare discontinuità spaziali, culturali, testuali e storiche – ma sempre coerente al suo approccio tematico – Pre-Occupied Spaces si inoltra oltre i confini tradizionali degli studi sulle migrazioni che sono nati all’interno sia dell’italianistica, sia degli studi italiano americani. Nel volume, lo spazio diasporico italiano preso in esame include simultaneamente emigrazione e immigrazione, partenze, ritorni e arrivi. Fiore descrive il suo approccio metodologico come una cartografia di «spazi interconnessi», una forma di mappatura critica che le permette di scoprire la complessa rete di punti di prossimità, di distanza e di topos ricorrenti nel tempo e nello spazio presenti nella storia culturale dell’italianità transnazionale. I diversi tipi di spazi pre-occupati, spiega Fiore, «simultaneously allow for a remapping of Italian culture and identity which challenges fixed forms of belonging in a fast developing multiethnic country like Italy. At the center of this remapping lies the cultural text, because of its simultaneous powers of documentation, evocation, and imagination at the crossroads of the local, the national, and the transnational» (p. 14). Un esempio dell’approccio non ortodosso adottato da Fiore si trova nel capitolo 1 (Parte i), in cui le canzoni migranti degli anni trenta e quaranta sono legate tematicamente a un film contemporaneo attraverso la figura della nave, un’immagine che collega diversi spazi e luoghi. Allo stesso modo, nel capitolo 3 (Parte ii), l’analisi del romanzo di uno scrittore argentino di origine italiana si affianca all’analisi del testo di uno scrittore algerino emigrato in Italia attraverso il fil rouge del giallo e delle sovversioni criminali dei rispettivi protagonisti.
Ciò che tiene insieme tutta la struttura è la sofisticata impalcatura teorica del volume, che non perde mai di vista i possibili pericoli insiti nella sua impresa iconoclastica. La struttura estremamente elaborata del libro aiuta il lettore a navigare da un testo all’altro e da una parte del libro a quella successiva, mentre ciascuna delle parti è corredata di una prefazione, o «aperture». Termine preso in prestito dalla fotografia, l’apertura funge da introduzione al tema – e alla figura retorica a esso connesso – di ogni sezione del volume, attraverso l’analisi di un testo ’mediatore’ che tiene insieme tutti gli altri. Quest’espediente critico serve a illuminare i testi e a rendere chiaro il collegamento che li unisce. Il ricco linguaggio critico di Fiore cattura con straordinaria precisione le complesse ramificazioni delle opere prese in esame. Ciò nonostante, l’approccio non-cronologico e transnazionale del volume – pur in presenza di un’apertura – ha a volte un effetto disorientante sul lettore. La varietà dei materiali culturali esaminati, inoltre, non sempre permette a Fiore di considerare pienamente ogni testo come corpus a sé stante in quanto l’analisi strettamente tematica ne offusca il contesto di origine, la sua genealogia storica, la sua relazione con altri testi coevi. Un esempio di questo tipo di limite è l’analisi dello spazio domestico nella «Storia di Woizero Bekelech e Signor Antonio” di Gabriella Ghermandi, una delle molte micro-storie contenute nel romanzo Regina di fiori e di perle. L’analisi di Fiore si concentra sul rischio dello sfruttamento che si insidia spesso all’interno dell’intimità domestica tra le lavoratrici africane e i loro datori di lavoro – nativi italiani – mentre il significato complessivo di questa micro-storia perde di rilievo, diminuendo l’impatto generale che il romanzo di Ghermandi ha nel contesto della storia coloniale e in quello della sua eredità postcoloniale.
Mentre l’analisi tematica e la miriade di connessioni possono occasionalmente confondere il lettore, l’architettura teorico-critica del libro riesce a tenere insieme una proliferazione veramente impressionante di testi e riferimenti critici, adottando molteplici prospettive di studio. In questo modo, la lettura degli spazi pre-occupati di Fiore ridisegna anche la cartografia degli studi di italianistica all’interno delle scienze umane, suggerendo nuovi modi di ampliarne i confini sia disciplinari, sia nazionali. Concependo i testi culturali come «new possibilities for the coexistence, creation, and exchange of ideas» (p. 14), Fiore ne sottolinea la costante permeabilità. Prendendo sul serio il gioco di senso contenuto nel titolo, il volume dimostra come la preoccupazione per lo spazio possa dare vita a una critica impegnata a capire non solo il percorso culturale dei processi migratori fuori dalla penisola, ma anche l’immigrazione contemporanea e i suoi legami con le emigrazioni storiche. Il volume si posiziona dunque in molte aree di studio (nel campo degli studi sulle migrazioni e le diaspore italiane, quello degli studi postcoloniali, quello degli studi transnazionali) e grazie a una corposa bibliografia di riferimento e all’utilizzo di testi fondanti sulla teoria dello spazio, risulta di grande utilità per scopi sia pedagogici, sia di ricerca. Nel complesso, l’approccio critico di Fiore dimostra egregiamente come anche la teoria critica, nel preoccuparsi di allargare i suoi spazi disciplinari e geografici, possa assumere un vero carattere transnazionale e transdisciplinare.
Cristina Lombardi-Diop
(Loyola University Chicago