All’interno degli, ormai sterminati, migration studies, le migrazioni interne continuano a godere di un’attenzione limitata e intermittente che ha finito per produrre incertezze persino nella definizione. Questo Rapporto 2016 sulle migrazioni interne in Italia è stato pensato dai due curatori – Michele Colucci e Stefano Gallo – all’interno di un progetto più ampio, destinato a diventare un «punto di riferimento per la riflessione e lo studio sui fenomeni legati alle migrazioni interne» (https://migrazioninterne.it/about/un-osservatorio-sulle-migrazioni-interne/). Si tratta di un vero e proprio cantiere, aperto a studiosi di discipline diverse, tutte necessarie per affrontare il carattere multiforme che le migrazioni interne hanno avuto e continuano ad avere. I Rapporti – che dal 2014 hanno avuto cadenza annuale – spaziano dalla storia alla sociologia e dalla demografia all’antropologia, pur tenendo queste diverse discipline in costante dialogo.
Uno degli assunti di base – anche di questo Rapporto 2016 – è che gli spostamenti di popolazione all’interno dei confini italiani si configurano come una presenza strutturale in tutta la storia unitaria (eredità di un’abitudine alla mobilità con salde radici nei contesti preunitari). Ed è proprio in questo rapporto 2016 che i due curatori ribadiscono la volontà di scongiurare definitivamente la separazione che affligge le analisi quantitative da quelle qualitative. Tanto è vero che resta caratteristica fissa quella di partire da un’analisi dei dati statistici più recenti per presentare le tendenze in atto, l’ultima fotografia disponibile di una situazione per sua natura dinamica e in costante evoluzione.
In questo rapporto – nel saggio di taglio demografico, elaborato su dati relativi al 2014 da Corrado Bonifazi, Frank Heins, Francesca Licari ed Enrico Tucci – si evidenzia il dato, rilevantissimo, secondo cui gli stranieri restano gli individui più portati a spostarsi sul territorio nazionale (un fenomeno già anticipato da Enrico Pugliese nelle pagine de L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, Bologna, il Mulino, 2002). In questo caso quattro autori si concentrano sui sistemi locali del lavoro – particolarmente quelli di Milano e Roma – arrivando a modificare il concetto stesso di migrazione, «non più semplice cambiamento di residenza tra singoli comuni diversi ma relazione dinamica e viva tra bacini abitativi della forza lavoro» (p. xv). A rappresentare un’innovativa lettura dei dati quantitativi è anche il saggio che chiude il volume. È la traduzione italiana di un lavoro, già pubblicato, di Michel Poulain e Anne Herm dedicato ai registri di popolazione, strumento cruciale per lo studio degli spostamenti anagrafici e quindi degli indici di mobilità residenziale. Si tratta di un saggio di critica delle fonti, dedicato all’impostazione delle statistiche che, in larga parte, ancora occultano incroci fondamentali come potrebbero essere quelli tra indicatori anagrafici e diversi indici socioeconomici.
Ulteriori peculiarità di ordine metodologico del volume sono tanto la presenza di continui «giochi di scala» (p. xiv) quanto il richiamo a tutte le frontiere materiali e immateriali che pure attraversano un contesto nazionale ovvero diversi sistemi di «accesso al welfare o alla diversa gestione di provvedimenti amministrativi da parte degli enti locali, quali il diritto di residenza, ai processi di espulsione e di accoglienza verso determinati gruppi sociali, al complesso tema delle chiusure legate alla definizione di identità territoriali» (p. xiii). Resta la centralità del lavoro in un’accezione ampia. Il lavoro, quello che manca o quello a cui si ambisce, rappresenta il motore più potente (anche se non il solo) dei movimenti territoriali. Persino la mobilità degli studenti universitari di cui si occupa Roberto Impiacciatore – un argomento inconsueto rispetto ai Rapporti precedenti – è legata anche all’attrattiva del mercato del lavoro della zona in cui la sede universitaria prescelta è situata. Un altro elemento di novità è il modo diretto in cui la ricerca di Massimiliano Crisci affronta il caso di Roma, lungamente sottovalutato dagli studi sulle migrazioni interne. Crisci, partendo da valutazioni di tipo demografico, estende le sue valutazioni all’impatto sociale ed economico delle ingentissime migrazioni che hanno visto Roma come meta e lo fa in un’ottica di più lungo periodo per valutare le complesse relazioni tra i processi sociali recentissimi e quelli di più lunga durata. È anche uno sguardo dislocato a conferire al volume una capacità innovativa. Lontani dalla tentazione di vedere il Meridione come l’esclusivo scenario di alcuni fenomeni specifici, i curatori hanno affidato a Francesco Carchedi il compito di raccontare la mobilità interna stagionale dei braccianti stranieri nella bassa mantovana e nelle aree piemontesi di Saluzzo e Canelli, zone cardine di un’economia rurale su cui l’Italia ha puntato negli anni della crisi successiva al 2008. Al Settentrione è dedicato anche il saggio di Roberta C. Zanini – portatore di uno sguardo di tipo etnografico – che sviluppa i lavori seminali di Raul Merzario, Dionigi Albera e Paola Corti sulle migrazioni che animano l’arco alpino e si sofferma sulle motivazioni che spingono a un (forse inatteso e poco analizzato) ripopolamento della montagna. A completare la varietà degli spunti di ricerca, il saggio di Paola Corti interviene sull’Ecomuseo del litorale romano, pensato anche a partire da una vicenda di migrazione interna ovvero quella dei braccianti ravennati venuti nella zona di Ostia per la bonifica e offre la possibilità di sviluppare uno dei temi attualmente più urgenti: l’uso pubblico della storia e della storia delle migrazioni in particolare.
Alessandra Gissi