Organizzato e coordinato dall’Italian American Studies Association, in collaborazione con l’Università della Calabria e con il patrocinio del Fulbright Office di Roma, il symposium ha voluto fare il punto sul concetto di diaspora come categoria interpretativa per ricostruire le migrazioni italiane non solo verso gli Stati Uniti ma anche in altre nazioni come l’Australia. Oltre a occuparsi della dimensione storica, il convegno si è proposto di essere un luogo dove affrontare l’esodo italiano pure in letteratura, ben bilanciando i numerosi interventi di studiosi afferenti a discipline diverse. Lo sviluppo di una ricerca congiunta di storici e critici letterari è stata sostenuta con forza dai partecipanti all’assise, che ha contribuito ad attestare come l’Università della Calabria si collochi oggi tra i principali promotori degli Italian American studies in Italia.
La relazione introduttiva di Margherita Ganeri (Università della Calabria) si è incentrata sulla necessità di potenziare la collaborazione tra gli studiosi italoamericani e italiani e ha posto l’accento sull’importanza di un approccio interdisciplinare che comprenda la prospettiva storiografica e quella letteraria, auspicando anche una ricaduta pubblica delle ricerche sul modello della community-engaged scholarship. Sulla falsariga di quanto proposto da Ganeri, Mary Jo Bona (Stony Brook University) ha delineato alcune possibili linee guida per il futuro degli Italian American studies, tracciando un quadro delle materie a cui attingere e ribadendo l’importanza di integrare la letteratura e la storia delle migrazioni. Unendo a quest’ultima voce la propria, Anthony Julian Tamburri (City University of New York) ha approfondito la questione mostrando come sia difficile teorizzare e dare una definizione precisa di cosa siano gli Italian American studies che, al loro interno, raccolgono numerose discipline le quali, a suo avviso, dovrebbero cooperare.
Nella dimensione letteraria, una delle sessioni più apprezzate è stata quella dedicata a John Fante, animata da alcuni studiosi dell’Università di Siena (Carla Francellini, Enrico Mariani e Davide Battente), che nel complesso ha fornito una rilettura di alcuni romanzi dell’autore italoamericano, proponendo una nuova interpretazione di Fante in chiave anti-italiana. Di questo scrittore si è occupato anche Francesco Chianese (Freie Universität di Berlino) attraverso un’analisi del concetto di «casa» in Wait until Spring, Bandini (1938), mettendolo a confronto con la stessa nozione come è delineata in altre opere di narrativa quali In una casa un’altra casa trovo (2016) di Joseph Tusiani e La mia casa è dove sono (2010) di Igiaba Scego. Sul versante storico, invece, Luke Vitale (University of New South Wales) ha mostrato come negli anni trenta del Novecento vi sia stato un massiccio afflusso di italiani in Australia che suscitarono l’ostilità degli inglesi sebbene anche questi ultimi fossero a loro volta immigrati. Tale paradosso è stato ripreso da Daniella Trimboli (University of Melbourne), che ha indagato la diaspora degli italoaustraliani, partendo dalle sue prime manifestazioni fino ad arrivare alla problematica di definire il loro senso dell’appartenenza nel contesto degli ethnic studies. Sempre nel campo della ricostruzione storica, Clorinda Donato (California State University at Long Beach) e Elena Lombardo (Università della Calabria) hanno affrontato, la prima, il tema della sinergia tra italoamericani e latinos e la seconda l’Argentina come terra promessa che ha alimentato la speranza di una vita migliore di molti italiani. Inoltre, Alessandra Gissi (Università di Napoli L’Orientale), ampliando la prospettiva geografica rispetto a una storiografia che ha indagato soprattutto le destinazioni europee dell’esulato femminile antifascista, si è soffermata sugli itinerari di alcune ebree italiane che riuscirono a trasferirsi negli Stati Uniti, contribuendo alla migrazione intellettuale che si riversò in questo Paese in risposta alla legislazione antisemita varata dal regime di Mussolini nel 1938. Di tutt’altro tenore sono stati gli interventi di Alan Gravano (Rocky Mountain University) e Ryan Calabretta-Sajder (University of Arkansas) che hanno affrontato temi sociali e di identità di genere. Il primo, rifacendosi al film A Bronx Tale (1993) di Robert De Niro, ha mostrato come nella comunità italoamericana i valori della classe operaia venissero disprezzati da coloro che intraprendevano la via del crimine proprio per sfuggire a quella che ritenevano una vita mediocre. Il secondo, invece, ha trattato il tema del coming out nel mondo delle Little Italies, i cui membri tendono a considerare l’omosessualità una vergogna e una colpa e, conseguentemente, pure un comportamento sessuale da reprimere e da punire.
Le conclusioni del convegno, affidate a Tamburri, hanno richiamato l’importanza della diaspora per la ricostruzione dell’esperienza italiana negli Stati Uniti e in altri Paesi di destinazione. Hanno anche sottolineato come gli studiosi italiani abbiano fatto scarso ricorso a questo paradigma, a differenza del caso dei ricercatori che si sono formati nelle società di accoglienza dei migranti, in particolare, in America del Nord. In definitiva, il symposium, con le sue discussioni vivaci e grazie all’alto profilo internazionale dei partecipanti, ha messo in evidenza l’importanza di coltivare scambi e rapporti di collaborazione accademica tra l’Italia, gli Stati Uniti e le altre nazioni, come l’Australia, verso le quali si sono indirizzati i migranti italiani.