Lorenzo Luatti propone un’appassionante indagine fra storia e letteratura capace di offrire un’ampia panoramica della rappresentazione letteraria in Italia sul fenomeno dei minori migranti. Il volume esplora l’universo vastissimo di un genere narrativo longevo e di successo, che ha per protagonisti bambini italiani vittime della tratta, o espatriati «autonomamente» per svolgere i mestieri più umili: dai venditori girovaghi della metà dell’Ottocento, agli ambulanti che si riversarono nelle grandi città europee e americane negli anni dell’emigrazione di massa, fino ai piccoli lavoratori e mendicanti del nostro tempo. Soffermandosi soprattutto sul periodo tra la seconda metà del xix secolo e la Prima guerra mondiale, affrontato nei primi tre capitoli, l’autore individua le caratteristiche, gli stili, i leitmotiv di innumerevoli romanzi, racconti e testi destinati alle antologie scolastiche e si propone di determinarne simbologie e modelli di riferimento, alla ricerca di un fil rouge che consenta di cogliere la percezione coeva di una piaga sociale tanto a lungo presente nel nostro Paese. Giovanissimi vetrai, figurinai, spazzacamini, lustrascarpe sono al centro di una produzione letteraria abbondante e variegata – talvolta estremamente ripetitiva – che include testi di larga diffusione e grande fortuna (come il popolarissimo Racconto di un piccolo vetraio di Olimpia de Gaspari, uscito nel 1903 e letto nelle case e nelle scuole per i successivi cinquant’anni) e altri di ben minore impatto, tutti accomunati però da una vena precettistica, dal preciso intento di «educare contristando» (p. 177), nonché dall’obiettivo di enfatizzare, in un’ottica antiprogressista, la centralità della famiglia.
Le pubblicazioni in questione riprendono in larga parte i contenuti delle inchieste sullo sfruttamento minorile. Dall’analisi di Luatti emerge però come sia le letture pensate per gli adulti – capostipite delle quali è il celebre racconto sociale La tratta dei fanciulli di Giuseppe Guerzoni (1878) – sia quelle rivolte ai ragazzi si proponessero perlopiù di suscitare commozione tramite un sentimentalismo di maniera verso «l’infanzia abbandonata», mentre la funzione di «pubblica denuncia», che tale narrativa avrebbe in teoria potuto svolgere, «risultava debole e superficiale, semplicemente predicata» (p. 50). Quasi sempre, inoltre, queste opere promuovono un messaggio chiaramente anti-emigrazionista: le vicende, raccontate con dovizia di particolari tragici, si concludono con la morte del protagonista, o, dopo l’intervento di un adulto in soccorso del ragazzo, con il suo ritorno a casa e il ricongiungimento alla famiglia. Luatti nota il prevalere di cliché che mettono in cattiva luce la scelta dell’allontanamento dal paese d’origine e rimarca l’importanza dell’ordine sociale, del quale non sono rilevate né condannate le iniquità, in perfetta consonanza con la visione paternalistica e conservatrice propria della classe dirigente italiana in epoca postunitaria e liberale. In seguito alle varie vicissitudini e tribolazioni «il sistema rimane immutato, è il protagonista a cambiare. Questa narrativa ribadiva e accentuava il ruolo di guida assunto dalla classe dominante sui figli del popolo» (p. 116). In generale, l’autore riconosce solo a pochissimi scrittori, fra cui il napoletano Giuseppe Errico con il suo Piccoli esuli d’Italia (1903), il merito di aver collocato il problema della migrazione minorile all’interno della più ampia questione sociale.
Oltre alle considerazioni storico-politiche, diffusamente approfondite e argomentate, lo studio tratta anche aspetti più specificamente letterari e stilistici. Uno fra i più rilevanti è lo stretto legame con la tradizione fiabesca, a cui molte storie si avvicinano per lo schema narrativo e per la sostanziale assenza di coordinate geografico-temporali definite. Un’eccezione in tal senso è costituita dai libri di autori italoamericani, che tratteggiano con assai minor vaghezza l’ambiente di vita e di lavoro nel quale si muovono i personaggi e, data l’esperienza migratoria vissuta in prima persona da chi scrive, sovente propongono di essa un’immagine positiva, senza nasconderne le difficoltà ma sottolineando il successo cui, dopo molto lavoro e fatica, giunge il protagonista.
Negli anni del fascismo, sui quali si apre il quarto capitolo, le pubblicazioni sull’infanzia migrante «derelitta» registrano una netta contrazione, riflesso dell’ostilità del regime rispetto all’esodo verso l’estero e del suo rifiuto dei generi letterario-educativi ottocenteschi. Il periodo repubblicano vede tali tematiche tornare in auge e molti testi sono riproposti, quasi senza modifiche rispetto al passato. La temperie culturale è però cambiata e gli autori contemporanei abbandonano progressivamente i «toni lacrimevoli» per inserire elementi di attualità e critica sociale.
Infine, divenuta l’Italia un Paese d’immigrazione, e considerato il forte sviluppo della storiografia sull’emigrazione negli ultimi decenni, anche la letteratura rivolta ai giovani sembra assorbire le istanze odierne e rielabora le storie di ieri con una sensibilità nuova e con il lodevole scopo «della rielaborazione di una memoria storica» (p. 253).
Nel complesso, il lavoro di Luatti è di grande interesse, specie per la sua capacità di costruire un’analisi ben contestualizzata storicamente delle scelte autoriali ed editoriali e dei gusti del pubblico, evitando troppo facili semplificazioni, come si legge anche nell’esaustiva prefazione di Emilio Franzina. Data l’importanza delle immagini in testi rivolti principalmente a bambini e ragazzi, risulta davvero apprezzabile l’inserimento di alcune di esse all’interno della trattazione, oltre alle trentadue tavole illustrative con le riproduzioni di altrettanti frontespizi.
Francesca Puliga