Casita robada è un libro all’incrocio di generi e tematiche. I primi rinviano innanzitutto alla saga familiare, e poi alla no-fiction, alla testimonianza e all’autobiografia. Le seconde ci rimandano alla storia dell’emigrazione italiana in Argentina – le cui rotte si sono incrociate con lo sviluppo dell’industria vitivinicola nel paese sudamericano, in particolare del Malbec mendocino –, e a quella delle vicende legate all’ultima dittatura militare (1976-1983) con tutto ciò che ne è conseguito per coloro che, direttamente o indirettamente, ne hanno subito le repressioni (sequestro, desaparición, esilio, sradicamento).
Membro della quarta generazione della famiglia Cerutti, grandi produttori di vino nella zona di Mendoza, María Josefina ne ricostruisce in prima persona la storia a partire da ricordi personali e di alcuni parenti, interviste a famigliari e vicini, lettere, documenti e fotografie. Ne deriva un affresco che descrive la quotidianità dei Cerutti e la loro ascesa e successiva caduta economica, con un punto di vista in cui si percepiscono la nostalgia per un’epoca felice dell’infanzia e dell’adolescenza ormai terminata, ma anche la determinazione a voler contribuire, con un testo sulla memoria, a fissare il ricordo di eventi tragici legati alla dittatura, i quali, come in molti altri casi, coinvolgono discendenti di italiani.
La storia ruota intorno alla Casa Grande, la residenza della famiglia Cerutti a Chacras de Coria (oggi la periferia di Mendoza), comprata nel 1920 dal capostipite Emanuele (Manuel), arrivato in Argentina da Borgomanero (provincia di Novara) nel 1885 con il piroscafo Sirio, nave tristemente protagonista, nel 1906, di un famoso naufragio di fronte alle coste di Capo Palos, a Cartagena, durante una delle sue rotte transatlantiche verso il Brasile, l’Uruguay e l’Argentina. La casa è il fulcro da cui si dipanano le storie dei componenti della famiglia Cerutti. In questo senso, l’autrice riprende una tradizione tipica della letteratura latinoamericana che vede proprio nella casa l’asse centrale di testi noti anche al pubblico italiano, come, solo per citarne alcuni, La casa verde di Mario Vargas Llosa, La casa degli spiriti di Isabel Allende, Il libro dei ricordi di Ana María Shua e Memorie dell’amore, di Zélia Gattai, moglie di Jorge Amado, recentemente uscito in Italia. Come in queste opere, anche la Casa Grande di Casita robada assume un ruolo da protagonista che la rende «personaggio», così come «personaggi» sono i membri della famiglia. Fra questi: il bisnonno Manuel, asceso da contadino a imprenditore, proprietario nella zona di Mendoza di due aziende vinicole e di circa duecento ettari di vigneti; la nonna Josefina, esempio di matriarcato moderno, padrona di casa efficiente e autoritaria ma anche donna colta e a favore dell’istruzione femminile e del progresso; il nonno Victorio, impenitente donnaiolo e astemio, malgrado fosse produttore di vino; il figlio Horacio («Tati»), giocatore incallito e sua moglie Ingrid («Nani»), ex ballerina di origini danesi; Jorge Manuel («Coco», il padre di María Josefina), dedito all’alcol e per questo diventato violento, ma anche uomo capace di momenti di grande tenerezza.
Ancora in ottica letteraria, Casita robada si inserisce nella produzione argentina più recente dedicata alla tema della dittatura. Non a caso, come dichiara la stessa María Josefina in un’intervista, i romanzi di Félix Bruzzone o Mariana Eva Pérez, entrambi figli di desaparecidos, fanno parte delle sue letture e, forse, l’hanno ancor più spinta alla scrittura. E se pure Casita robada è un testo più vicino alla no-fiction e alla letteratura testimoniale che non alla finzione tout-court, comunque di tratta di un’opera che aggiunge un tassello alla riflessione sul periodo buio degli anni settanta in Argentina e che ci ricorda come tra gli oltre trentamila scomparsi non vi sono solo giovani oppositori al regime, militanti o meno.
Perché l’episodio ricordato nel sottotitolo del libro – «El secuestro, la desaparición y el saqueo milionario que el almirante Massera cometió contra la familia Cerutti» – è l’altro aspetto centrale di Casita robada. Cronologicamente, il sottotitolo ci rinvia al 12 gennaio 1977, quando un gruppo paramilitare («las bestias», come più volte li definisce l’autrice) entra nella tenuta dei Cerutti e sequestra il nonno Victorio e Omar Masera Picolini, suo genero. Condotti alla esma, lì verranno torturati e Victorio sarà costretto a firmare l’atto di cessione della casa e dei vigneti alla società Will-Ri, dietro la quale si nascondono Federico Williams, nome falso di Francis William Whamond e Héctor Ríos, ovvero Jorge Rádice, entrambi torturatori alla esma. In realtà, la Will-Ri era una delle tante società fantasma create dall’ammiraglio Emilio Massera, e il sequestro dei Cerutti per appropriarsi di proprietà mendocine non è l’unico in quegli anni, come poi si scoprirà.
Victorio e Omar andranno ad allungare la lista dei desaparecidos e la famiglia, persa la Casa Grande, ormai la Casita robada del titolo (dal nome del gioco di carte «rubamazzo» a cui María Josefina giocava con la nonna), si disperde nel mondo. Alcuni, come l’autrice (per diversi anni trasferitasi in Italia), rientreranno in Argentina; altri continuano le loro vite all’estero. Nel frattempo, María Josefina e due sue cugine hanno prestato testimonianza nel processo relativo ai soprusi della esma e per la Casa Grande, dopo essere stata dichiarata nel 1998 Patrimonio Histórico de la Provincia de Mendoza, si prospetta un futuro come Archivio Nazionale della Memoria.
Camilla Cattarulla