Proseguendo un prolifico filone che negli ultimi dieci anni ha prodotto numerosi studi (cfr., ad esempio, Frank W. Alduino e David J. Coles, Sons of Garibaldi in Blue and Grey. Italians in the American Civil War, Youngstown, ny, Cambria Press, 2007; Franco Rebagliati e Furio Cicliot, Garibaldi Guard, Garibaldi Legion. Volontari italiani nella Guerra civile americana, Savona, Marco Sabatelli, 2008), Paolo Poponessi dedica il suo ultimo lavoro alle vicende degli italiani, o dei loro discendenti, che combatterono su entrambi i fronti nella Guerra civile americana. In particolare il libro, seppur non esclusivamente, si concentra su coloro che difesero la bandiera della Confederazione, maggiormente trascurati dalla storiografia.
Il volume, di dimensioni contenute, si articola in dodici capitoli brevi, con un taglio più divulgativo che storiografico. Tenendo presente questo approccio, l’autore, correttamente, dedica la parte iniziale del testo a ripercorrere i principali eventi e concetti storiografici legati alle vicende belliche, spiegando come il conflitto fosse dovuto a un insieme di fattori tra i quali la schiavitù che, al contrario di ciò che molti ancora pensano, non fu l’unica causa, ma piuttosto il casus belli.
In seguito Poponessi, per inquadrare maggiormente il contesto storico, analizza il fenomeno della migrazione italiana negli Stati Uniti dalle origini, nel periodo dei primi insediamenti europei, fino alle soglie della grande diaspora di fine Ottocento, che vide la partenza di centinaia di migliaia di italiani alla volta dei porti di New York, Boston e Filadelfia. Apprezzabile risulta lo sforzo dell’autore di spiegare come non sia mai esistita un’emigrazione tout court di italiani in America settentrionale, ma come questa abbia vissuto, sia in termini di quantità che di tipologia del migrante, fasi ben distinte tra di loro. Per circa tre secoli gli italiani che andarono nell’America del Nord fecero parte di una nicchia poco numerosa, una elite con elevate competenze artistiche, militari, politiche o artigianali, che veniva generalmente molto apprezzata dall’establishment statunitense. A questa tipologia appartenevano anche i personaggi presi in esame negli anni della Guerra civile.
Dopo aver dedicato solo poche pagine agli italiani che combatterono per l’Unione, Poponessi arriva al cuore del libro con uno studio, principalmente prosopografico, di un consistente numero di combattenti che militarono nelle armate confederate. Questa parte della ricerca mette in risalto la notevole integrazione di tali italiani nella società del Sud, oltre che la loro mobilità in tutto il territorio della Confederazione. In particolare, nella popolosa comunità italoamericana di New Orleans furono reclutati gran parte degli effettivi della Garibaldi Legion. Sebbene operasse essenzialmente come milizia territoriale e si fosse distinta soprattutto per prevenire saccheggi al momento della caduta di New Orleans nelle mani delle forze dell’Unione, questo battaglione, comandato dal capitano Giuseppe Santini, cercò di emulare le gesta della molto più celebre Garibaldi Guard, che era stata integrata invece nell’esercito nordista. Altri italiani, come Antonio Righello, Enrico Passalacqua e Alessandro Paoli, si arruolarono nel 10° reggimento di fanteria della Louisiana, un’unità multietnica dell’esercito confederato, meglio nota come la «Legione Straniera di Lee», dal nome del comandante in capo dell’esercito sudista Robert Lee.
Pochi confederati di ascendenza italiana riuscirono ad ascendere nella gerarchia militare. Uno degli sporadici casi in tal senso fu quello di William Booth Taliaferro, discendente di una famiglia di italiani trasferitisi in Virginia nel Seicento, assurto al grado di generale di brigata. Un’altra promozione, a generale maggiore, fu notificata a Taliaferro quando oramai l’Unione era a un passo dalla vittoria.
Lo studio pone in risalto l’eterogeneità del contingente di immigrati italiani nelle file del Sud. Alcuni erano uomini specializzati in una qualche attività manifatturiera, o anche intellettuali, che si arruolarono per cercare di guadagnare il più possibile e poi, spesso, lasciare il Paese. Fu il caso del pasticcere Silvestro Festorazzi, arrivato ai gradi di capitano nel 21° fanteria dell’Alabama, o anche del cappellano militare Giuseppe Bixio, parente del celebre Nino, che riuscì nell’impresa di curare le anime di entrambe le fazioni in conflitto e proprio per un tentativo di passaggio dalla Confederazione all’Unione rischiò una condanna a morte. Altri combattenti erano cittadini statunitensi a pieno titolo, ma di ascendenza italiana che, pur conservando la conoscenza della lingua dei loro antenati, si sentivano assai più americani che italiani. Tra questi figuravano l’avvocato texano Decimus et Ultimus Barziza, i fratelli Dave e John Rietti, nativi del New Jersey ma trasferitisi nel Sud, nonché Frank J. Arrighi, imprenditore di successo del Mississippi con sangue lucchese nelle vene e capitano del 16° fanteria di questo Stato.
Nella parte finale del volume, con una svolta politico-diplomatica, Poponessi prende in esame i rapporti tra la Confederazione e le entità politiche della Penisola, cioè il neocostituito Regno d’Italia e lo Stato della Chiesa.
Nel complesso Dixie è un volumetto di lettura piacevole, che non innova in modo rilevante il genere né per le fonti utilizzate né per l’oggetto dell’indagine, ma ha, comunque, il merito di gettare luce su storie e personaggi interessanti e ignoti ai più.
Luca Coniglio