Il Veneto che vide i primi flussi emigratori verso il Brasile nel xix secolo, e vi offri un contributo massiccio, era molto diverso da quello odierno ma anche, forse, da quello che ospitò una delle prime rievocazioni di quell’esodo a cent’anni del suo inizio. La mostra che lo riguardava si tenne, tra il settembre e il novembre del 1976, mentre cominciava a profilarsi una nuova stagione di studi in materia. È una coincidenza meritevole d’essere ricordata oggi quando, con un titolo quasi identico a quello di allora, l’Accademia Olimpica, patrocinatrice dell’iniziativa del 1976, ha promosso di nuovo a Vicenza, con un’appendice a Marostica, un convegno dedicato non solo ai veneti in Brasile ma anche alla storia delle migrazioni internazionali. A tenere a battesimo la mostra del 1976 erano stati politici di un altro tempo, come Mariano Rumor. Era stato, però, grazie all’apporto di alcuni storici veneti che l’iniziativa era riuscita all’altezza di quanto era già stato fatto, poco prima, in Brasile, a Caxias do Sul, per celebrare, visto dall’altra parte dell’oceano, il medesimo anniversario. Ne scaturì anche un libro fotografico (I veneti in Brasile. Nel centenario dell’emigrazione (1876-1976), a cura di Mario Sabbatini e Emilio Franzina, Vicenza, Edizioni dell’Accademia Olimpica, 1976), introdotto da Mario Sabbatini con un saggio su origini e caratteristiche della prima immigrazione agricola nel sud del Brasile, destinato a mantenere a lungo notevole importanza. Messo a confronto con lo scenario di un secolo prima, di quale Veneto (e di quale Italia) convenga parlare ai giorni nostri è stato un po’ il filo conduttore dei lavori svoltisi a Vicenza per chiarire quanto incisero sul destino di entrambi le migrazioni di ieri e per riflettere su quanto siano oggi tornate a contare l’emigrazione e soprattutto l’immigrazione.
L’emigrazione all’estero dei secoli xix e xx, vista dai luoghi in cui si determinò, ancorché non per la prima volta, ha sempre giocato un ruolo determinante per lo sviluppo, ma se considerata come un fenomeno di massa potrebbe ancora rappresentare una risorsa e un osservatorio privilegiato di tanti mutamenti ora in atto. Nel convegno vicentino, che si è avvalso dell’apporto di esperti italiani e brasiliani, ad aprire i lavori su questa esatta falsariga sono stati Emilio Franzina, con un profilo dei rapporti emigratori fra Italia, Veneto e Brasile dal 1876 in avanti, e Paola Corti. Quest’ultima, nel tracciare un bilancio storiografico nazionale e internazionale degli studi, ha posto in rilievo l’impulso dato dalle analisi imperniate sui casi regionali. Sono seguiti i contributi, a Vicenza, di vari autori: da Casimira Grandi (sulla memoria sociale delle donne venete in Brasile) ad Angelo Trento (di cui è stata letta una bella relazione sugli italiani di San Paolo, la stampa e il tempo libero). A Marostica, invece, si sono avvicendati a parlare di veneti e di altri italiani soprattutto nel Rio Grande do Sul e a San Paolo fra Otto e Novecento, Andrea Zannini, Gianpaolo Romanato e tre storici brasiliani di origine veneta (Luis Fernando Beneduzi, Catia Dal Molin e Maria Catarina Chitolina Zanini). A loro è stato assegnato il compito di affrontare anche le vicende dei primi italo-discendenti tra fascismo e interdizioni dell’Estado Novo dal 1937 al 1942.
Si sono susseguiti così interventi assai originali di storia orale o di uso delle memorie e delle post-memorie familiari (come hanno fatto Alessandro Casellato, ruotando attorno a esperienze didattiche compiute all’Università di Venezia e, intrattenendosi sulla figura di un proprio illustre familiare, il pittore Candido Portinari, sua nipote Stefania, giovane storica dell’arte a Ca’ Foscari) e proiezioni di docufilm, come quello realizzato vicino a Caxias do Sul da Giovanni Luigi Fontana e Vania Heredia, con il commento di Gianantonio Stella. Il video si è occupato dei discendenti degli operai tessili di Schio, stabilitisi là alla fine del xix secolo e protagonisti, da quindici anni in qua, a Galopolis, d’una rinascita «manifatturiera» fuori dell’ordinario. Infine Franzina, accompagnato dal gruppo musicale degli Hotel Rif, ha tenuto una «lezione di storia cantata» su Esuli, profughi, rifugiati e (in una parola) migranti.
I lavori sono stati un’occasione in più per riflettere su molti problemi del nostro presente, «sfruttando» cent’anni di esperienze fatte dai veneti in Brasile ed esaminate dai diversi punti di vista della storia sociale, culturale ed economica. Il tema è stato affrontato, in chiave più attualizzante, da una tavola rotonda inaugurale su Migranti, immigrati e processi d’integrazione tra storia e attualità, con quattro esperti come l’ambasciatore Adriano Benedetti, il vescovo Agostino Marchetto, già segretario del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, il filosofo della scienza Telmo Pievani e l’editorialista di Repubblica Ilvo Diamanti. Pure dai loro rilievi sono riemerse le ragioni profonde di un interessamento per le dinamiche emigratorie del passato che gli storici devono continuare a mantenere vivo, pur nella acclarata indifferenza delle classi di governo e della stessa opinione pubblica.
Tutto il convegno, d’altronde, ha puntato a farlo, descrivendo e commentando alcune delle parabole di quasi mezzo milione di veneti espatriati fra il 1876 e la vigilia della grande guerra nel sud del Brasile e in altri Stati. Tra le esperienze culturali, associative e politiche che essi fecero, fermo restando che la maggior parte rimase per sempre in America (mentre almeno un terzo rimpatriò), sulla scorta delle relazioni si può dire che siano rintracciabili le prove di una difficile, ma infine riuscita convivenza ovvero della possibilità che, a certe condizioni, fu data agli immigrati di conseguirla. L’integrazione vi fu, ma venne pagata a caro prezzo, come dimostra la storia dei figli e dei nipoti dei primi immigrati sulla quale si sono soffermati, pour cause, tutti gli storici brasiliani intervenuti. Essi hanno parlato infatti tanto dei veneti quanto e ancor più dei veneto-discendenti a contatto con i fascismi degli anni trenta, in un clima di acceso nazionalismo e alle prese con le discriminazioni imposte dal Brasile di Getulio Vargas. Ne derivarono danni, fra cui la proibizione dell’uso delle parlate nazionali o dialettali e la cancellazione dei nomi etnici di quasi tutte le località fondate a maggioranza dai veneti (come successe anche a quelle costituite dai tedeschi). Fece eccezione la città gaúcha di Garibaldi, che mantenne la sua denominazione originaria in onore della rivoluzione federalista e autonomista dei «farrapos» alla quale il Generale nizzardo aveva fornito il proprio braccio fra il 1837 e il 1840. Garibaldi ignorava che proprio lì, quasi quarant'anni dopo, avrebbero cominciato ad arrivare le avanguardie contadine di una emigrazione di massa che tra il 1876 e il 1914 condusse quasi mezzo milione di veneti in un Brasile passato dalla monarchia alla repubblica, dopo l'abolizione della schiavitù, nel 1889. Da là, ancor oggi, ritornano talvolta in Italia alcuni loro discendenti, magari per motivi di lavoro. I più famosi rimangono i calciatori come, per citare solo i più recenti dopo Josè Altafini (la cui famiglia era di Giacciano con Barucchella nel cuore del Polesine), Jorginho, nome di battaglia di Jorge Luis Frello, che ha il passaporto italiano grazie a un trisnonno di Lusiana sull’Altipiano di Asiago, ed Eder, santacatarinense di nascita, ma col bisnonno, Battista Righetto, nato alle Nove di Bassano, naturalmente sul finire dell’Ottocento.