Promossa dalla Fondazione Migrantes, questa collettanea si inserisce nel ricco filone di ricerca sulla mobilità italiana contemporanea (si veda, ad esempio, Maddalena Tirabassi e Alvise Del Pra’, La meglio Italia. Le mobilità italiane nel xxi secolo, Torino, Accademia University Press, 2014, oppure, tra le opere a carattere divulgativo, Claudia Cucchiarato, Vivo Altrove. Giovani e senza radici: gli emigrati italiani di oggi, Milano, Bruno Mondadori, 2010). Grazie a una base statistica solida su cui poggiarsi e all’attenta analisi di un centinaio di testimonianze raccolte sul campo, Giovani italiani in Australia esamina a fondo dinamiche e tendenze del segmento più dinamico e mobile dell’emigrazione italiana down under. Corredato dal video-reportage 88 giorni nelle farm australiane, per la regia di Matteo Maffesanti, il libro si offre inoltre come «strumento di colloquio» e punto d’osservazione permanente sui sempre più numerosi «viaggi» verso l’Australia (pp. xii-xiv).
Buona parte del volume è dedicata all’analisi della presenza di giovani italiani in Australia in possesso di visti di durata temporanea, dal popolare visto vacanza-lavoro a quello per ragioni di studio, fino ad arrivare al visto per lavoro qualificato (meglio noto come «457»). Il visto vacanza-lavoro, concesso in regime di accordo bilaterale a partire dal 2004, è statisticamente il più richiesto, se paragonato alle altre tipologie di visto temporaneo, visti turistici compresi, ed è responsabile per quasi la metà di tutti gli arrivi temporanei d’italiani in Australia nel 2015. Questa permesso di soggiorno e di lavoro ha consentito agli ingressi dall’Italia di quadruplicare tra il biennio 2007-2008 e quello 2013-2014. In particolare, nel 2014 si è registrato il picco massimo degli working holiday makers italiani con oltre 16.000 presenze. Di durata iniziale di un anno, questo visto è rinnovabile per un ulteriore anno, previa un’esperienza di lavoro di almeno tre mesi in zone rurali del Paese e in settori occupazionali ben definiti. L’anno (o due) trascorso in Australia dalla cosiddetta generazione vacanza-lavoro è vissuto come un viaggio di maturazione e crescita, come più volte sottolineato dalle interviste.
All’esperienza «di vita» dei giovani italiani nelle aziende agricole australiane è dedicato uno dei capitoli del volume. L’analisi delle numerose testimonianze raccolte non rivela solamente le motivazioni della partenza dall’Italia, i benefici ottenuti dall’esperienza nelle campagne australiane e la (ri)scoperta di valori (dal credere in se stessi, allo spirito d’adattamento, al sacrificio, al rispetto), ma mette anche in luce il forte legame tra valori e propensione all’emigrazione. Il libro non manca poi di affrontare altri temi collegati alla presenza dei giovani italiani in Australia. Si tratta di aspetti che la letteratura dell’emigrazione non ha ancora approfondito, tra cui il numero in aumento degli italiani in possesso di un visto per motivi di studio e di lavoro, il fenomeno dello sfruttamento e del lavoro «nero», soprattutto nel settore alberghiero e della ristorazione, il fenomeno dei visti «ponte» e il ruolo della Nuova Zelanda come l’altra meta agli antipodi dell’Italia per la «generazione vacanza-lavoro». Il libro offre quindi nuovi spunti di riflessione per un fenomeno antico, innestandosi nella sempre più nutrita letteratura sul tema dei giovani italiani all’estero, come osservato di recente da Matteo Sanfilippo (Nuovi problemi di storia delle migrazioni italiane, Viterbo, Sette Città, 2015, pp. 23-24).
La tesi di fondo che i due curatori cercano di dimostrare è quella che i visti di durata temporanea sono in realtà da intendersi, sempre più, come passaggi intermedi necessari per una scelta migratoria definitiva. I dati statistici degli ultimi dieci anni testimoniano, in effetti, un tasso di conversione da una presenza temporanea a una definitiva in decisa crescita tra i giovani italiani. Rimane, però, meno convincente il richiamo dei curatori a una possibile nuova emigrazione di massa dall’Italia. L’istantanea sulle cifre relative alle concessioni della residenza permanente, alle naturalizzazione di cittadini italiani in Australia e alle inscrizioni all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (aire) porta, per ora, a collocare il notevole flusso di giovani italiani (oltre 24.000 solo nel biennio 2014-2015) nell’alveo della mobilità transnazionale, più che nell’ambito di un’effettiva ripresa dell’importante flusso migratorio del passato, che raggiunse il suo culmine storico tra gli anni cinquanta e sessanta del Novecento.
Giovani italiani in Australia ha senza dubbio il merito di fare il punto della situazione sulla mobilità e sui flussi migratori italiani nel Nuovissimo Continente ai tempi della globalizzazione. Ha anche il pregio di aver tracciato nuovi percorsi di ricerca. Per esempio, sarebbe necessario uno studio dettagliato sugli arrivi degli italiani in possesso del visto vacanza-lavoro nel periodo precedente all’accordo, soprattutto dagli anni novanta ai primi anni duemila, quando circa il 10 per cento dei visti di questo tipo era concesso a chi proveniva da paesi che non avevano sottoscritto intese con l’Australia, Italia inclusa. Potrebbe poi offrire riflessioni ulteriori uno studio longitudinale sulle traiettorie d’emigrazione e di vita della «generazione vacanza-lavoro» e di coloro in possesso di visti temporanei. Un’indagine di questo tipo permetterebbe di valutare meglio gli effetti della mobilità transnazionale.
Va infine menzionato il proposito del volume di informare, ma al tempo stesso anche di sensibilizzare, le coscienze e le classi dirigenti su un tema, quello della mobilità contemporanea dei giovani italiani in Australia, ancora poco studiato.
Simone Battiston
(Swinburne University of Technology)