L’interazione tra le diverse etnie negli Stati Uniti rappresenta un vasto campo di ricerca, che solo relativamente di recente ha cominciato a essere approfondito in modo sistematico. Spesso, però, come ha notato Ferdinando Fasce, la conflittualità tra gruppi diversi – che pure è un elemento di rilievo – ha finito per esserne l’aspetto maggiormente enfatizzato («Gente di mezzo. Gli italiani e gli altri», in Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi e Emilio Franzina [a cura di], Storia dell’emigrazione italiana. Arrivi, Roma, Donzelli, 2002]). Risultano, quindi, preziosi i contributi che privilegiano un approccio più ampio, volto a indagare l’insieme dei rapporti interetnici e le loro trasformazioni nel tempo, valorizzando la complessità del tema.
La monografia di Eddy Menichelli si inserisce in questo filone di studi, proponendosi di ricostruire la vicenda della conquista dei diritti civili e politici da parte degli afroamericani, con particolare attenzione alla prima metà degli anni sessanta, attraverso la prospettiva offerta dal quotidiano newyorkese «Il Progresso Italo-Americano», il più autorevole periodico della minoranza etnica italiana. Tramite una disamina delle pagine del giornale, l’autore tenta non solo di mettere in luce la posizione dei cittadini statunitensi di ascendenza italiana nei confronti delle rivendicazioni dei neri, ma anche di inquadrare quale fosse la percezione che la comunità italoamericana aveva maturato di se stessa rispetto all’appartenenza razziale. La «linea della razza» è considerata dagli studiosi una categoria interpretativa fondamentale per comprendere le dinamiche della società d’oltre Atlantico e gli italiani, ritenuti una «razza intermedia» in ragione della pigmentazione della loro pelle e del loro stile di vita, furono sia soggetto sia oggetto di razzismo nel Nuovo Mondo.
Menichelli rileva anzitutto come la storiografia abbia a lungo opposto due linee interpretative apparentemente inconciliabili: da un lato, l’integrazione degli immigrati «caucasici» sarebbe stata in sostanza rapida e priva di grossi ostacoli; dall’altro, invece, il razzismo dell’establishment wasp sarebbe stato rivolto a tutti i membri delle comunità non anglosassoni, finendo per influenzare la forma mentis dei cittadini italoamericani, al punto da indurli ad assumere essi stessi comportamenti razzisti e discriminatori per favorire la propria integrazione. Dallo studio, emerge come proprio l’incerta collocazione degli emigrati italiani nella gerarchia razziale del Paese d’adozione abbia favorito l’ambiguità e la discontinuità del loro atteggiamento verso gli afroamericani, dimostratosi sensibilmente mutevole a seconda del momento storico e del relativo contesto economico-sociale.
Al fine di introdurre l’oggetto principale della sua ricerca, l’autore dedica il primo e il secondo capitolo del volume rispettivamente a un rapido excursus sull’immigrazione italiana e a una sintetica storia dell’esperienza della popolazione di origine africana negli Stati Uniti, abbracciando un lungo lasso temporale, dall’arrivo dei primi schiavi all’inizio del Seicento fino alla promulgazione dell’executive order 11246, con cui nel 1965 il presidente Lyndon B. Johnson volle accelerare l’integrazione delle minoranze di colore con facilitazioni nell’accesso all’impiego pubblico e alle università per compensare le discriminazioni subite in passato. Menichelli si sofferma poi sui rapporti tra italoamericani e neri, evidenziando in particolare l’impatto che su di essi ebbero gli anni delle guerre mondiali. Infatti, favorendo lo spostamento verso Nord di molti afroamericani residenti negli stati del Sud, la crescita dell’industria bellica, dove trovarono impiego, finì per metterli in competizione con le comunità immigrate di ascendenza europea che costituivano la gran parte della forza lavoro operaia. Questo portò a un deterioramento delle relazioni tra i due gruppi etnici, che, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, specie nelle regioni meridionali, erano state perlopiù improntate a un’interazione pacifica e solidale.
Alla parte più originale della ricerca è dedicato l’ultimo capitolo, in cui l’autore procede allo spoglio di vari numeri de «Il Progresso Italo-Americano», prendendo in esame oltre novanta editoriali pubblicati tra il maggio 1961 e il settembre 1965 e dedicati agli episodi più significativi delle campagne degli afroamericani per i diritti civili e politici. La scelta di assumere come «osservatorio privilegiato» il quotidiano in lingua italiana risulta interessante e inedita. Tuttavia, l’indagine di Menichelli si limita quasi sempre a una riproposizione del contenuto degli articoli, mentre sarebbe stato preferibile se avesse offerto un’interpretazione critica della fonte, magari corredata da maggiori dettagli circa l’editore, i giornalisti e il bacino di lettori cui la testata si rivolgeva. Cionondimeno, le informazioni che se ne possono trarre consentono di cogliere con sufficiente chiarezza la posizione del giornale e soprattutto di percepirne l’evoluzione col procedere della lotta dei neri. Verso quest’ultima il quotidiano mostrò dapprima una manifesta solidarietà. In seguito questa empatia s’intiepidì, fino a raffreddarsi del tutto, quando alcune frange della comunità afroamericana si radicalizzarono e si resero protagoniste di violenze e tumulti. Giudicando queste iniziative preoccupanti minacce all’ordine costituito, il quotidiano scelse di condannarle con decisione, avvalorando così la teoria storiografica secondo cui una significativa parte della comunità italoamericana assimilò i valori della whiteness, compresi i pregiudizi verso i neri.
Francesca Puliga