Max Cavallari,classe 1989, è un fotografo laureato in comunicazione e giornalismo all’università di Bologna. Collabora con l’agenzia Nurphoto de L’Aquila. Realizza progetti di fotogiornalismo e si occupa anche di comunicazione pubblicitaria per aziende. Le sue foto sono state pubblicate su testate come il «The Times», «The Guardian», «Il Corriere della Sera», «la Repubblica» e Vogue Italia.
Il progetto fotografico (Di)Stanze si prefigge di raccontare le storie – di giovani e non solo – che hanno scelto di lasciare l’Italia in cerca di lavoro e di una condizione migliore rispetto a quella che il loro paese gli offre. L’ottica con cui Cavallari ritrae le nuove mobilità è molto particolare: effettua scatti in cui mostra le famiglie rimaste in Italia con i device di cui si servono per comunicare con gli expat/glomigrants (http://www.maxcavallariph.com/distanze).
Come nasce il progetto?
Nasce dall’idea di dare il mio contributo per raccontare questo fenomeno che in un modo o nell’altro ha caratterizzato la mia generazione e quelle a me vicine. La metà dei miei amici ora sono sparsi per il mondo: Cina, Australia, America, Inghilterra…
A scrivere sono un cane, a far foto un po’ meno… così ho deciso di provare a raccontarlo con il mio mezzo.
Io non sono partito per scelta, ma comunque ho voluto raccontare questo fenomeno. Ho viaggiato, certo, ma ancora troppo poco per quello che ho progettato di vedere.
Inoltre avevo bisogno di mettermi alla prova con un nuovo progetto, più complesso e articolato di quello precedente. Così mi sono buttato in questa nuova esperienza. So che il prossimo progetto sarà ancora più complesso di questo.
Potresti spiegarci meglio il titolo (Di)Stanze?
(Di)Stanze non è frutto della mia testa, ma di un brainstorming notturno via whatsapp con un’amica che non ringrazierò mai abbastanza (Grazie Marinonz)
È molto semplice, il tema del progetto tratta la divisione di un nucleo famigliare nella quale uno o più membri hanno lasciato la casa e il paese dove sono nati per muoversi verso l’estero. La tecnologia in qualche modo fa da collante mediatico. Io ho semplicemente ritratto i soggetti nei luoghi (nelle stanze) dove la famiglia si riunisce, le distanze si accorciano, si torna a essere un unico nucleo. Da qui (Di)Stanze
Immagine 1. Laura e Valter (Modena) con la figlia Elena (Düsseldorf).
Photocredits: Courtesy of Max Cavallari
Quali sono stati i criteri per la scelta dei soggetti da fotografare e come sono stati contattati?
La ricerca è stata la cosa più eccitante del progetto, almeno dal punto di vista personale, non avendo mai fatto un progetto che prevedesse una mole di lavoro così imponente, ogni passo quindi è stato un movimento nella nebbia.
Tutto è cominciato con una decina di scatti, realizzati ad amici e conoscenti e alle loro famiglie. Una volta che ho avuto il materiale necessario per presentare la mia idea, ho lanciato il progetto su internet con un piccolo sito che permetteva agli interessati di iscriversi. attraverso i social network si è diffuso a macchia d’olio e le iscrizioni sono arrivate numerose… tant’è che ne arrivano ancora nonostante il viaggio sia terminato.
La cosa che più mi interessò all’inizio, era capire se quest’idea avrebbe attecchito sui diretti interessati, gli italiani all’estero appunto. Se (Di)Stanze non avesse interessato nemmeno coloro che sarebbero stati direttamente coinvolti allora tanto valeva non iniziare nemmeno. Invece il riscontro è stato estremamente positivo.
Una volta ricevute le iscrizioni ho fatto una piccola scrematura in base alle regioni di provenienza delle famiglie. Un tema che mi premeva affrontare era anche quello di coinvolgere tutti i ceti sociali in quanto gli italiani che partono per l’estero non sono (più) solo neolaureati o ragazzi con copertura finanziaria da parte dei genitori. Spesso provengono da ceti sociali medio/bassi e molte volte non sono nemmeno giovani!
Una volta raccolte le cinquanta famiglie selezionate per rappresentare il fenomeno degli italiani all’estero ho organizzato il mio viaggio. Da Nord a Sud scendendo dalla costa tirrenica, girando la Sicilia e risalendo dalla costa adriatica. Un viaggio in solitaria on the road di un mese girando tutte le regioni italiane. È stata un’esperienza unica.
Dai volti delle persone ritratte traspare un misto di nostalgia e compiacimento. Quali sono stati sentimenti ricorrenti che hanno espresso? È forte il desiderio che i loro cari tornino in Italia o si sono rassegnati alla distanza?
I sentimenti sono stati i più svariati. Certo, la nostalgia predominava in tutte le situazioni che andavo a fotografare. In Italia il concetto di famiglia è ancora difficile da scindere e non ho ancora capito se questo sia un bene o un male…
Diciamo che sotto il velo della malinconia ho potuto notare anche orgoglio, fierezza, ammirazione, ma anche preoccupazione, risentimento e consapevolezza.
Ognuno ha avuto una storia diversa da raccontarmi, alcune straordinarie!
L’elemento tecnologico – l’utilizzo di device elettronici per comunicare efficacemente, a basso costo e a ogni ora – è un elemento centrale del tuo progetto. che rapporto hanno con il mezzo (tablet, pc, cellulare) i soggetti delle tue foto? Ritieni che abbiano un ruolo fondamentale per mantenere legami emotivi e sentimentali? Hai incontrato qualcuno che ha sperimentato la distanza dovuta all’emigrazione prima dell’avvento di queste tecnologie.
La tecnologia ha un ruolo fondamentale in questo progetto, fa da ponte per accorciare la distanza fisica dei soggetti ritratti, mantiene vivi i rapporti.
Diciamo che ogni generazione ha la sua tecnologia e quelle precedenti devono comunque adattarsi alle nuove per stare al passo, a volte riscontrando non poche difficoltà. Quindi troviamo i parenti di coloro che sono partiti alle prese per la prima volta con Skype o FaceTime per riuscire a sentire e vedere il familiare lontano.
Il cellulare rimane lo strumento maggiormente utilizzato.
Poi ovviamente ci sono le dovute eccezioni, come la nonna novantenne di un ragazzo toscano che con l’IPhone chiama su Skype il nipote a qualsiasi ora del giorno.
Tra i glomigrant italiani oggi si annoverano anche le seconde generazioni di immigrati in Italia, non sappiamo se in questo caso la decisione di partire sia dovuta a uno scarso inserimento nel tessuto sociale del nuovo paese, il frutto della maggior facilità di mobilità consentita dalla cittadinanza italiana o semplicemente un desiderio di ricerca di migliori opportunità. Alla fine della tua rassegna mostri ritratte due famiglia di immigrati dall’Africa (Capoverde e Ghana ) residenti in Italia che hanno a loro volta figli all’estero, hai notato differenze rispetto alla percezione della distanza, la nostalgia dei propri cari e i progetti di vita futuri (prospettive migratorie, di ritorno, ricongiungimenti e così via)?
Assolutamente no, le motivazioni sono esattamente le stesse, così come le percezioni di distanza. L’inserimento degli italiani di seconda generazione era un tema fondamentale del progetto. Mi riprometto di integrarlo in un prossimo futuro con altre immagini.
Ci tengo a precisare che queste famiglie, oltre a essere residenti in Italia, sono composte da cittadini italiani a tutti gli effetti. Mi è sembrato quindi essenziale inserirli nel progetto e affrontare questo fenomeno ancora poco conosciuto.
Come vedi il mestiere del fotografo all’estero rispetto all’Italia?
Dipende molto da che fotografia si decide di intraprendere, progetti come (Di)Stanze si pongono gli stessi limiti che l’autore decide di fissare già dall’inizio. Ad esempio questo progetto tratta il tema degli italiani all’estero, quindi è più rivolto a un pubblico italiano e automaticamente il mercato di acquisto sarà rivolto principalmente alla nostra nazione. Altri progetti possono avere un eco più interazionale e quindi mirare a un mercato più ampio. Essendo il mio primo progetto non ho voluto fare il passo più lungo della gamba.
Pensi di poterti trasferire all’estero in futuro?
Assolutamente sì, l’idea di trasferirmi è sempre presente, insieme però alla convinzione di partire una volta che si presenteranno le occasioni per farlo.
Partire e ricominciare da zero non fa parte dei miei programmi attuali, ma sicuramente un’esperienza di lungo periodo all’estero ci sarà.
Immagine 2. Lourdes originaria di Capoverde (Roma) con la figlia Alessandra (Lisbona).
Photocredits: Courtesy of Max Cavallari