Questo volume si segnala per diverse ragioni. In primo luogo, a differenza di testi che si avvalgono di un’iconografia ripetitiva e di scarso valore, riproduce un ricchissimo materiale (circa 500 illustrazioni a colori), in gran parte inedito o poco conosciuto, conservato dalla Library of Congress. Ma il libro non è solo una storia illustrata dell’esperienza italoamericana da Colombo fino a oggi. È anche un’indagine sull’identità etnica e sull’immaginario, a partire dalle due premesse dei curatori, che raccontano il loro «trovare l’America» dalle due sponde dell’oceano e da due punti di vista diversi e complementari: Linda Barrett Osborne, senior writer alla Library of Congress, rinviene le sue lontane radici italiane, la cui storia americana inizia con la grande emigrazione di fine Ottocento; Paolo Battaglia, editore ed esperto di storia della fotografia, fa parte di una generazione italiana che ha conosciuto l’America attraverso la cultura popolare che nel secondo dopoguerra ha invaso l’Italia (musica rock, cinema, cultura pop, divismo, etc.) e deve a questo lavoro la scoperta di un’altra America, quella dei pionieri, di personaggi importanti, di milioni di emigranti che hanno contribuito a scrivere capitoli significativi della storia degli Stati Uniti.
Tale dimensione «privata» accomuna anche gli altri due autori, Mario B. Mignone e Antonio Canovi, nonché Martin Scorsese, che in una breve ma efficace «Premessa» offre uno scorcio autobiografico, tratteggiando la sua identità italoamericana: l’origine siciliana con le sue forti peculiarità e l’uscita da Little Italy per conoscere l’altra America. Mignone, invece, ricorda il primo tempo della sua vita in Italia negli anni cinquanta, quando vedeva partire decine di compagni e parenti, e nessuna traccia di tutto questo trovava nei libri di scuola.
Il volume è un’apprezzabile operazione editoriale che, attraverso l’emigrazione e l’esperienza italoamericana, consente di confrontare la storia dei due paesi, facendone emergere anche le contraddizioni interne ed esterne, a cominciare dalle rimozioni e dagli atteggiamenti che, per lungo tempo, la cultura italiana ha mantenuto verso l’emigrazione di massa, sintetizzabili nel giudizio di Emilio Cecchi: «l’unico, vero, grande romanzo dell’emigrazione italiana era un libro fatto di cemento e di metallo forgiato dalle mani di schiere di lavoratori senza nome». Invece, in questo libro si snoda un’altra storia, che non è fatta solo della fuga dalla miseria di milioni di italiani, ma pure di un incontro tra due paesi; due mondi, due culture nel segno di una italoamericanità dalla lunga durata e soggetta a una mobilità nel corso del tempo, una storia che da Colombo approda alla grande emigrazione dell’Ottocento e del Novecento lungo variegati processi e direzioni: viaggiatori, esuli politici, uomini di cultura. Sulle navi lungo l’oceano non viaggiavano solo emigranti analfabeti ma anche testimonianze, protagonisti e memoria della grande cultura e dell’arte italiana, dalla latinità al Rinascimento, alle scoperte archeologiche del Settecento. Dal Sud dell’Italia del Settecento illuminista arrivò il pensiero di Gaetano Filangieri che, grazie al rapporto con Benjamin Franklin, fornì basi significative all’elaborazione dell’architettura istituzionale della democrazia americana; da altre regioni italiane provenivano Filippo Mazzei, amico dei maggiori protagonisti dell’indipendenza americana, e Lorenzo Da Ponte, primo professore di italiano al Columbia College di New York e promotore del primo teatro lirico in America.
Giunsero anche avventurieri di genio, come il napoletano Carlo Gentile, approdato a San Francisco alla ricerca dell’oro e divenuto creatore studi fotografici negli Stati Uniti e in Canada. La Library of Congress conserva l’importante documentazione accumulata da Gentile, di cui in questo libro vengono riproposte alcune foto suggestive e di sicuro valore storico.
Il flusso di italiani, provenienti soprattutto da Piemonte e Liguria, investì gli Stati Uniti già prima dell’Unità d’Italia. Non si trattava solo di marinai, contadini, muratori e artigiani, ma anche di artisti, intellettuali, cantanti lirici e musicisti che disegnarono un’«italianità» non frutto di conquista militare e coloniale, ma riferimento di attrazione storico-culturale. Ovviamente, soprattutto a partire dagli anni ottanta dell’Ottocento, le centinaia di migliaia di italiani che varcavano l’oceano erano spinti dalla miseria amplificata dalla crescita demografica: cosicché l’immigrazione italiana negli anni tra il 1911 e il 1925 rappresentò il 26% della complessiva immigrazione negli Stati Uniti e quattro su cinque immigrati erano originari del Meridione.
Nel volume si susseguono tracce, testimonianze e immagini di quel grande esodo e dell’approdo nel Nuovo Mondo: dalle terribili condizioni del viaggio in terza classe alla visione di «Lady Liberty» e di Ellis Island, l’accentramento nelle grandi città, il formarsi dei quartieri etnici e spesso al loro interno di gruppi e comunità regionali e provinciali, in cui si replicavano e si ricostruivano abitudini e modi di vivere delle origini. L’identità italiana, quasi assente all’origine, veniva scoperta dagli immigrati a contatto con altre etnie: irlandesi, tedeschi, europei dell’Est.
Mignone richiama il ruolo fondamentale che la famiglia ha avuto nell’esperienza italoamericana, soprattutto per gli emigrati meridionali, mentre Canovi sottolinea il ritardo dell’ingresso nella vita pubblica, in termini sia di acquisizione della cittadinanza statunitense, sia di partecipazione politica. La religione, con le sue pratiche, emerge come l’altro principale indicatore di identità etnica, un vissuto fatto di fede, devozioni, cerimonie, simboli spesso contaminati da paganesimo e superstizione che dalla patria d’origine si trasferirono in terra americana, riproponendosi sia a livello familiare che comunitario. Fu, però, il lavoro duro il terreno della grande «sfida» con la quale l’individuo e la famiglia si giocavano il sogno americano; attraverso di esso migliaia di italiani dettero un contributo determinante alla costruzione di un grande Paese, spesso a costo di sacrifici personali e tragedie collettive. Ci fu poi chi «trovò» l'America con grandi risultati e successi, come Amedeo Giannini che agli inizi del Novecento fondò banche a San Francisco, o Generoso Pope, imprenditore e dal 1928 proprietario del «Progresso Italo-Americano». Non mancano neppure le immagini che ci ricordano la paura e il rifiuto razzistico verso gli italiani, culminati in episodi gravi come il linciaggio di New Orleans nel 1891, né i risvolti negativi che dalla Mano Nera si prolungano fino al Padrino e ai Sopranos.
Il secondo conflitto mondiale segnò una svolta nel rapporto degli italoamericani con la società americana. Come sottolinea Mignone, l’arruolamento di oltre un milione di giovani nelle forze armate statunitensi e il sostegno delle Little Italies alla lotta contro le potenze dell’Asse non potevano non avere conseguenze importanti, che confluirono nei vistosi cambiamenti del dopoguerra, quando, anche grazie allo straordinario dinamismo economico del Paese, per gli italoamericani furono possibili la piena integrazione e la mobilità sociale. Tale quadro di accelerata assimilazione, invece di cancellare le radici dell’italianità, finì per farle riscoprire, avvalendosi pure dell’immagine dell’Italia del miracolo economico, di cui il cinema era un veicolo efficace.
Si iniziava così a costruire un «ponte» tra le due sponde dell’Atlantico, attraverso il quale si sviluppava una nuova immagine degli italoamericani, rimuovendo i connotati negativi dell’italianità fino alla rivendicazione orgogliosa dell’ascendenza italiana esplicitata da sedici milioni di americani nel censimento del 2000. L’ascesa di italoamericani come Mario Cuomo e Geraldine Ferraro in politica e di centinaia di altri protagonisti in tutti i settori – dal cinema all’industria, dall’economia allo sport, dagli enti di ricerca alle università – dimostra che gli italoamericani sono approdati ai livelli della leadership.
Dunque, il viaggio di assimilazione e integrazione può dirsi concluso, ma ciò non significa automaticamente la cancellazione delle proprie radici. Anzi, secondo Mignone, gli italoamericani sembrano porsi come possibile modello all’interno della società americana multietnica e multiculturale: superati i rischi dell’emarginazione etnica e degli stereotipi, la riscoperta dell’identità storica e culturale italiana, al di là di nostalgie e sentimentalismi sempre più in dissolvenza, non solo favorisce la coscienza di sé, ma costituisce anche un veicolo qualificante nel confronto all’interno della società americana.
Il viaggio per «trovare» l’America si conclude qui. Da esso forse può venire anche qualche utile materia di riflessione per «trovare» l’Italia, nel momento in cui da paese di emigrazione è diventato paese di immigrazione e terra di passaggio per masse migranti in fuga che mettono a dura prova gli ideali e le democrazie dell’Europa.
Sebastiano Martell