Se c’è una parola che ben riassume la nostra attualità, potrebbe sicuramente essere individuata con «migrazioni». Le immagini a questo vocabolo connesse, che vediamo quando accendiamo la televisione, quando sfogliamo un quotidiano e quando apriamo un social network, scuotono la nostra quotidianità. Proprio il carattere dell’emergenza, della fretta, tuttavia, tolgono a questo fenomeno una dimensione essenziale che troppo spesso viene sacrificata: questa è la portata storica delle migrazioni.
Proprio della dimensione storica dei flussi migratori si è discusso martedì 3 maggio, presso l’Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo (issm) di Napoli. Qui si è svolta una giornata di studio che ha preso il nome «Le radici della politica migratoria italiana», organizzata con l’intento di riunire esperti che, attraverso diverse prospettive ─ economica, sociologica, antropologica e così via) ─, potessero offrire un quadro di insieme sul fenomeno migratorio che ha riguardato, e continua a riguardare, il nostro paese. Infatti, il percorso intrapreso è partito da molto lontano, da quando cioè l’Italia era ancora un paese di emigrazione; fino arrivare ai giorni nostri, con tutti gli interrogativi e le questioni che l’immigrazione e l’integrazione pongono.
A dare il saluto introduttivo è Salvatore Capasso, il direttore stesso dell’issm e professore di economia all’Università di Napoli. Poi è il turno di Michele Colucci, tra gli organizzatori, che presenta il programma della giornata ed espone l’obiettivo dell’incontro: rispondere alla domanda se l’Italia abbia mai avuto una vera e propria politica migratoria.
A presiedere la prima sessione è Sabrina Marchetti, ricercatrice dell’Istituto Universitario Europeo, il primo a prendere la parola è Stefano Gallo, che proprio pochi giorni prima si è unito all’issm nelle attività di ricerca. La sua lucida analisi ha preso in considerazione un determinato periodo dell’epoca fascista, ovvero fino al 1927, quando, insomma, il regime aveva adottato, per quanto riguarda l’emigrazione italiana, una prospettiva più creativa e versatile. Era il momento in cui alla direzione generale del Commissariato Generale dell’Emigrazione vi era Giuseppe De Michelis, che, grazie alle proprie iniziative, proponeva chiavi di lettura molto, forse troppo, moderne e avanguardistiche per l’epoca storica in cui si svolgevano i fatti. Ad esempio, il suo approccio multilaterale (di cui possiamo ricordare la Conferenza Internazionale sull’Emigrazione del maggio 1924) segnerà un passaggio importante tra le politiche migratorie italiane; ma, senza successi significativi, farà poi anche cambiare approccio al regime fascista.
È la volta poi di Francesca Fauri, dell’Università di Bologna, che si occupa di storia economica e di storia dell’integrazione europea. Proprio da quest’ultimo punto parte la sua presentazione: ovvero da come le istanze italiane dell’immediato secondo dopoguerra che dovevano far fronte a un alto tasso di disoccupazione, riguardassero ancora una volta l’emigrazione. Qualche statistica per comprendere la situazione storica, poi le mete più ambite, gli accordi bilaterali, e infine le sedi e gli strumenti europei, hanno dato la chiave di volta per comprendere come si collocano i flussi migratori italiani in Europa tra gli anni cinquanta e sessanta.
A tirare le somme della prima sessione della mattinata è Sandro Rinauro (Università di Milano), che aiuta a trovare i collegamenti, le continuità che vi sono tra il primo e il secondo periodo analizzati, e quindi il dilemma tra soluzioni bilaterali o multilaterali, il problema delle garanzie, il cercare sempre di mantenere dei legami con la “madrepatria”; ma senza dimenticare le differenze che intercorrono tra le due presentazioni, come per esempio, il cambiamento delle sedi internazionali dove vengono affrontate le questioni della politica migratoria italiana.
La seconda sessione, presieduta da Silvia Salvatici, storica contemporanea dell’Università di Milano, comincia con Simone Paoli (Università di Padova), grazie al quale si fa un salto in avanti per arrivare a una questione nuovamente molto complessa: ovvero il nodo dell’adesione italiana a Schengen. Da storico, ripercorre i momenti storici che hanno portato l’Italia all’ingresso degli accordi di Schengen, senza tralasciare, grazie a una narrazione quasi giornalistica, i “dietro le quinte” di quel momento storico, gli anni ottanta e soprattutto novanta, densi di cambiamenti.
Un altro fondamentale passaggio della politica migratoria italiana, la legge Martelli, è esaminata da Valeria Piro (Università di Milano), che ha sottolineando gli aspetti innovativi di questa normativa (come il sistema di permessi di soggiorno, la programmazione dei flussi migratori, le espulsioni…); non dimenticando di ricordare anche le critiche piovute sulla legge sia da destra sia da sinistra, fin dai momenti della discussione in aula e poi anche dell’applicazione della stessa.
Di nuovo, il discussant di questa sessione, Fabio Amato (Università di Napoli l’Orientale) cerca di inquadrare il momento storico in cui inscrivere Schengen e la legge Martelli, due passaggi fondamentali e indispensabili per comprendere le politiche migratorie odierne.
La sessione pomeridiana si apre con la domanda, da parte di Corrado Bonifazi (CNR, Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali) se vi sia stato, o vi sia, un modello di politica migratoria italiana, nel momento in cui il nostro paese è diventato meta di immigrazione; sottolinea alcuni paradossi (come il fatto che ci siano 5 milioni di stranieri in un paese che ormai vive in stagnazione economica) o la discrasia tra politica e realtà (come la legge Bossi-Fini e le richieste degli imprenditori di Confindustria del Nord-Est). Sempre per quanto riguarda la discussione dell’oggi, interviene anche Sergio Bontempelli (Africa Insieme, Pisa), il quale si concentra sugli effetti che hanno avuto le primavere arabe sulle migrazioni.
Guido Tintori, ultimo discussant della giornata, a proposito degli ultimi due interventi, parla della definizione di migrante, immigrato, profugo; in una visione più ampia di cambiamento epocale, in cui si modificano anche il mondo e la qualità del lavoro e i diritti dei lavoratori.
Nel dibattito finale si condensano osservazioni e chiarimenti. Prima interviene Bruno Riccio, professore di antropologia all’Università di Bologna, che pone l’accento su come la storia delle politiche migratorie abbia influenzato e modificato le policies; o sottolinea l’ambivalenza delle politiche pubbliche tra consenso elettorale e realtà contingente; o ancora come il livello locale sia il punto di vista privilegiato per osservare le migrazioni, come queste ultime siano state politicizzate, e come hanno modificato le identità collettive. Successivamente, Colucci ricorda come si è partiti dall’Italia, ma necessariamente si è arrivati anche alle scelte delle politiche migratorie di altri paesi; sottolinea i rapporti di forza, le congiunture che si sono determinate. Sottolinea inoltre la complessità di studiare i fenomeni migratori, anche dal punto di vista delle istituzioni; menziona il ruolo dei movimenti sociali (come nel caso Masslo), il ruolo dei sindacati. E, infine, accennando alle specificità dell’immigrazione italiana ─ un modello plurale, nel senso che gli immigrati in Italia provengono da numerosissimi paesi del mondo ─ ha evitato conflitti violenti.
Al termine della giornata sono stati suggeriti nuovi spunti di discussione e ulteriori approfondimenti per future iniziative. Ma se si torna alla domanda iniziale, sicuramente l’intento di fornire una prospettiva storica sul tema della politica migratoria italiana è riuscito: anche per combattere l’allarmistica lettura che si dà oggi delle migrazioni in chiave emergenziale, e dare a queste finalmente una visione d’insieme storica che possa aiutare la ricerca a progredire, scrostandosi di dosso i pregiudizi che arrivano dalla quotidianità.