L’apparizione in lingua inglese di Italoamericana di Francesco Durante, già uscito per i tipi della Mondadori nel 2005 (il primo volume era stato pubblicato nel 2001) aggiunge sicuramente un ulteriore tassello alla storia delle conseguenze letterarie dell’emigrazione storica (la «Great Migration» del titolo) degli italiani negli Stati Uniti d’America e della formazione e del consolidamento delle comunità d’origine italiana. Se risulta certamente superfluo presentare l’autore, uno dei massimi esperti mondiali sull’argomento, fin dalla scelta del titolo possiamo notare come egli si situi perfettamente all’interno del recente dibattito sul transnazionalismo e sulle nuove modalità di studio delle letterature nazionali: come considerare infatti gli autori italoamericani, alcuni dei quali hanno scritto in italiano, altri in inglese, altri ancora in entrambe le lingue? Fanno parte della letteratura italiana o di quella anglosassone?
Già un saggio degli anni novanta delle arabiste Jolanda Guardi ed Estella Carpi, a proposito degli scrittori italofoni di origine araba, gettava una luce interessante sulla questione: a loro avviso tali autori dovevano essere considerati patrimonio della letteratura araba e non di quella italiana, non bastando la sola lingua a delineare l’appartenenza a una letteratura nazionale specifica. Qui Durante, memore probabilmente delle più recenti teorie di Apter e Casanova, va oltre, creando per questi autori uno spazio transnazionale (né italiano né americano ma al tempo stesso italiano e americano), che li porta ad appartenere e contemporaneamente a superare i confini di entrambe le letterature, ponendo la discussione, dal punto di vista teorico, su un livello di complessità maggiore.
La struttura del libro, diviso in cinque sezioni antologiche con un’introduzione critica e un ricchissimo apparato finale, è insieme cronologica e tematica. Se infatti le cinque parti (rispettivamente «Chronicle of the Great Exodus»; «Colonial Chronicles»; «On Stage (and Off)»; «Anarchists, Socialists, Fascists, and Antifascists»; «Integrated Apocalyptics») ripercorrono le vicende degli italiani in America dalla fine dell’Ottocento alla Seconda guerra mondiale attraverso i principali avvenimenti dell’Italia, degli Stati Uniti e della comunità medesima, al tempo stesso ogni sezione apre riflessioni (sia a partire dall’introduzione, sia a partire dal titolo e dalla scelta antologica, che si pone come efficace elemento critico) che esulano dalla mera cronologia e che danno luce a scenari teorici e metodologici originali. In ogni sezione tra l’altro troviamo accanto a nomi piuttosto noti (penso a Tarchiani per la prima, Rossi per la seconda, Pane e Calza per la terza, Tresca per la quarta e D’Angelo per la quinta) autori meno conosciuti, che di fatto rimettono in discussione il canone ormai creatosi all’interno della letteratura italoamericana, anche attraverso un sapiente uso e dosaggio di generi diversi. Durante infatti opta per escludere distinzioni fra generi «alti» e «bassi», fra resoconto, fiction e non-fiction, considerando in senso ampio e assolutamente contemporaneo il concetto di «narrazione»: è così che accanto a Roversi troviamo un testo di Al Capone, che di Tarchiani è selezionato un brano che di fatto ne preannuncia la scrittura «diplomatica» degli anni cinquanta e sessanta invece che un testo poetico e che di Tresca sono selezionati due fra gli articoli più impegnati. È giustamente un modo per mostrare l’incredibile ricchezza e varietà di tale produzione letteraria, che può prendere spunto dalla coeva narrativa americana (si pensi alle detective short-stories incluse nell’antologia), ma che può anche far riferimento al giornalismo socialisteggiante, seguendo l’iter lavorativo di molti emigranti che lavoravano in giornali delle comunità italiane, nonché a ibridi estremamente contemporanei.
Un’attenzione particolare la merita a mio avviso la seconda sezione, intitolata Colonial Chronicles, proprio a partire dall’impiego nel titolo dell’aggettivo «coloniale». Paradigmatico che Durante, per descrivere lo stanziamento e la rappresentazione narrativa delle comunità emigrate, parli proprio di «colonia», secondo un’accezione certamente diversa rispetto a quanto si stava facendo all’epoca in Italia (è il momento del colonialismo prima crispino e poi giolittiano, che di fatto spinge a riconsiderare sotto un’altra luce tutto il processo unitario e risorgimentale), ma interessantissima e fervida per le riflessioni che genera. Non siamo lontani qui da quanto asseriva Ruth Ben-Ghiat sul concetto di quel «triangolo identitario» che sarebbe stato alla base dell’italianità: prendendo spunto da una pubblicità che menzionava Roma, Asmara e Buenos Aires (rispettivamente la capitale della metropoli, quella coloniale e quella di una «colonia» di immigrati), la storica vedeva proprio nella tensione fra centro metropolitano, espansione militare/politico/amministrativa e ripercussione delle comunità emigranti la chiave per comprendere la complessa identità nazionale degli italiani.
Per concludere, quello di Durante è, alla pari degli studi di Gabaccia e Franzina e della miscellanea del 1993 sulla letteratura dell’emigrazione edita dalla Fondazione Agnelli, un libro che, proprio per la sua utile versione antologica corredata da spunti critico-teorici, diverrà presto un «classico» per gli studiosi dell’emigrazione italiana e più in generale per tutti gli appassionati di letteratura migrante.
Daniele Comberiati (Université Paul-Valéry – Montpellier)