La considerazione sulle migrazioni degli italiani di Luigi Einaudi, secondo cui «tutti sono andati dappertutto», resta una efficace sintesi dell’entità del fenomeno a scale e periodi differenti. L’ampiezza della portata di tale processo, a lungo oggetto di «un’autentica rimozione» (p. xi), ha portato a stimare una popolazione di 60 milioni equivalente a quella oggi censita nella Penisola. Purtuttavia, oltre i grandi numeri, oltre la pubblicistica divulgativa di facile impatto, solo un’accurata storiografia ha permesso di leggere, in maniera analitica, differenze, sfumature e contraddizioni di tali migrazioni.
A questa tipologia appartiene il lavoro di Andreina De Clementi, storica delle migrazioni di lungo corso, che ha scelto di raccogliere in un volume dodici saggi sull’emigrazione italiana – già editi nel periodo tra il 1993 e il 2013 – che ci consente di compulsare il vastissimo corpus conoscitivo sulle emigrazioni italiane. Si tratta di contributi che declinano con grande accuratezza le possibili prospettive da cui guardare al fenomeno, una varietà che, oltre ad enfatizzare quanto eteroclito e non semplificabile sia stato un processo lungo un secolo, consente di tratteggiare strumenti di lavoro diversi con cui investigare le storie di vita dei migranti. Il titolo – che scomoda la biblica costruzione della Torre di Babele e invero abbastanza inflazionato nella recente pubblicistica – incarna efficacemente lo spirito e la logica che mossero gli italiani alla ricerca di migliori condizioni di vita. Il testo si dipana attraverso una tripartizione che rispetta l’andamento cronologico delle migrazioni, ma ogni saggio tocca una tematica specifica che assicura spunti per ricerche per periodi più recenti.
Argomento del primo saggio è la prima ondata migratoria, che sarebbe semplicistico leggere con la miseria e la sovrappopolazione senza considerare le molteplici concause che spingono ad abbandonare i luoghi natii: una considerazione che potrebbe essere riproposta anche di fronte alla lettura delle migrazioni verso l’Italia. Nel secondo saggio si assume ancora una prospettiva di carattere generale, concentrandosi sull’evoluzione delle politiche dei paesi di arrivo. Oggetto del terzo capitolo, le rimesse degli italiani all’estero, «leggendarie» secondo una definizione di Ruggero Romano, sono una storia di pronostici mancati, di effetti insospettati e di progetti riusciti (p. 53): aspetti dei processi migratori che, allora come oggi, possono generare effetti macroeconomici spettacolari nei luoghi di partenza. Il ruolo dei piccoli fazzoletti di terra, tanto come strumento per procurarsi i finanziamenti per il viaggio che come oggetto di povere contrattazioni, apre una prospettiva sulle arcaiche società delle aree interne meridionali durante la grande emigrazione. Un dettaglio che passa attraverso la certosina analisi degli atti con cui si descrivono, nel quarto capitolo, le piccole vicende di proprietà, parentele e sistemi di successione nella relazione tra chi parte e chi resta. La microstoria diventa pienamente protagonista nell’analisi, attraverso la documentazione notarile, dei risparmi della comunità irpina di Guardia Lombardi: una prospettiva che aiuta a leggere le dinamiche di genere, oltre che comunitarie, che hanno attribuito alla componente femminile molto spesso un ruolo di margine. Nondimeno, tra le pieghe delle contrattazioni, è possibile intravedere spunti di protagonismo al femminile e soprattutto la definizione di figure intermediarie. L’interesse al femminile ritorna nel sesto e nel settimo capitolo, che analizzano rispettivamente il ruolo delle donne nel mercato del lavoro e nelle relazioni coniugali. La declinazione al plurale dell’emigrazione si legge anche con le diverse forme aggregative che assicurano percorsi identitari a gruppi presenti all’estero e provenienti dagli stessi luoghi di origine (viii capitolo). Le nuove emigrazioni del secondo dopoguerra e il crescente protagonismo delle regioni meridionali nella composizione delle comunità all’estero sono i temi dei successivi capitoli. Le storie private ritornano protagoniste nella costruzione di una fenomenologia del viaggio (xi capitolo), mentre, in chiusura, una ricognizione descrittiva delle manifestazioni per il centenario dell’Unità d’Italia dà vita a una morfologia celebrativa di facciata, molto lontana dalla dura condizione dei migranti.
Un racconto lucido e rigoroso che, pur prediligendo una prospettiva microstorica, apre un punto di osservazione non consueto su cento anni di storia nazionale, conducendoci, attraverso l’analisi delle migrazioni, ad analizzare, in una dimensione macro: l’evoluzione delle politiche migratorie; gli assetti in trasformazione delle relazioni internazionali; i cambiamenti del mercato del lavoro; l’economia del Mezzogiorno; i cambiamenti di gusti, risparmi e consumi. Poco incline ad assecondare uno stilema melodrammatico (ampiamente usato in letteratura) per raccontare il fenomeno, l’autrice lascia spazio solo a qualche titolo di paragrafo poetico (Un guscio di noce nella tempesta) o a qualche incidentale considerazione più emotiva. La soggettività del ricercatore è sempre controllata se si eccettua l’accenno, in sede di premessa, all’esperienza personale dell’autrice che, ricordando il ruolo nei suoi studi del confronto con le piccole storie di vita dei familiari dei suoi studenti (molti originari dell’entroterra campano e meridionale) dell’Università di Napoli «L’Orientale» dove ha a lungo insegnato. Di tipo scientifico, benché personale, è infine una ironica considerazione sulla «scoperta» di Gramsci da parte del mondo dei culturalisti.
Fabio Amato