Come si evince dalla «Presentazione» dell’assessore alla cultura del comune di Dignano (UD), questo volume di Javier Grossutti rientra nel novero delle numerosissime pubblicazioni promosse negli ultimi decenni dalle amministrazioni di comuni italiani che hanno conosciuto in passato importanti flussi emigratori. Tali pubblicazioni sono volte a ricostruire per l’appunto l’esodo dai rispettivi territori, in genere con una duplice finalità. Da un lato, vogliono essere un omaggio e una forma di risarcimento postumo nei confronti di chi ha dovuto lasciare il proprio paese, in molti casi per non farvi più ritorno. Dall’altro, puntano a favorire il riconoscimento collettivo dei cittadini in quelle vicende migratorie individuali o familiari più o meno lontane nel tempo, per ricreare una «comunità immaginata» allargata ai discendenti degli stessi emigranti.
Sono operazioni, che potremmo definire di conservazione della memoria e di ricostruzione di identità, pienamente legittime e di cui anzi molti avvertono sempre più la necessità, in società in crisi, che, come è stato segnalato da più parti, di fronte all’incertezza sul futuro, hanno rinunciato anche a cercare punti di riferimento nel passato, rifugiandosi in un «presentismo» che si rivela però alla lunga del tutto insoddisfacente. Queste iniziative sfociano, tuttavia, in prodotti a stampa di assai diseguale valore. Nella stragrande maggioranza dei casi, le pubblicazioni, pur piene di informazioni e sovente corredate anche da ricchi apparati iconografici, non vanno oltre il racconto descrittivo e quindi aggiungono poco o nulla all’analisi delle migrazioni italiane.
Molto diverso è il caso di questo lavoro di Grossutti perché l’autore, come in tutta la sua copiosissima e assai valida produzione precedente sull’argomento, si confronta costantemente con la migliore storiografia sulle migrazioni internazionali e ne riscontra o, quando necessario, ne discute e aggiorna i risultati a partire dallo studio di una realtà specifica, che qui è appunto quella di Dignano con le sue frazioni.
Il volume è frutto di meticolose ricerche bibliografiche e d’archivio. Si avvale, inoltre, del proficuo utilizzo incrociato di fonti diverse – da quelle comunali a quelle parrocchiali, dalle interviste alle lettere di emigranti – che tutte assieme permettono una ricostruzione a 360° del fenomeno studiato. Il libro si articola in tre parti. La prima, composta di sette capitoli, ripercorre l’esodo dal territorio di Dignano a partire non, come ci si potrebbe aspettare, dagli anni settanta dell’Ottocento in cui prese avvio la cosiddetta «grande emigrazione» dal Friuli e dall’Italia, ma risalendo indietro fino al Seicento. Mette così in luce come già in questa fase le partenze dalle varie zone del territorio comunale, che si dirigevano soprattutto verso alcuni poli urbani di attrazione quali Venezia e Trieste, si differenziassero sulla base di specializzazioni di mestiere.
I successivi capitoli affrontano il secolo compreso grosso modo tra il 1870 e il 1970. Ciascuno è dedicato a una fase e all’area o al paese di destinazione dei flussi che più la connotano o che emergono in quel momento come particolarmente significativi. Nel loro insieme, ci offrono un affresco che conferma il carattere globale dell’emigrazione dalla penisola. Negli anni 1878-1890 Dignano, e in particolare il capoluogo comunale, divenne una delle zone con più forte propensione all’emigrazione della regione. Gran parte degli espatri di questo periodo si dirigeva in America, soprattutto in Argentina, dove era iniziato nel 1876 il processo di colonizzazione agricola della pampa: non sorprende, dunque, che gli emigranti che scelsero il paese sudamericano come meta fossero nella quasi totalità contadini. All’altra fondamentale direttrice dell’emigrazione dignanese, quella per lo più stagionale o comunque temporanea verso l’Europa (che diversamente da quanto comunemente si ritiene fu prevalente nelle regioni settentrionali), sono dedicati il terzo, il quinto e l’ultimo capitolo della sezione, che analizzano gli espatri verso l’area di lingua tedesca nei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento e quelli che si produssero negli anni venti e trenta del Novecento, distribuendosi in diversi Paesi. Invece, il quarto e il sesto capitolo approfondiscono le caratteristiche di due flussi quantitativamente meno rilevanti: quello verso il Canada e quello verso l’Australia.
La seconda parte del volume ricostruisce, attraverso interviste, alcune traiettorie individuali di emigranti: al di là del fascino di questi percorsi, essi fanno emergere molto bene aspetti a volte non sufficientemente considerati dagli studiosi, come la fortissima vocazione imprenditoriale alla base di tanti progetti di espatrio.
Sotto traccia tale aspetto ritorna nell’ultima sezione del libro, che riporta un elenco nominativo di tutti gli emigranti partiti da Dignano, con l’indicazione delle loro mete. Questa parte ha senz’altro come obiettivo principale quello di rispondere ai bisogni di identificazione collettiva di una comunità che si vuole insieme locale e globale, cui si è accennato sopra. Al contempo, però, viene messo a disposizione degli studiosi un utile database. Così, ad esempio, nel ripetersi della scelta dell’espatrio a distanza di tempo verso destinazioni diverse e in continenti differenti da parte di tanti dignanesi, emerge una volta di più come alla base dell’emigrazione ci fossero non soltanto il «malessere» o il «disagio» di cui parlavano gli amministratori e i parroci, cercando di spiegare le partenze di massa della seconda metà dell’Ottocento, ma anche precise strategie migratorie, di ricerca di migliori condizioni di vita e opportunità di lavoro e, per l’appunto, d’impresa.
Federica Bertagna