In occasione della convegno tenutosi a Berlino il 20 maggio 2014 dal titolo Andiamo! Europa in Bewegung Arbeitsmobilität in der Europäischen Union (Andiamo! Europa in movimento. Migrazione per lavoro nell’Unione Europea) organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura di Berlino e dalla Fondazione Heinrich Böll, il Centro Altreitalie è stato invitato a partecipare al dibattito seguito alla visione del documentario «re:Union» di Gabriel Tzafka. Sul palco Edith Pichler (Università di Postdam), Alvise del Pra’ (Centro Altreitalie), Francesco Marin (Ambasciata d’Italia di Berlino) e Luciana Degano Kieser (psichiatra), moderati da Mekonnen Megshena (Heinrich Boell Stiftung) hanno esaminato in un’ottica interdisciplinare le diverse tipologie e forme di mobilità per lavoro all’interno dell’Unione Europea partendo della presenza sempre più consistente di italiani nella capitale tedesca, diventata ormai nell’’immaginario collettivo una delle prime mete della mobilità italiana contemporanea. Incalzati dalle domande del moderatore, i presenti hanno esposto alla platea cause, motivazioni e fattori attrattivi delle capitali europee che spingono un numero crescente più giovani e meno giovani a lasciare i paesi mediterranei attanagliati dalla crisi economica. Accanto alla presentazione dei dati relativi alla consistenza e alla composizione sia anagrafica che sociale dei flussi, il focus del dibattito è stato orientato verso un approccio che tenesse conto dell’aspetto più soggettivo dell’esperienza della mobilità con i suoi risvolti psicologici e le esperienze di riadattamento, di integrazione, di successo come di fallimento che la scelta migratoria implica sia sul piano professionale che sociale.
Partendo da questi presupposti ci è parso utile rivolgere a Lucia Degano Kieser1, psichiatra e psicoterapeuta italiana a Berlino ed esperta di Mental Public Health, una serie di domande nel tentativo di offrire sguardo inedito sul fenomeno delle nuove mobilità italiane nel mondo e nel caso specifico nella capitale tedesca.
Dott.ssa Degano Kieser, negli ultimi anni assistiamo all’arrivo sempre più consistente di Italiani a Berlino che si aggiungono a una piccola comunità preesistente. La vostra professione di psichiatri e psicoanalisti di origini italiane vi offre un punto di vista particolare su questo fenomeno. Quali sono le tipologie di italiani che incontrate all’interno del vostro lavoro? Chi sono questi nuovi italiani a Berlino?
Il numero degli italiani ufficialmente residenti a Berlino è quasi raddoppiato negli ultimi dieci anni. Un gruppo altrettanto grande di nuovi arrivati abita in cittá, ma non vi si è trasferito anagraficamente. Molti tra loro annoverano esperienze culturali e di studio all’estero e una discreta conoscenza dell’inglese e del tedesco. Secondo una recente rilevazione, anche se non rappresentativa2, questi «nuovi mobili»3 presentano un alto livello di scolarità, bassi livelli di stress e di emozioni negative. Sono attenti alla propria salute, si alimentano in maniera sana, dichiarano di essere in ottimi rapporti con familiari e amici e si dicono mediamente soddisfatti della propria situazione economica. Non hanno figli e si sentono italiani ed europei, un po’ meno tedeschi. Il motivo del loro trasferimento in Germania è stato solo nella metà dei casi di ordine lavorativo e la maggioranza considera la propria permanenza come provvisoria. Non si tratta però di un gruppo omogeneo di persone per provenienza e classe sociale. Ciò che le accomuna è l’aspirazione a un futuro migliore, l’uso della tecnologia e la capacità di mantenere il contatto con persone e mondi lontani. Sono soggetti «multisituati»4 che vivono in una dimensione deterritorializzata5, in mondi locali collocati al crocevia globale di flussi di idee, tecnologie, immagini e denaro, transnazionali e che sfuggono ad una categorizzazione omologante.
Qual è la percezione che ha del fenomeno vivendo a Berlino (fuori dall’ambito professionale)?
Berlino è meta di un’immigrazione recente, tutta europea, che costringe la città verso una sorta di «cosmopolitismo obbligato» che impone al contesto urbano di negoziare spazi d’espressione delle differenze culturali, siano esse linguistiche, artistiche o religiose. Ed è soprattutto attorno alla produzione in lingua italiana che i nuovi arrivati si aggregano: giornali, portali, blog, associazioni, raggruppamenti, iniziative ed eventi annunciati e letti in rete, vissuti e consumati nella città. Attraverso la mediazione elettronica essi sono contemporaneamente in contatto con le comunità di provenienza e con le famiglie d’origine. Questa nuova dimensione deterritorializzata dell’appartenenza si manifesta anche come fenomeno sociale con il sorgere di iniziative fortemente ancorate alla dimensione della vita quotidiana e ai microcontesti reali.6 Nuovi asili e scuole bilingui, agenzie di servizi e librerie, associazioni, corsi ed eventi vari, tutti rivolti a un pubblico esclusivamente italiano, che si riconosce come appartenente alla propria nicchia identitaria di riferimento. Nel rifiorire della cultura del milieau, anche se all’interno di «identità in movimento», è riconoscibile la metamorfosi culturale della e nella città: oggi convivono a Berlino diverse comunità italiane, tra cui anche quella storica dell’emigrazione italiana del dopoguerra. Ma la matrice culturale di riferimento non si rifá più al mito collettivo della patria reale, oscurato dalle variegate vicende domestiche della corruzione, ma a mondi lontani, espressione delle diverse provenienze regionali, dei contatti, delle notizie e delle voci di coloro che appartengono alla propria rete.
Quali sono i problemi maggiori da un punto di vista psicologico/psichiatrico, vi sono patologie particolarmente ricorrenti tra i pazienti italiani? E in cosa si differenziano dai pazienti tedeschi?
In mancanza di dati empirici non posso che fare riferimento alla mia esperienza particolare e a quella dei colleghi e delle colleghe con i quali collaboro7. Il vivere urbano, i grandi spazi berlinesi, le diverse modernità, i vecchi e nuovi muri all’interno della città, portano con sé la promessa di una libertà illimitata e, contemporaneamente, il rischio di un forte anonimato, specialmente per i più vulnerabili e i più poveri tra i suoi abitanti. Il malessere delle persone si esprime nei diversi mondi di appartenenza attraverso la richiesta di appoggio e di ascolto a enti e soggetti istituzionali diversi. Cosí le prime generazioni di italiani emigrati a Berlino per lavoro, o per sfuggire alla conformità sociale della provincia italiana di allora8 vanno spesso dal medico, usufruiscono del supporto del welfare tedesco ma evitano lo psichiatra, lo psicologo e le forme istituzionalizzate di cura psichiatrica. Essi hanno stabilito forti legami intracomunitari di solidarietà e fanno riferimento alle strutture classiche di supporto interne alla comunità italiana, come il consolato italiano, il patronato o la missione cattolica italiana a Berlino. Gli attori della nuova mobilità invece sono molto simili ai loro coetanei metropolitani tedeschi o spagnoli, che considerano la «tecnologia psicoterapeutica» come parte integrante di un processo possibile di emancipazione. Il malessere di questa generazione, quando è presente, viene vissuto come sofferenza privata, come intensa solitudine nel «non-luogo» della città, mai indigente ma indifferente, quasi «apolide». Esso non si lascia ridurre a una diagnosi psichiatrica specifica, anche se i pochi dati del passato si riferiscono a varie forme di depressione o a condizioni riconducibili ad essa9. Parlerei piuttosto di «spaesamenti» di una generazione di europei italiani, «affrancati dalla comunicazione faccia a faccia»10, intelligenti, adattabili e flessibili, proiettati nel futuro, talora in difficoltà nella gestione della propria corporeità, delle emozioni e dei sentimenti. Accanto a questi rappresentanti di una mobilità intraeuropea privilegiata, esiste una popolazione «invisibile», che si muove nel sottobosco delle subculture metropolitane europee. Pendolari che viaggiano da un party all’altro, che non risultano risiedere ufficialmente nella città e che si muovono seguendo canali e flussi di eventi organizzati in grande stile, secondo una geografia di transizione tra rave e party più o meno legali.
Vi sono strutture di assistenza socio-sanitaria per i nuovi migranti italiani? Gli italiani usufruiscono del sistema sanitario tedesco?
Questo settore è regolato in Germania da una legislazione molto complessa, contenuta nei 12 codici del diritto sociale e sanitario (Sozialgesetzbücher). Tale diritto viene tutelato da un apposito apparato giuridico, che non ha eguali nel nostro paese (Sozialrecht) e da un corrispondente foro (Sozialgericht). Sia le casse mutue pubbliche (Krankenkassen) che le assicurazioni private garantiscono le prestazioni sanitarie. In Germania non troviamo servizi di comunità, né centri di salute mentale. Le visite psichiatriche, la farmacoterapia e la psicoterapia vengono offerti dai medici e dagli psicologi psicoterapeuti privati convenzionati. Le procedure burocratico-amministrative e i criteri per accedere ai diversi servizi sono molto differenziati. In altre parole, a Berlino ci sono moltissimi servizi, il problema è come usufruirne. La conoscenza della lingua è talora indispensabile. Gli italiani provenienti dalle classi sociali più deboli hanno spesso enormi difficoltà nell’accesso a queste prestazioni. L’ultima generazione di italiani berlinesi è molto flessibile e orientata al «problem solving». Cosí non è raro assistere alla creazione di iniziative di mutuo sostegno collettivo nell’ambito del proprio mondo in rete oppure di nuovi servizi a pagamento, ma accessibili in italiano. Come ultima ratio, alcuni rientrano in Italia con i voli low cost, magari anche solo per andare dal dentista, mentre altri si recano dal professionista italiano consigliato dalla rete o dagli altri membri della comunità di riferimento.
A suo parere cosa potrebbero fare di più le istituzioni italiane e tedesche per agevolare l’integrazione degli italiani a Berlino?
Un concetto unico di «integrazione» mal si adatta alla complessità delle vite e delle aspirazioni degli attori di questa diaspora intraeuropea, che vogliono decidere in autonomia a quale mondo appartenere, spesso a più di uno. Molti dei nuovi arrivati desiderano fermarsi a Berlino solo per un periodo di tempo definito11. Altri fanno la spola tra Italia e Germania, lavorando in entrambi i paesi. A Berlino dunque convivono realtà parallele, non sempre in contatto tra di loro, separate da marcatori semiotici potenti. La questione centrale è come rendere accessibili i servizi cittadini a gruppi eterogenei per livello di scolarità, bisogni, aspirazioni e mondi di riferimento, ma al tempo stesso omogenei nell’espressione linguistica. Si può pensare ad esempio alla creazione di punti di consulenza in lingua italiana a bassa soglia, per facilitare e supportare la conoscenza della geografia del «sistema Germania», in rete con operatori ed istituzioni che offrono servizi in italiano. Una sorta di sportelli, situati ai crocevia, agli snodi tra percorsi differenti, ad esempio scuole e centri interculturali.
Riscontrate particolari problemi di integrazione sociale, culturale, professionale tra gli italiani a Berlino?
Molti sono coloro che lavorano in settori tradizionali dell’emigrazione italiana, come la gastronomia. I più radicati tra loro sono ben integrati nella vita sociale della città, anche se all’interno del proprio milieu italiano di riferimento. Sono ormai parte del panorama cittadino, accettati e valorizzati come rappresentanti di un’italianità romantica e godereccia, che forse in originale non esiste piú. Per i nuovi arrivati, avvezzi alla precarietà, specialmente in ambito lavorativo, l’improvvisazione costituisce l’elemento di base per adattarsi alla nuova situazione. Cosí si incontrano laureati in economia che lavorano nei call center, ragionieri e geometri che fanno i camerieri, psicologi e sociologi che lavorano come dj nelle numerose discoteche berlinesi. Altri ancora creano rubriche o giornali online, collegati a servizi di nicchia in rete. Attraverso questa transitorietà dinamica, molti realizzano i loro sogni di libertà e di autodeterminazione, cosí lontani dai miti della famiglia e del lavoro sicuro di qualche anno fa. La cultura e la socialità, non più categorie definite a priori, sono interattive, plasmate dai soggetti stessi nel contesto di riferimento. In questa nuova genealogia del presente essi hanno la possibilità e la capacità di creare percorsi di vita alternativi, possibili a Berlino, impensabili in altre città tedesche. Diversa è la situazione dei nuovi arrivati con figli. La fitta rete cittadina di istituzioni bilingui mette in comunicazione soggetti appartenenti a diversi gruppi sociali. Per molti italiani l’impatto con il sistema scolastico tedesco, molto selettivo e basato sulla concorrenza, è difficile ed è vissuto come escludente, anche se i dati disponibili parlano di buoni successi scolastici degli studenti di origine italiana a Berlino, rispetto al resto della Germania12.
Secondo lei il fenomeno a Berlino si differenzia da altre grandi città tedesche e, se sì, in cosa?
Dai dati in nostro possesso sappiamo che la comunità italiana a Berlino si differenzia storicamente da quella degli altri Länder. Il mondo produttivo berlinese reclutava in maniera prevalente lavoratori provenienti dalla Turchia e dalla Grecia13, mentre gli italiani emigravano verso le ricche regioni della Germania occidentale. Dopo la caduta del muro e la riunificazione della città, il numero degli italiani a Berlino iniziò ad aumentare, come parte del fenomeno della nuova mobilità, facilitata dai progetti di scambio universitari e dalla libertà di movimento intraeuropeo. La crisi economica italiana e il fatto che il costo della vita non sia elevato, se paragonato a quello di altre città europee, hanno incrementato il flusso migratorio verso la capitale tedesca. Nonostante l’elevata scolarità, i nuovi arrivati hanno posti di lavoro modesti, solitamente nella gastronomia o nel commercio oppure appartengono al gruppo cosmopolita dei «precari creativi», che popola alcuni quartieri cittadini e che parla prevalentemente inglese.
Non sempre la scelta di migrare all’estero è coronata dal successo. Spesso, in particolare a Berlino, le ambizioni si infrangono contro una realtà assai più difficile rispetto a come viene percepita dall’Italia. Come viene vissuta l’opzione del ritorno?
Gli ultimi arrivati non prendono in considerazione l’opzione del rientro. La maggior parte pianifica già all’arrivo di lasciare la città per altre mete, senza grandi rimpianti14. Questo elemento non si connota soltanto in negativo, cioé come mancanza di un sentimento di nostalgia o come sentimento inappagato per l’impossibilità del rientro, ma come sentimento di libertà e consapevolezza delle proprie possibilità, tutto rivolto al futuro. Se questa tendenza si possa associare alla «valorizzazione dell’effimero»15 del tardo capitalismo d’inizio millennio, o a nuovi fenomeni postnazionali in questa lunga epoca di pace in Europa, è questione aperta, cui le future generazioni di antropologi daranno, forse, una risposta.
Note
1 Luciana Degano Kieser, msc in Public Health, psichiatra e psicoterapeuta, ha studiato a Trieste, Berlino e Londra. Ha lavorato in Italia, a Imola e Trieste e, dal 2000 in Germania, a Berlino, dove ha diretto la Berliner Krisenpension dalla sua fondazione fino al 2008. Responsabile di un servizio di riabilitazione a Potsdam, collabora con diverse istituzioni di formazione, scuole superiori e università nel campo della salute mentale e Mental Public Health.
2 Wassermann, M., Auswertung der Online-Studie EmiG - Europe meets Germany. Studienergebnisse der italienischen Stichprobe, Humboldt-Universität zu Berlin, Berlin 2014; Pichler, E. e Schmidt, O., Un’indagine sulla situazione degli italiani a Berlino, Com.It.es Berlino-Brandeburgo, Berlino 2013
3 Del Pra’, A., «Giovani italiani a Berlino: nuove forme di mobilità europea», Altreitalie, 33, Torino 2006, pp. 104-25.
4 Vereni, P., «La modernitá di tutti», in Appadurai, A., Modernità in polvere, Raffaello Cortina, Milano, 2012. pp. vii-xli.
5 Appadurai, A., Modernità in polvere, Raffaello Cortina, Milano, 2012.
6 Degano Kieser, L., «Disagio urbano e nuova mobilitá», in Priori, L., Ugolini, G. e de Salvo, E. (a cura di), Italo-Berliner, in corso di stampa.
7 Ad esempio: l’Associazione Salutare e.V. riunisce professionisti e persone interessate al tema della salute mentale; partner importanti sono anche il Servizio Sociale dell’Ambasciata d’Italia a Berlino e il Patronato Ital-Uil.
8 Pichler, E., «50 anni di immigrazione italiana in Germania: transitori, inclusi/esclusi o cittadini europei?», Altreitalie, 33, Edizioni fga, Torino, 2006, pp. 6-18.
9 Pichler, E., Die italienische Arbeitsmigration in die Bundesrepublik Deutschland. Ein Literaturbericht, Berliner Institut für Vergleichende Sozialforschung, Berlin 1991.
10 Appadurai, Modernità in polvere cit.
11 Wassermann, Auswertung der Online-Studie EmiG - Europe meets Germany. Studienergebnisse der italienischen Stichprobe cit.
12 Pichler, E. e Schmidt, O., Un’indagine sulla situazione degli italiani a Berlin. Com. It.Es, Berlin, 2013.
13 Ibidem. Si veda anche Pichler, E., Junge Italiener zwichen Inklusion und Exklusion, Eine Fallstudie. Berlino, 2010.
14 Wassermann, M., Auswertung der Online-Studie EmiG - Europe meets Germany. Studienergebnisse der italienischen Stichprobe cit.
15 Appadurai, Modernità in polvere cit.