La recente crescita dei flussi in uscita dall’Italia in concomitanza con la recessione economica (all’incirca 120.000 unità nel 2013), oltre a creare un notevole eco mediatico, ha svelato la necessità di tematizzare e categorizzare il fenomeno delle nuove mobilità italiane verso l’estero alla ricerca di nuovi chiavi di lettura e paradigmi interpretativi. Recentemente abbiamo assistito a diversi sforzi di approcciarsi in maniera organica alla questione grazie soprattutto all’utilizzo e all’integrazione di diversi fonti capaci di superare la debolezza oggettiva dei dati quantitativi. Accanto alla pubblicazione del Centro Altreitalie (La meglio Italia, Tirabassi e del Pra’, 2014) segnaliamo la raccolta di saggi della filef sul tema (Le nuove generazioni
nei nuovi spazi e nuovi tempi delle migrazioni, filef, 2014) e i numerosi contributi sul fenomeno pubblicati negli scorsi anni sul Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes.
Il volume in questione si inserisce in questo filone e presenta i risultati di una ricerca, denominata a.m.i.c.o. (Analisi della Migrazione degli Italiani in Cina Oggi), iniziata nell’ottobre 2012 ed effettuatata per conto della Fondazione Caritas/Migrantes allo scopo di analizzare il fenomeno dei nuovi flussi in partenza dall’Italia verso la Repubblica Popolare Cinese.
La crescita impetuosa dell’economia cinese, a partire dagli anni novanta (con un tasso medio annuale dell’8% tra il 1990 e il 2008!) ha stimolato importanti flussi migratori di lavoratori qualificati e non qualificati e sono sempre più numerosi gli italiani che si trasferiscono nel gigante asiatico per motivi di studio o di lavoro.
Il libro nella sua parte centrale è strutturato in tre diverse sezioni che riprendono tematicamente i passaggi della ricerca: una prima parte tenta una ricostruzione statistica del fenomeno basandosi soprattutto su dati aire; segue un’indagine qualitativa basata su interviste condotte in loco; mentre l’ultima sezione presenta l’analisi dei risultati di un sondaggio online condotto su un campione di 258 italiani che al momento della rilevazione vivevano in Cina.
Il volume, dopo un breve excursus sulla storia delle relazioni tra l’Italia e Cina a partire dai viaggi di Marco Polo fino ai giorni nostri, presenta la Repubblica popolare sotto l’aspetto di paese d’immigrazione. Dai dati del censimento 2010 su una popolazione di oltre 1,3 miliardi, la quota degli stranieri raggiunge lo 0,04%, all’incirca 600.000 individui (in primis provenienti dalla Corea del Sud, seguono gli Stati Uniti e poi il Giappone). La maggioranza si concentra nella provincia del Guangdong, mentre le prime città risultano essere Canton, Shanghai e Pechino. La necessità di know how legata all’espansione industriale economica della Cina ha reso necessaria una nuova legge sull’immigrazione dopo anni caratterizzati da visti turistici rinnovati di volta in volta. Il regolamento, entrato in vigore nel 2012, ha rielaborato il sistema dei visti con l’introduzione di diverse sottocategorie legate alla durata di permanenza e introducendo nuove tipologie come, ad esempio, il visto r denominato «visto per i Talenti» dedicato alle cosiddette «eccellenze». Inoltre sono stati disciplinati i permessi di soggiorno da un minimo di 90 giorni a un massimo di un anno. Agli studenti stranieri è stata data l’opportunità di frequentare stage, mentre è stato introdotto il concetto di coppia di fatto permettendo il ricongiungimento dei partner a patto che si possano dimostrare almeno due anni di convivenza alle spalle.
Per quanto riguarda gli italiani, le statistiche dell’aire indicano la presenza di 6.746 iscritti al 1° gennaio 2013. Un valore più che triplicato dal 2006 nonostante vi si iscrivano, secondo diverse stime, meno del 50 per cento. Si registra una maggiore concentrazione nelle regioni sud-orientali e nella regione amministrativa speciale di Honk Kong. L’incidenza femminile non supera il 35 per cento sul totale. Si tratta inoltre di un’emigrazione proveniente prevalentemente dal settentrione (Lombardia, Veneto, Piemonte) con un livello di istruzione medio-alto. Crescono nel contempo anche i flussi turistici dall’Italia verso la Repubblica popolare come riferisce l’Ufficio Nazionale del Turismo Cinese (una delle poche fonti cinesi consultabili). Una peculiarità della presenza italiana, come segnala il Console Generale di Canton Benedetto Latteri, sembra essere un diffuso pendolarismo tra i lavoratori italiani che si spostano tra Shanghai, Honk Kong e i vari distretti e città limitrofe.
Le testimonianze raccolte dagli autori in loco, che compongono la parte centrale del testo, permettono di conoscere i dettagli delle esperienze di chi ha scelto il Dragone come luogo di vita e lavoro. Tra gli intervistati troviamo giovani imprenditori il cui core business è l’intermediazione tra aziende italiane e il mercato cinese e viceversa, ricercatori e professori italiani che insegnano in Cina, ma anche artisti e intellettuali che approfittano della vivace offerta culturale. Naturalmente non mancano i rappresentanti del Made in Italy, in particolare del settore alimentare e gastronomico, ma anche ong del campo della psichiatria di derivazione basagliana, o dei servizi ai disabili. Sovente poi vi è anche un trasferimento di un’«etica dell’impresa» italica. Un esempio è l’hair stylist italiano a Shanghai il cui salone di bellezza diventa luogo d’incontro e spazio per iniziative culturali e musicali. Un discorso a parte merita poi l’intervista a Marcello Lippi, ex commissario tecnico della nazionale e ora allenatore del Guangzhou Evergrande la squadra di Canton. Il ct ex campione del mondo assieme al suo staff ha introdotto l’impronta organizzativa del calcio italiano facendo vincere alla squadra cantonese due campionati cinese, la Coppa di Cina e la Champions League asiatica.
L’elemento costante che caratterizza queste esperienze pare essere il superamento delle difficoltà dovute alla distanza culturale. A questo proposito meritano una particolare attenzione le interessanti storie dei «returnees» italocinesi, migranti di seconda generazione, che intraprendono la scelta di trasferirsi nel paese dei loro genitori mettendo a frutto le loro conoscenze linguistiche e la loro capacità di fungere da mediatori culturali.
L’esperienza di mobilità verso la Cina è però anche costellata di problematicità. In prima linea l’inserimento in una società culturalmente molto distante da quella italiana e le conseguenti difficoltà di socializzazione, sia sul posto di lavoro, sia sul privato. Da cui la necessità di trovare forme d’aggregazione tra italiani e la recente nascita di diverse realtà associazionistiche. Un’ulteriore problema è dovuto a una mancanza di sostegno da parte delle istituzioni italiane che faticano a dare supporto informativo e di «sistema» ai piccoli imprenditori e in generale ai cittadini italiani e alle loro famiglie. Se da un parte la rete consolare si sta allargando per venire incontro al numero crescente di italiani nella Repubblica popolare, dall’altra parte va segnalato che il nostro paese è l’unico tra i G8 a non avere una scuola italiana sul suolo cinese.
Il volume si chiude con la presentazione dei risultati di un sondaggio che pur non presentando un campione rappresentativo, «fotografa», a livello qualitativo, motivazioni, esperienze professionali, condizione attuale, percezione e aspettative tra coloro che risiedono in Cina da almeno sei mesi.
Il lavoro di Di Vincenzo, Marcelli e Staiano, oltre ad aggiungere un ulteriore tassello per la comprensione del fenomeno delle nuove mobilità nella sua complessità, si presta anche come un’utile lettura informativa per coloro che sono intenzionati a trasferirsi nel Repubblica Popolare Cinese.
Alvise del Pra'