La lingua rappresenta un rilevante fattore d’identità. L’analisi della sua pratica fornisce, pertanto, elementi significativi per comprendere l’esperienza degli immigrati e dei loro figli. In questa monografia, Antonia Rubino delinea con efficacia e precisione il profilo sociolinguistico, in termini di trilinguismo (siciliano, italiano standard e inglese australiano), di due famiglie (A e B) di origine siciliana stabilitesi in Australia in due diversi periodi storici e rappresentative del rapporto identità-lingua specifico della comunità italoaustraliana contemporanea. In un excursus storico sull’emigrazione siciliana in terra australiana sono presentati nel dettaglio i due fenomeni migratori avvenuti dopo la Seconda guerra mondiale e i contesti socioculturali e linguistici all’interno dei quali si situano le storie delle due famiglie oggetto di studio. È descritto dapprima il flusso migratorio del primo dopoguerra in un’Australia caratterizzata da una politica assimilazionista che portò i siciliani di prima generazione, protagonisti di una migrazione a catena, a organizzarsi in comunità chiuse con pochi contatti con la società australiana nel tentativo di preservare la propria identità linguistico-culturale (famiglia A). Il secondo flusso migratorio, costituito da una manodopera qualificata e con maggior scolarizzazione, ebbe luogo verso la fine degli anni sessanta in un’Australia protagonista di una politica di integrazione prima e multiculturalista poi (famiglia B).
Dopo un’ampia presentazione degli approcci adottati in letteratura per condurre un’analisi conversazionale multilingue in funzione identitaria l’autrice passa allo studio dei due contesti familiari. Il trilinguismo dei due nuclei è indagato tramite l’analisi di un corpus di conversazioni tra i membri di prima generazione e tra questi e quelli di seconda generazione. La selezione del codice, dettata da preferenza o competenza linguistica, costituisce un imprescindibile oggetto di indagine. Dall’analisi dei fenomeni di alternanza e commutazione di codice (incluse le enunciazioni mistilingue), unitamente a calchi e prestiti dall’inglese, emergono dati particolarmente interessanti in termini pragmatico-funzionale-identitari. Ulteriore validità è conferita allo studio dalla triangolazione dei dati derivanti dall’analisi conversazionale con quelli contenuti nelle autopercezioni dei partecipanti e quelli relativi al tipo di socializzazione, in terra australiana, dei migranti e all’intensità (oltre che alla modalità) dei contatti degli stessi con la terra d’origine. Le identità sociolinguistico-conversazionali degli interagenti sono delineate con un alto livello di granularità. Di notevole interesse sono i pattern conversazionali relativi all’alternanza e alla commutazione di codice classificati come strumenti atti a fornire un’architettura ai rapporti intra-familiari di entrambi i nuclei italoaustraliani e a codificare, oltre che negoziare, le identità sociali ed etniche dei singoli membri.
Lo studio evidenzia similarità e differenze sociolinguistiche importanti tra i due nuclei. In entrambe le famiglie si individua nelle madri la preferenza per il siciliano nell’interazione con adulti e figli; nella famiglia A la commutazione di codice dal siciliano all’inglese è usata dalla madre in funzione affiliativa e disaffiliativa mentre i figli ricorrono unicamente alla commutazione dall’inglese al siciliano in funzione disaffiliativa. Scelte divergenti caratterizzano inoltre la famiglia A con la madre che inizia le conversazioni in siciliano e i figli che rispondono in inglese a motivo della loro limitata competenza linguistica nel dialetto nonostante lo comprendano bene. Nelle conversazioni tra i due genitori, condotte in siciliano, emergono come ricorrenti le enunciazioni mistilingue e i prestiti dall’inglese. Nei padri di entrambe le famiglie permane la preferenza del siciliano nell’interazione tra adulti e rispettivamente dell’inglese (famiglia A) o del siciliano e dell’italiano (famiglia B) nell’interazione con i figli; in generale gli uomini risultano più competenti delle mogli in inglese a motivo dei maggiori contatti con la società australiana. Nei due nuclei i figli comunicano tra loro in inglese, la lingua dominante della seconda generazione; tuttavia a differenza della famiglia A, in cui i figli rappresentano un prodotto della politica di assimilazione, nella famiglia B i figli comunicano in siciliano con i genitori dando vita a una convergenza linguistico-identitaria prodotto di una politica d’integrazione e multiculturalista. In generale, nella famiglia B i figli mostrano maggiore variazione linguistica mentre la situazione è capovolta nella famiglia A, fenomeni questi che riflettono i diversi contesti storico-culturali sottesi ai due flussi migratori. Particolarmente rivelatore in termini identitari è il ruolo di mediatore intra- extra-familiare affidato, nella famiglia B, alla figlia più giovane quale rappresentante di seconda generazione competente in tutti e tre i codici.
Il lavoro, che termina con interessanti dati statistici sulle variabili linguistico-socio-culturali degli italoaustraliani di prima e seconda generazione, costituisce indubbiamente un importante contributo alla letteratura del settore e fornisce un modello di ricerca applicabile a fenomeni e contesti sociolinguistici simili.
Giovanna Carloni